giovedì 30 giugno 2011

POESIE : Visioni estravaganti

POESIE : Visioni estravaganti

1.

Che cosa ci porta via la morte

con gli occhi ripieni di buio

tra i fiori di prato e la monotonia

delle facce .

Che cosa ci porta via pigra

e lenta ,incantata e silenziosa …

Che cosa ci porta via

Se non abbiamo più niente ,

così forse valer la pena di rinunciare

anche a morire.

2.

Ho scoperto che posso morire ,

la mia morte,

io che non avevo fine

io che mi riflettevo in una domanda

d’amore che sconnetteva

i confini tra le pietre e l’uomo

pazzamente innamorato ,

perché quella domanda

non ha ancora una risposta.

3.

Il sussurro delle cose

come in un liquido amniotico ,

le une sulle altre,

accatastate e in fasci ,

sparse e raccolte,

si estende nella stanza,

per le strade, dentro i caffè, ai supermarket

per inscenare in un affresco stinto

il grave e muto incanto

del mondo

e io vi ritrovo e mimo

un lungo elenco di biografie

degli uomini, delle donne, dei giovani

dei vecchi della mia città.

La simmetria delle sequenze poi

è come un respiro amplissimo

colmate da cadenze

come di facce in fila

e con voce cava le conto

e non finisco mai di contarle ;

ogni volta ricomincio

ed è l’inutile esercizio

degli scatti d una macchina fotografica

demente.

4.

Perché mi porto

nella borsa , con il pane

della colazione

questi fogli di poesia

come un lezionario di sentimenti,

come un rimario

di perdute stupidità,

come un sillabario d’incoscienza,

come uno spartito

inascoltabile .

E non porto invece il mio silenzio .

Perché ho voglia di parole

quanto sarebbe meglio tacere

le parole dei giorni di un’esaltazione

lontana,lontana come quei cieli

limpidi di altri giorni

su un altro luogo

da dove vedevamo

il giorno futuro

diventato troppo presto questo presente.

5.

Nel mezzo della strada

sotto fanali allampati

da una luce

più forte del sole

tossicomani, alcolisti ,prostitute

celebrano la somma

dei fatti umani

con l’incarnazione indifesa

di padri, madri

fratelli e sorelle ,

mi accodo all’interminabile

processione

e le consonanze e dissonanze

stridono nelle vocali

dei nomi perbene

tra i quali anche il mio .

6.

Sugli alberi nati

tra le stelle ,gli uccelli

del mondo delle fate cinguettano

i canti, i trilli,gli accordi,le melodie,

i contrappunti

che increspano l’aria

e affogano i profumi :

Sui binari di chissà quale

Immaginaria ferrovia

le ruote d’un treno investite

dal calore dei suoni

rimbalzano e si rincorrono

e nel sonno si stempera ogni cosa

in attesa del grigio del mattino

con il suo fascino nuovo .

Da un grembo bianco

di sole e di luce la notte lascia

posto al mattino e sembra

un mondo di pace.

Il profumo fiabesco

di mele arrostite per colazione

è come l’odore penetrante

dell’acqua di mare in una bottiglia .

Così al risveglio

lo stupore si confessa al mutismo

di un poeta emarginato


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 30 giugno 2011

mercoledì 29 giugno 2011

CONFINI : Enity

CONFINI : Enity

Radicale nel frammentare il corpo in fibrillanti sezioni di adrenalina, iconoclasta nel rompere vecchi schemi estetici, il quarantenne Wayne McGregor - al quale Londra ha affidato la cerimonia d'apertura delle prossime Olimpiadi - è il coreografo che più ha osato, oggi, spostare i confini della danza in quel cono di luce in cui la scienza si apparenta all'arte, la matematica familiarizza con la bellezza, Un territorio altrimenti contemplato dalle proporzioni armoniose dell'uomo vitruviano di Leonardo e dai rapporti aurei nelle spirali delle conchiglie individuati dalla sequenza del matematico Fibonaci.

Al potere dei numeri e della scienza il glabro Wayne, nativo di Stockport, nella contea inglese di Cheshire, si è inchinato fin da ragazzo: patito di computer, ha applicato le nuove tecnologie alla coreografia facendo dialogare i corpi dei suoi danzatori con. immagini virtuali in «Sulphur 16», li ha armati di protesi metalliche in «Nemesis», disconnessi in movimenti scoordinati in «Ataxia», pur confessando un inizio decisamente pop: «Ho scoperto la danza guardando Iohn Travolta nella "Febbre del Sabato Sera": lì ho capito che è un modo di intendere la vita». A questa sua seconda anima meno intellettuale si devono alcune incursioni nello show business come le coreografie del musical di Andrew Lloyd Webber «Woman in White», i movimenti del quarto episodio del sequel cinematografico di Harry Potter «Il calice di fuoco» e il video di «Lotus Flower» dei Radiohead. Il McGregor più impegnato ha invece firmato regia e coreografia dell'opera «Dido . and Aeneas» di Henry Purcell alla Sca¬la, ripresa nel 2009 alla Royal Opera Ballo Random Dance (11 giugno)di Wayne'McGregor (foto Nick Mead) House di Londra in dittico con una nuova produzione di «Acis and Galatea» da lui curata. Ma il titolo che me¬glio riflette le ardite sperimentazioni sul corpo del XXI secolo di questo spregiudicato autore britannico è «Entity», la coreografia che Ravenna Festival ospita 1'11 giugno e che ha già trionfato alla Biennale di Venezia è agli Arcimboldi di Milano.

A differenza di , realizzato con un apposito software per sfidare i danzatori a movimenti inediti - la coreografia con cui la Wayne McGregorjRandom Dance si presenta mercoledì prossimo all'Auditorium della Conciliazione di Roma -, «Entity, è frutto di una ricerca di quasi tre anni in collaborazione con neuroscienziati e scienziati cognitivi

La formula «Improwisazione, mappe mentali e ritmo creano sinergie tra le capacità cognitive

e la loro traduzione fisica" delle università di Cambridge, Uc San Diego-e del Sussex sulla relazione tra corpo e cervello.

Una full immersion nel linguaggio dell'intelligenza artificiale e dei suoi particolari algoritmi che in scena si traduce nel microcosmo virtuale di Patrick Burnier attraversato dagli squarci elettronici delle musiche di Ioby Talbot e Ion Hopkins.

«Improvvisazione, mappe mentali, ritmo, propriocezione impongono una sinergia implicita e un'empatia tra le capacità cognitive e la loro traduzione fisica - spiega il coreografo -. Questa intelligenza cinestetica è sviluppata in modo unico in danzatori e coreografi». E prosegue: «Ho elaborato la nuova ricerca parallelamente all'evoluzione scientifica contemporanea e ai

progressi esponenziali della biologia molecolare, biochimica e genetica. La scienza, la prevenzione e riabilitazione degli infortuni, le tecniche nutrizionali e di allenamento hanno reso i danzatori di oggi più forti, flessibili, sani e quindi capaci di affrontare nuove sfide. Non si tratta di creare robot danzanti, ma software chè rispondano a stimoli in un ambiente improntato all'intelligenza cìnestetica». Darwin e la sua teoria evoluzionistica trova così in McGregor un entusiasta epigono.

Valeria Crippa

Le foto sono di Massimiliano Pelagatti

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 29 giugmo 2011

lunedì 27 giugno 2011

AD HOC : Papiri e high tech

AD HOC : Papiri e high tech


Il viaggio di un'idea comincia nella Biblioteca nazionale di Napoli, attraversa le sale del dipartimento di papirologia di Oxford e si conclude nella catena di montaggio per produrre un manufatto che placherà l'ansia della cultura, allargando il portafogli di inventori e accademie.

Dirk Obbink, 53 anni, originario del Nebraska, cattedra a New York prima di approdare a Oxford, sfoglia immagini nere come il carbone. Sono le istantanee dei papiri di Ercolano ancora avvolti, chiusi alla curiosità del mondo. «La mia esigenza - dice - è leggerli, capire che cosa c'è scritto e poterlo fare con attrezzature agili.

Sono ridotti in condizioni impossibili». La voglia di conoscere ha costretto Obbink a ingegnarsi in rudimenti di fisica per immaginare qualcosa capace di sviluppare il progetto di un sistema di scanner multispettrale ideato all'università Brigham Young, nello Utah. «Per indagare materiali danneggiati - aggiunge - finora si lavorava con un meccanismo a luce naturale, ma per le mie ricerche ci voleva altro». Dirk ha contattato Alexander Kovalchuk, suo collega del dipartimento di Fisica e insieme hanno rielaborato l'intuizione dell'accademia americana «L'oggetto che cercavo è questo - dice indicando uno strumento a metà tra un ingranditore per foto e un microscopio - ed è una macchina da 80 mila sterline. Costosa quindì, ma soprattutto ingombrante».

Così all'esigenza primaria di Dirk Obbink, ovvero leggere i papiri, se n'è aggiunta un'altra: leggerli con uno strumento portatile. E nato un aggeggio poco più grande di una stampante che costerà 3mila sterline. «Avevamo capito che si poteva fare», precisa Obbink. Con Kovalchuk si è affidato a Isis Innovatìon, l'istituto dell'università di Oxford che agisce da ìncubator per commercializzare la proprietà intellettuale generata dalla ricerca.

«Accade raramente che a bussare alla porta siano docenti di discipline umanistiche», riconosce Andrea Alunni che per Isis.ricerca potenziali investitori, coraggiosi abbastanza da mettere quattrini sulle acrobazie del genio umano. «li progetto sta decollando. li primo finanziamento di 56mila sterline è stato assegnato nella convinzione che esista un mercato per uno scanner multispettrale portatile con le caratteristiche richieste da Dirk». Convinzione divenuta realtà quando Rtc Innovations di Pechino ha messo 250mila sterline per il 30% di un'idea che si appresta a diventare


industria. Il prototipo è pronto, la produzione imminente. Un'intuizione si fa affare, ma a beneficio di chi? «Di tutti», aggiunge Alunni. «Il modello è semplice. L'università e il ricercatore sono partner al 50% sugli spin off. Quote della società sono poi offerte ai venture capitalists che investono quanto necessario per far decollare l'impresa. La partecipazione di docenti e accademia si riduce, ovviamente, ma resta paritetica».

Il modello descritto è radicato negli Usa, è diffuso in Europa e anche nelle migliori università italiane, ma in Gran Bretagna va ora al galoppo. I cinque poli universitari primari - Cambridge, Ucl, Imperial College, Manchester - hanno istituti analoghi all'Isis di Oxford, Divenuto davvero operativo 'nei 1998, Isis, ha portato lo spin off di 70 imprese, tutte nate dalla curiosità di studenti e ricercatori, Non tutte finite come Powder Jet, oggi in pancia a Novartis, dopo un deal da 800 milioni di sterline chiuso nel 2003. Molte sono fallite. Il 20% circa s'è fermato alfa fase della speranza.


Eccezioni, non regole, se è vero che oggi Oxford ha incassato 56 milioni di sterline dalla vendita di partecipazioni a imprese qui generate e conta altri 30 milioni di quote in portafoglio. «Ogni anno abbiamo un gettito aggiunge Alunni - di circa 7 milioni di sterline dalle licenze sui brevetti. Ne abbiamo 900 nati nei nostri istituti». Se la revenue annuale è ancora piccola cosa, nell'ultimo decennio Isis è cresciuta del 25% all'anno di media.

«Il nome Oxford - continua Alunni - è un magnete nel mondo, soprattutto nei Paesi emergenti. Da quando il Brasile ha fatto una legge per rimborsare i costi delle royalties a chi investe in brevetti innovativi, l'università si è riempita di possibili investitori di San Paolo e Rio». Lo stesso accade nei Paesi del Golfo e, ovviamente, con i cinesi. Tre spin off, i maggiori fra quelli in grembo a Isis, sono al centro di intese con partner di Pechino. Studi sull' Aids, Tbc e un nuovo stent cardiaco. «Europei se ne vedono pochi, italiani pochissimi».

Due nomi per tutti svettano nella pipeline dell'accademia: Oxyteeh, sbocciata dai cervelli di zoologia, capaci di mettere a punto una strategia per il controllo degli insetti (zanzare soprattutto) attraverso la sterilizzazione, e Lightweight Yasa Motors, ovvero motori elettrici ultraleggeri per automobili. Pare che piacciano molto. Ai cinesi, naturalmente.

Leonardo Maisano Anche i papiri spingono l’high tech Il Sole 24 Ore 19 giugno 2011

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 27 giugno 2011


MITI : Majella madre

MITI : Majella madre


L’Abruzzo , con oltre il 30% del territorio inserito nel comprensorio dei parchi, rappresenta la regione più verde d'Europa, superbamente dominata dalle vette più alte dell'Appennino.

Questi scenari straordinari, dai fascini infiniti -dove la natura ha creato stupefacenti prodigi non privi di mistero- sono stati testimoni silenziosi di civiltà antichissime che affondano le radici nella preistoria, nei miti e nelle leggende, trasmesse da tempo immemore di padre in figlio, oralmente e a memoria.

Ignazio Silone ha scritto che "il destino degli uomini della regione che da circa otto secoli viene chiamata Abruzzo e stato deciso principalmente dalle montagne", ma anche l'origine della fiera stirpe abruzzese, "forte e gentile", e legata ai monti; non a caso la Majella e stata chiamata "Magna Mater" da Ovidio, Macrobio e Lucrezio, e "Montagna materna" dal popolo abruzzese.


Il rapporto ancestrale tra l'uomo e l'ambiente continua, silenzioso e inarrestabile, sulle superbe montagne abruzzesi dove "i taciturni dalle spalle quadre", nostalgici delle proprie radici remo¬te, tornano a riscoprire l'originario tempio della vita.

Nella località di Bocca di Valle - nei pressi di Guardiagrele, alle falde della Majella, il mito atavico della "Montagna Madre" rivive, superbamente, nella gigantesca epigrafe scolpita sulla nuda roccia, all'esterno del suggestivo sacrario che accoglie - in una grotta -Ie spoglie dell'eroe abruzzese Andrea Bafile, (medaglia d'oro 'al valor militare), caduto sul Basso Piave nella prima guerra mondiale; la mastodontica iscrizione rupestre, su parole dettate da Raffaele Paolucci, recita testualmente:

"Figli d'Abruzzo morti combattendo per l'italia e sepolti lontano tra le alpi e il mare la maiella madre vi guarda e benedice in eterno". Mai, come questo luogo, il nome di madre e appropriato e commovente. La montagna che nei secoli ha idealmente custodito le vigorose virtù delle genti d'Abruzzo, accoglie nel suo grembo materno un figlio eroico della sua terra, e rappresenta, ad imperituro ricordo, l'altare dell'eroismo abruzzese.


L'inesausta sete di conoscere le nostre radici, e l'ansia, mai sopita, di riscoprire i caratteri originali della nostra cultura, in ogni tempo hanno cercato di ricostruire e ricomporre la genesi delle nostre origini, attingendo alla storia, scavando nella memoria e nei segreti del passato, catturando sinanco nel fantastico e nell'immaginario. Attraverso queste leggende ammalianti, scopriamo moltissimi elementi che ci svelano universi sconosciuti - o poco noti - che ci appartengono, dai quali si e dipanata l'avventura umana.

E' noto, del resto, che i popoli di tutto il mondo non intendono fermarsi ai meri avvenimenti della loro storia di ieri o di oggi, ma vogliono risalire molto indietro nel tempo, e ritrovare, attraverso le loro tradizioni e credenze, la propria identità e le proprie origini.

Il maestoso Gran Sasso, aspro e selvaggio, con le sue vette vertiginose - definito "Re degli Appennini" - e la Majella - denominata "Gran Madre" e "Montagna materna" - con forme gentili, sinuose e morbide, rappresentano i luoghi più incantati e più incantevoli dell'Appennino, e vantano una storia millenaria, antichissima, avvolta da miti e leggende


che ancora oggi esercitano un fascino particolare. Questi attraenti giganti di roccia sono custodi gelosi e silenziosi della nostra storia millenaria e delle nostre origini con radici culturali profonde, fondate anche su fiabe e leggende popolari situate al confine del mondo conosciuto e al di fuori del tempo. Tali racconti, desueti e non convenzionali, ancorati, a volte, alla primitiva visione della natura, contribuiscono alla ricostruzione delle nostre ataviche culture, rifacendosi alle primordiali personificazioni dei monti, agli ancestrali processi antropomorfici, a miti cosmici e a reminiscenze primitive in cui e racchiusa l'essenza autentica del popolo abruzzese

Le montagne, stagliate verso l'infinito e permeate di arcana magia, hanno sempre ispirato l'immaginario, sia individuale che collettivo, sia colto che popolare, con ampi margini di fantasia, ma sappiamo che le leggende che ne derivano, sottendono sempre un fondo di verità.

La fiaba "ci stea 'na 'ote", scritta dal poeta aquilano Mario Lolli, e ambientata nel nostro pianeta, paragonata ad un "gomitolo" (gammotta) - vagante nell'universo insieme alle stelle e ad altri corpi celesti - ricoperto da aridi oceani di rocce, da sconfinate distese di ghiacci e da immense fiumane d'acqua, agli albori delle primordiali e rare forme di vita, prima della comparsa dell'uomo sulla terra.

In questo scenario selvaggio e desolato, l'impervio Gran Sasso e la maestosa Majella - più bella delle altre montagne - assumono sentimenti umani e con la loro storia d'amore, accolta festosa¬mente dal primigenio rigoglio della natura trionfante e variopinta, diventano i protagonisti, responsabili dell'origine della fiera stirpe abruzzese, "forte e gentile".

La fiaba, desueta e al di fuori dei clìches convezionali, rappresenta suggestivamente la "La leggenda dell'Abruzzo" e come ogni favola incomincia con "c'era una volta" (ci stea 'na 'ote).

Camillo Berardi La fiaba suggestiva della Majella madre in Regione Abruzzo Luglio Agosto 2003 pag.35


Eremo Via vado di sole, L'Aquila,
lunedì 27 giugno 2011


sabato 25 giugno 2011

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Falco pescatore

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Falco pescatore


Se ne era andato 42 anni fa. Ucciso dai cacciatori perché la legge non lo vietava Depredati i grandi nidi, visibili a chilometri di distanza e per questo vulnerabili. Rubate le uova, considerate ambiti oggetti da collezione. Ma l'ora della rivincita è scattata .

A Grosseto domani si festeggia il ritorno in Italia del falco pescatore, rapace raro, spettacolare, dalle ampie ali. Un fuoriclasse grazie all'abilità di intercettare la preda dall'alto, tuffarsi in mare a zampe tese e risalire in cielo dopo aver afferrato sotto il pelo dell'acqua la guizzante vittima di turno. Per la prima volta dal 1969 il bellissimo uccello dalle piume bianche e gli occhi bistrati di nero ha di nuovo preso dimora nella penisola Esattamente nel Parco della Maremma, vicino alla foce del fiume Ombrone, in un' area palustre.


Una coppia di Pandion haliaetus ha appena dato alla luce un pullo, un bebè. Altre nascite si attendono a giorni. Significa che la colonizzazione è ripartita dopo una lunga pausa. Prima di scomparire dai nostri orizzonti; l'aquila marina (haliaetus) aveva nidificato lungo le coste sarde e siciliane. In tempi precedenti il Pescatore aveva scelto come suo territorio l'isola di Montecristo, origine documentata in alcuni testi dell'epoca. Ecco perché la Toscana è stata giudicata la zona più adatta per tentare il recupero.

Il successo è legato a un progetto dell'Ente parco maremmano e del Parco regionale della Corsica dove la specie è ben rappresentata (30 coppie albergano sulle rocce della marina di Scandola). «Dal 2006 ogni anno abbiamo portato qui dei giovani esemplari creando attorno a loro un habitat favorevole. L'altro anno il primo accoppiamento.



La coppia si è messa insieme ad agosto. Solo quando abbiamo visto la femmina in cova abbiamo potuto considerare compiuta la riconquista di questo predatore, sempre più raro nell'area del Mediterraneo», racconta con passione uno degli artefici del miraco¬lo, Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi e dell'ente Parco Maremma, biologo esperto in rapaci. All'operazione hanno partecipato Legambiente e Wwf Italia .

Andrea Sforzi, responsabile scientifico del progetto e direttore del Museo di storia naturale della Maremma, sottolinea l'importanza di questo risultato dal punto di vista della «ricostruzìone della complessa piramide alimentare che caratterizza gli ecosistemi acquatici, dove il falco pescatore rappresenta il. vertice».

Animale specialissimo, il piumato figliol prodigo. Costruisce nidi enormi, dunque attaccabili perché possono essere individuati anche da molto lontano. Preferisce prendere domicilio su scogliere a picco sul mare, però non disdegna gli alberi. È però fondamentale per lui essere inquiIino unico e indisturbato. I partner pretendono privacy e non tollerano che il loro territorio venga occupato da altri vicini. Un maschio corteggia la femmina portandole pesce.

Se lei accetta il dono vanno a vivere insieme e mettono su casa. Da quel momento in poi, dopo l'ufficializzazione, la famiglia può allargarsi.


La popolazione mediterranea del falco marino è ridotta all'osso. Un centinaio di coppie distribuite tra Corsica, isole Baleari, Algeria e Marocco. In Corsica il predatore ha rischiato di seguire lo stesso destino subito da altre specie. Nel 1974 solo quattro coppie superstiti. Poi il salvataggio da parte del parco regionale dell'isola.

Gli amici umani del falco pescatore dopo il lieto evento di queste settimane guardano oltre.Un sogno è riportarlo laddove nel 1929 è cominciata la sua storia italiana: A Montecristo; sua prima patria Sono già in corso contatti col Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano, a settembre verranno costruiti nidi artificiali lungo le coste rocciose dell'isola.



Margherita De Bac mdebac@corriere.it La rivincita del falco pescatore . Torna in Italia dopo 42 anni. 2 giugno 2011



Eremo Via vado di sole, L'Aquila,
sabato 25 giugno 2011




STORIE E VOCI DAL SILENZIO : La storia si ripete. Ma sembra solo….

STORIE E VOCI DAL SILENZIO : La storia si ripete. Ma sembra solo….


Il 28 giugno del 1981 è una data che . ormai non ricorda più nessuno, credo. Però in quel giorno accadde un evento importante per il nostro Paese, che avrebbe potuto portare uno sviluppo diverso della politica e dell' economia italiana. Quel giorno, infatti entrò in carica il primo Governo dell'Italia del dopoguerra presieduto da un non democristiano, GiovanniSpadolini.

Allora come oggi, l'Italia e il mondo erano in crisi. L'Occidente era in recessione dopo aver patito da poco tempo il secondo shock petrolifero dovuto alla rivoluzione degli ayatollah in Iran. Inoltre, l'espansionismo di Mosca sembrava dilagante: dal 1974 erano diventati comunisti o fìlo-sovietici Laos, Cambogia, Vietnam del Sud, Etiopia, Angola, Mozambico, Nicaragua e nel 1979 l'Armata Rossa aveva invaso l'Afghanistan. I russi avevano inoltre installato i missili SS20 puntati sull'Europa occidentale, percorsa da fremiti di pacifismo ingenuo o prezzolato. In Italia l'inflazione aveva toccato il 21 %, la crescita del Pil era ferma, le lotte sociali riprese con vigore. In più, il Paese era ancora sotto la cappa degli anni di piombo, la malavita organizzata era entrata clamorosamente nella scena politica con il rapimento déll'assessore campano della Dc Ciro Cirillo da parte delle Br e . che vide protagonista nelle trattative per il suo rilascio la camorra.

Soprattutto, era scoppiato lo scandalo della loggia massonica segreta P2, guidata da Licio Gelli. La P2 era uno strano groviglio di politica e affarismo che però annoverava ministri, generali, diplomatici, imprenditori, giornalisti e politici e fu percepita come una minaccia golpista. Incapace di fronteggiare l'urto, il debole Governo Forlani cadde e fu allora che, in clima di emergenza nazionale, venne chiamato a formare il Governo Spadolini, professore universitario, ex direttore del Resto del Carlino e del Corriere della Sera, segretario del Pri e presidente della Bocconi, un intellettuale "prestato alla politica" che, come diceva il suo amico Montanelli, quando passava lasciava l"'odore del pulito di bucato".

Bene, finita la commemorazione?

Sì e no. I nostri problemi di allora sono diversi, ma simili. In quel momento inflazione e recessione erano il mostro da combattere, oggi il debito pubblico e la stagnazione. La P3 e la P4 odierne sono pallide controfigure della P2, ma la tenaglia della corruzione e dell'affarismo avvinghia ancora la nazione. L'imperialismo sovietico è stato sconfitto, ma la situazione internazionale è tutt'altro che calma specialmente per le turbolenze del mondo arabo e dell'islamismo militante che ci toccano direttamente.


Cosa fece all'epoca Spadolini? Si diede delle priorità e parlò al Paese. L'inflazione in due anni scese di 5 punti, il debito pubblico, nonostante i deficit, scese in percentuale al Pil e venne ristrutturato il ministero del Bilancio attraverso un vaglio di efficienza degli investi¬menti pubblici affidata a un apposito Nucleo di valutazione. In politica estera ci fu la scelta di Comiso per l'installazione degli euro missili americani. Ma fu sul piano della lotta alla criminalità che il Governo laico si distinse. Venne dato il colpo di grazia al terrorismo rosso dopo il sequestro e la successiva liberazione del generale americano Dozier, si inviò - come segnale d'impegno dello Stato, poi finito tragicamente - il generale Della Chiesa in Sicilia per organizzare la lotta alla mafia, si smantellò la loggia P2 emarginandone dalla vita politica i protagonisti e, nel caso dello scandalo del Banco Ambrosiano, il ministro Andreatta riuscì a commissariarlo affidandolo alle mani del professor Bazoli, sfidando così i malumori del Vaticano.

Naturalmente altre cose andarono male. Il Pil agganciò il treno della ripresa solo verso la fine del 1982, la crisi delle isole Falkland fece cozzare l'atlantismo filo-britannico di Spadolini con il terzomondismo pro-Argentina (dei generali torturatori, che vergogna') di socialisti e Dc e infine la famosa "lite tra le comari", il socialista Formica e il democristiano Andreatta, affossò il Governo.

Quell' esperienza però insegnò che è possibile coniugare determinazione e cultura nell'impegno politico, unire il Paese di fronte a grandi obiettivi e risolvere problemi che sembrano intrattabili.


La campagna elettorale del 1983 del Pri raffigurante un sorridente Spadolini ritratto da Forattini e che recitava «con quale politico italiano vorresti andare a cena stasera?», coglieva un tasto: si può essere rispettati anche al di là dei propri fan urlatori quando si ha la statura giusta.

Statisti provenienti dalla società civile, ma impegnati nella politica (e all'epoca, oltre Spadolini, da Giolitti a Merzagora, da Visentini ad Andreatta fino a un giovane Amato ce n'erano); chiarezza nei principi e nell'eloquio; capacità di darsi priorità; rigore e onestà nei comportamenti pubblici e privati; coraggio di scelte scomode. Non mi sembra che quanto è necessario nel 2011 sia così diverso da quel che serviva 30 anni fa.

Alessandro De Nicola Il profumo di pulito di Spadolini Il Sole 24 Ore 19 giugno 2011 n.165

adenico/a@adamsmithit

Eremo Via vado di sole , L'Aquila,
sabato 25 giugno 2011


venerdì 24 giugno 2011

AD HOC : Federalismo demaniale .La privatizzazione di un patrimonio

AD HOC : Federalismo demaniale .La privatizzazione di un patrimonio


Contrabbandata fra le «Disposizioni urgenti per l'economia» del decreto-legge 70 del 13 maggio, prosegue l'escalation del governo contro la tutela del paesaggio e dell' ambiente, contro la Costituzione che ne è (o dovrebbe essere) garanzia suprema. La cannibalizzazione del territorio non si limita alle disposizioni' "ammazza coste" che di fatto consegnano ai privati ampie e preziose porzioni di territorio, che appartengono a noi tutti. Nel decreto c'è di più, e di peggio. Per esempio, l' articolo 4 porta a 70 anni la soglia «per la presunzione di interesse culturale degli ìmmobili pubblici», che fu fissata a 50 anni dalla legge Nasi del 1902 e tale è rimasta fino al Codice Urbani del 2004. Che cosa può voler dire una differenza di vent'anni? Semplice: un edificio del 1943 come il Palazzo della Civiltà del Lavoro a Roma- Eur (il "Colosseo quadrato"), oggi presuntivamente di interesse culturale, con la nuova norma diventa disponibile per alienazioni, cartolarizza-zioni, ristrutturazioni.


Edifici degli anni Cinquanta potrebbero essere privatizzati senza verifiche dal "tana-Iìbera-tutto" del nuovo decreto.

Ci vuol poco a fiutare dietro questa norma l'ombra sinistra del "federalismo demaniale", che consegna a regioni e comuni le proprietà del demanio nazionale (cioè di noi tutti), invitando gli enti locali a "valorizzare" chiese e palazzi, cioè a venderli, anzi (come già si sta vendendo) a svenderli, privatizzando al ribasso. E infatti il comma 16 dello stesso articolo agita la bandiera del federalismo demaniale per coprire , con una spolveratina di zucchero un altro boccone avvelenato. Il limite per.la verifìca di interesse culturale . viene portato a settant' anni non solo per gli immobili pubblici, ma anche per quelli degli enti ecclesiastici ed assimilati (come il Pio Albergo Trivulzio), con conseguente certa dispersione degli arredi. Si aprono così le danze di ulteriori affari,per gli amici degli amici, incrementando festeggiamenti e brindisi nelle botteghe di mercanti pronti al saccheggio.

Come scusante di altre privatìzzazioni si invocò in passato la pubblica vigilanza su edifici di interesse, culturale, poiché una norma già presente nella legge Bottai del 1939 e ripresa dal Codice Urbani ( l’articolo 59) prescrive che il proprietario debba comunicare al Ministero «ogni atto che ne trasmetta in tutto o in parte la detenzione». Niente paura, il governo ha pensato anche a, questo: questa norma viene semplicemente soppressa (art.4, c.16, m.4 del decreto), cestinando la fastidiosa ipotesi chele Soprintendenze, sapendo chi ha in mano un immobile storico, possano verificarne la conservazione. Potremo così sventrare impunemente palazzi del Seicento, trasformare chiese in discoteche e conventi in supermercati o condomini, senza che nessuno ci metta il naso. Già depotenziata per l'assenza di risorse e il calo di personale,la pubblica amministrazìone della tutela viene in tal modo inceppata rendendo di fatto impossibile ogni vigilanza


Il punto più basso del decreto legge è' però un altro. Nello stesso art.4 c16,e sempre “per riconoscere masima attuazione al federalismo demaniale “ il decreto introduce una “semplificazione “ che capovolge la lettera e il senso del Codice Urbani su un punto di capitale importanza la tutela del paesaggio. Secondo il Codice (art.146 c,5 ), il parere del Sovrintendente sulle autorizzazioni paesaggistiche è "vincolante” in prima applicazione ,ma diventa solo “ obbligatorio “ una volta che i vìncolì paesistici siano stati incorporati negli strumenti urbani e di piano.

Applicando al parere del Soprintendente il silenzio assenso ,il decreto cancella anche questa salvaguardia.. Viene così calpestato il principio (sempre affermato dalla legge 241 del 1990 ad oggi). secondo cui il silenzio-assenso non può mai riguardare beni e interessi di valore costituzionale primario come il patrimonio storico-artistico e il paesaggio. Principio riaffermato dalla Corte Costituzionale, secondo cui in materia ambientale e paesaggistica «il silenzio dell' Amministrazione preposta non può aver valore di assenso» (sentenze 26 del 1996 e 404 del 1997) .


La nuova norma, se non fermata in tempo, avrebbe natura eversiva, poiché capovolge la gerarchia fra un principio fondamentale della Costituzione (art. 9: « La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione») e la libertà d'impresa che l'art. 41 garantisce purché non sia «in contrasto con l'utilità sociale», nel nostro caso rappresentata dalla conoscenza,.tutela e fruizione pubblica del patrimonio culturale e del paesaggio. Si . darebbe così per approvata la modifica dell'art. 41 periodicamente sbandierata dal governo e appoggiata da Confindustria, ma neppur discussa dalle Camere, secondo cui «gli interventi regolatori dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali che riguardano le attività economiche e sociali si informano al controllo ex post». In questa proposta di controllo postumo, che equivarrebbe di fatto all'azzeramento di ogni controllo, è la radice del silenzio-assenso elevato a principio assoluto: in una Costituzione immaginria,non nella Carta vigente,la sola a cui dobbiamo rigorosa fedeltà.


Scardinare i principi della tutela e dell'utilità sociale è una bomba a orologeria sganciata sulla Costituzione, in cui questi principi sono saldamente ancorati a una sapiente architettura di valori. Si legano al forte richiamo al «pieno sviluppo della personalità umana» (art. 3), coi connessi valori di libertà e di eguaglianza dei cittadini; si legano ai «diritti inviolabili dell'uomo » connessi alle «formazìonì sociali dove si svolge la sua personalità>. e ai «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2). La convergenza fra tutela del paesaggio (art. 9) e diritto alla salute «come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività>. (art. 32) ha inoltre 'fondate la' tutela dell'ambiente come valore costituzionale primario. In questo sistema di valori a difesa del cittadino, la priorità dell'interesse pubblico non cancella, ma limita i diritti della proprietà privata.

Le cosiddette "disposizioni urgenti per l' economia" non sono pensate in beneficio del Paese,ma di pochi affaristi pronti a spartirsi il bottino, sperperando un portafoglio proprietario, quello dei beni pubblìci come le coste e le spiagge) e degli immobili pubblici, ma anche dei paesaggi e dei monumenti soggetti a tutela, devastato da uno sgangherato "federalismo demaniale". Esso non è, come ha detto il presidente del Veneto Zaia,la«restituzione ai legittimi proprietari» di beni indebitamente sottratti da uno Stato-ladrone. Legittimi proprietari dei beni demaniali e dei beni pubblici (come l' acqua su cuì siamo chiamati ora a votare) sono tutti gli italiani, "ladro" è semmaì chi ci borseggìa inscenando lo spezzatino del federalismo, in nome del quale nascono anche le norme più dirompenti del recente decreto-legge. Prima che esso venga convertito in legge, c'è tempo e modo di porvi rimedio.

Salvatore Settis : La privatizzazione di un patrimonio Repubblica 25 maggio 2011

Le foto sono opere di Eleonora Muti

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 24 giugno 2011


SILLABARI : Green Economy

SILLABARI : Green Economy


I finanziamenti per le fonti rinnovabili che nel mondo sorpassano per il terzo anno consecutivo quelli per le fonti convenzionali, toccando i 243 miliardi di dollari nel 2010.

La Cina che sta conquistando la leadership nel mercato globale delle rinnovabili.

L’Agenzia europea dell'ambiente che nel rapporto del dicembre scorso certifica il boom delle eco-industrie: nel 2008 nell'Europa a 27 hanno fatturato 319 miliardi di euro (il 2,5 per cento del Pii) e dato lavoro a 3,4 milioni di persone.

Nonostante la partenza più lenta del previsto degli Stati Uniti di Obama, in molti Paesi la green economy marcia in controtendenza rispetto alla crisi. E anche in Italia lo stop and go delle misure governative non è riuscito a fermare il mercato: solo gli sgravi fiscali per chi combatte gli sprechi energetici in casa hanno mosso 12 miliardi di euro di fatturato. Il consenso si allarga di pari passo. «Da un sondaggio Ipsos del novembre scorso risulta che tre italiani su quattro ritengono lo sviluppo di un'economia verde fondamentale per far crescere il Paese e renderlo più competitivo» ricorda Ermete Realacci, responsabile green economy per il Pd. E la Cgil nei giorni scorsi ha lanciato un patto con l'obiettivo di creare 250 mila nuovi posti di lavoro entro la fine del decennio, in linea con la «terza rivoluzione industriale» teorizzata da Jeremy Rifkin.


La via italiana al lavoro verde è del resto già a quota centomila addetti (diecimila nell'eolico, il settore più importante), e cresce. Nel campo del solare termodinamico, per esempio, la ricerca ha messo a segno un colpo importante con il progetto Archimede del Nobel Carlo Rubbia. Questa tecnologia si basa sull'accumulo del calore riflesso da specchi, ed è considerata promettente al punto che la azienda Angelantoni, che ha brevettato una parte dell'impianto, cioè il sistema di isolamento dei tubi che vanno dagli specchi alla turbina, è stata acquistata al 45 per cento dalla Siemens. L'Italia è entrata dal marzo scorso anche nella sfida del progetto Desertec, che prevede lo sfruttamento dell'energia solare nel Sahara: un investimento da 400 miliardi di euro per dare all'Europa, entro il 2050, il 15 per cento dell'elettricità di cui ha bisogno.

E sempre da noi è stato messo a punto un progetto per produrre biomasse ed estrarne energia in modo ambientalmente corretto, cioè senza il trasporto a lunghe distanze e l'uso intensivo di pesticidi e fertilizzanti chimici. «Dalle foreste si possono ricavare ogni anno tre milioni di tonnellate di biomassa» spiega Rìccardo Valentini, ordinario di ecologia all'ateneo viterbese. «Dai campi ne vengono altri tre milioni. Aggiungendo 1,5 milioni di tonnellate da residui industriali si arriva a 7,5 milioni. Quanto basta per dare lavoro a 40 mila persone evitando l'emissione di 14 milioni di tonnellate di CO2.


Dal mondo agricolo arrivano anche altre proposte. In Emilia Romagna la Raggio Verde di Arturo Malagoli ha rilanciato, per la produzione di carta e tessuti, la coltivazione della canapa, una pianta che cresce senza bisogno di irrigazione e sostegni chimici ed è l'unica erbacea capace di catturare ossigeno e purificare il terreno delle ex discariche assorbendo piombo e metalli pesanti. Un'iniziativa che si è di recente allargata ad altre zone (da Siena a Rovereto) e ad altri settori di impiego, come la cosmesi, che usa l'olio di canapa come principio attivo della linea di produzione bio-ecologica.

Se è importante ottenere energia e materie prime pulite, altrettanto necessario è migliorare le tecniche per aumentare l'efficienza dei sistemi. È quello su cui ha scommesso un'azienda romagno¬la, la Umpi di Cattolica, che è riuscita a illuminare La Mecca brevettando un sistema che consente di trasformare milioni di punti luce in una rete intelligente. «Mettendo sui lampioni una scatola grande quanto un pacchetto di sigarette, possiamo gestire dalla Romagna le strade di Gedda come i palazzi di Londra: i pali della luce diventano terminali di un sistema che utilizza i fili elettrici per far passare segnali e istruzioni» racconta il fondatore della società Piero Cecchini. «Dai lampioni ci arrivano così in ufficio tutte le informazioni necessarie per dosare la luce che serve in un certo luogo e in una certa ora, per governare il ritiro della spazzatura quando i cassonetti sono pieni, per far arrivare notizie meteo per l'agricoltura, per creare un punto di ricarica per le auto elettriche. Il pay back è a 3-5 anni e i consumi per l'illuminazione si abbattono di oltre un terzo».

Il miglioramento delle performance energetiche e ambientali si accompagna alla messa a punto di sistemi di misurazione sempre più precisi e affidabili. «Tra il 2002 e il 2009 il numero di certifi¬cazioni Emas, lo strumento di certificazione ambientale europeo, è aumentato di nove volte ed è un trend destinato ad accentuarsi» precisa Luca Petrillo, di Bureau Veritas Italia, uno dei leader mondiali nel settore. La richiesta di certificazione cresce soprattutto nel campo delle case, che in Italia consumano il doppio della media europea. «Gli edifici succhiano il 40 per cento dell'energia» ricorda Mario Zoccatelli, presidente del Green Building Councìl (Gbc), un'asso¬ciazione senza scopo di lucro della filiera edile. «Per arginare questo spreco stia¬mo lanciando il Leed, il marchio americano che rappresenta lo standard più elevato di qualità edilizia: il villaggio olimpico di Pechino, la Coppa del mondo di calcio in Brasile nel 20l4, le Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 sono tutti eventi Leed. In questo momento nel mondo ci sono 30 mila edifici pronti per essere certificati con il nostro marchio e l'Italia è al nono posto con 67 progetti, che muovono tre miliardi di fatturato».

Ma costruire significa anche affrontare il problema dei rifiuti. Francesco Galanzino, maratoneta e testimoniai per la campagna clima di Greenpeace, e Fabio Catanzaro, imprenditore dei rifiuti impegnato sul fronte antimafia, hanno brevettato il GeCoz, un sistema di biofiltrazione che cattura il metano prodotto dalle discariche anche quando è in quantità non sufficiente per venire assorbito dai sistemi convenzionali. Un bel vantaggio, visto che il metano inquina almeno 21 volte più della CO2.

ANTONIO CIANCIULLO Il made in Italy si fa strada anche nel verde Il Venerdì di Repubblica 25 marzo 2011


Eremo Via vado di sole , L'Aquila,
venerdì 24 giugno 2011


mercoledì 22 giugno 2011

SILLABARI : Dono

SILLABARI : Dono

Il dono tra l’impossibile e il pensabile

di Susanna Janina Baumgartner


Il dono, se vi è dono, può essere possibile solo nell’istante che interrompe il tempo come circolo, e che sottintende quindi sempre un ritorno. Quando vi è circolazione di beni, vi è economia. Il dono, per essere dono, dovrebbe rompere l’inevitabile catena dello scambio tra donatario e donatore, essere aneconomico, mantenendo nei confronti del circolo un rapporto di estraneità. È forse proprio in questo senso che il dono è impossibile. Di più, è l’impossibile, come scrive Jacques Derrida in Donare il tempo. La moneta falsa (edito in Italia da Raffaello Cortina).

Affinché vi sia effettivamente dono, non deve esserci reciprocità, scambio, debito contro-dono che rende il dono una trappola per afferrare l’altro nella rete dell’obbligo, per legare e togliere libertà all’altro. Il donatario ha il dovere di non dovere, se vi è dono, e il donatore di non dare per scontata la restituzione. Bisognerebbe non riconoscere il dono come dono, perché già riconoscendolo come dono, come presente, entra in gioco uno scambio, a livello simbolico, che pone una condizione o condizioni fra chi dona e chi riceve. E tuttavia non vi è dono senza l’intenzione di donare; intenzione che fa correre al dono il rischio di trattenersi. Il dono, come l’evento, come evento, deve restare imprevedibile, ma restarlo senza trattenersi. Deve apparire


Ci vuole del caso, dell’occasionalità, dell’involontario e ci vuole anche della libertà intenzionale, perché vi sia l’evento in grado di nominare il dono in quanto tale. Forse, è proprio nel tratto che si crea tra l’impossibile e il pensabile che si apre la dimensione in cui c’è dono, e anche la dimensione dove può esserci il tempo per donare e per essere. Questo tratto, che consiste in un non trattenersi, è la traccia che, come cenere, richiama un evento; l’istante di un tempo senza tempo che è già l’oblio. L’oblio sarebbe nella condizione del dono e il dono sarebbe nella condizione dell’oblio. Non si tratta quindi di condizioni nel senso in cui si pongono delle condizioni.

È necessario che ci sia evento, dunque richiesta di racconto ed evento di racconto, affinché ci sia dono o fenomeno di dono. Il dono e l’evento non obbediscono a niente, se non a principi di disordine, cioè a principi senza principio; devono lacerare la trama, devono perturbare l’ordine della causalità, in un istante.

L’oblio, se è costitutivo del dono, non può essere privo di un rapporto con l’oblio dell’essere; l’oblio è un altro nome dell’essere. Condizione affinché si dia un dono, è che vi sia oblio dal lato del donatario e dal lato del donatore. Non vi deve essere “soggetto” che conservi nella memoria il dono; se vi è memoria, verrà ricordato come simbolo in generale, come simbolo di un sacrificio che implica immediatamente una restituzione.

Il sacrificio si distingue sempre dal dono puro (se ce n’è). Il sacrificio propone la sua offerta solo nella forma di una distruzione contro cui scambia, spera o dà per scontato un beneficio. Lacan scrive, riguardo al sacrificio, che non è destinato né all’offerta né al dono, ma alla cattura dell’Altro nella rete del desiderio. Un dono, nella sua purezza, non deve essere legato e nemmeno essere legante, obbligante.

Il dono, eccedendo, dona il tempo. Dove c’è il dono, c’è il tempo. Questo dono del tempo, è anche una domanda di tempo. Non è nel tempo, ma chiede e prende tempo. Il dono si legherà, pur senza legare, alla necessità di una certa poetica del racconto. Il donato del dono non accade, se accade, che nel racconto. E in un simulacro poematico della narrazione.


Si ritorna alla problematica della traccia che si intreccia con quella del dono e che si inscrive nella scrittura stessa, nel testo. Ciò non implica che la scrittura sia generosa e che il soggetto scrivente sia un soggetto donante; ma lì dove c’è traccia e disseminazione, se ce n’è, può avere luogo un dono. Un istante raccontato, donato, che dona e uccide il tempo e può così nominare il dono; perdendolo e conservandolo nell’istante stesso del racconto. Nel desiderio di “produrre un evento”, un’occasione di creare l’evento-dono. Si può donare con generosità, ma non si può donare per generosità. Affinché vi sia una possibile purezza dell’impossibile dono e perché questo dono sia quantomeno pensabile e nominabile. fortuito, essere vissuto in ogni caso come tale.


Eremo Via vado di sole , L'Aquila ,
mercoledì 22 giugno 2011