domenica 29 novembre 2015

VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI da "Il disegnatore di alberi" di Roberto Amato






Da quando il mondo è finito ti scrivo con più regolarità
(ogni giro di luna).

Dico finito ma esagero.
Ogni cosa è al suo posto.
Ma sono i posti
che non ci sono più
che sono incasellati in un termitaio:
un favo abbandonato dalle api.


probabilmente
esiste un Ordine Conclusivo.
(Voglio dire che il mondo non è stato ammassato a caso).

Ma noi non siamo interessati a queste cose.
Noi volevamo affittare un monolocale
per avere qualche rapporto intimo (non proprio sessuale):
ad esempio lavarci reciprocamente i capelli e pettinarci
e poi scegliere i nostri vestiti secondo una logica
che a me piacerebbe definire
stringente.

Poi volevamo costruire una libreria in cucina. Un vero ricettario
perché secondo me nella vita non si dovrebbe fare altro che cucinare
anche se poi non si mangia quasi niente.
Di Roberto Amato
Le cucine celesti, Diabasis, 2003 (Premio Viareggio-Répaci per la Poesia)
Gli sposi, Diabasis, 2004 (Plaquette fuori commercio)
L’agenzia di viaggi, Diabasis, 2006 (Premio Spallicci)
Il disegnatore di alberi, Elliot, 2009
L’acqua alta, Elliot, 2011
Lo scrittore di saggi, Elliot, 2012
Le città separate, Elliot, 2015
Eremo Rocca Santo Stefano Domenica 29 novembre 2015**

Quand’è l’ultima volta





Quand’è l’ultima volta io non lo so
non me la ricordo perché non ho ancora imparato
a baciarti con più calma .Nessuna immaginazione.
Io non so scrivere proprio niente
di tutto questo e le mie parole non saranno mai
un viatico,piuttosto congegni e scambi
per un viaggio che l’unico  tempo  tenta di ricomporre 
passeggiando  su binari paralleli,intersecanti  e  all’incontrario ,
tutti con un loro tempo proprio che mai s’incontra
con l’altro. Ripiombano   per una tenia, un tarlo,
una memoria   le ore  in tutto quello che ci rimane di verde;
che abbiamo avuto  lunedì
un po’ di rosa nel cielo ,un po’ d’arancio nei campi
e tutti gli altri colori per i restanti giorni
della settimana.
Solo questo abbiamo avuto .
 E siamo a rincorrere un tempo in fuga perpetua
che cancella tutto
quello che ruba e quello che ritrova.
 Valter Marcone 

Eremo Rocca Santo Stefano  Domenica 29 novembre 2015



Terre Memori, terre sorelle







Riportiamo la testimonianza di Barbara Vaccarelli pubblicata sul volume Territorio e Democrazia: un laboratorio di geografia sociale nel doposisma aquilano (L’Una, 2012 – a cura di Lina M. Calandra). Il volume è stato presentato nell’ambito del Seminario itinerante sui luoghi del cratere aquilano (3-5 maggio 2013) promosso dalla Società Geografica Italiana e tra le varie iniziative è stato coinvolto anche l’Osservatorio sul Doposisma.

Non credo che ci sia, oggi, un’altra maniera di salvarsi l’anima. Si salva l’uomo che supera il proprio egoismo d’individuo, di famiglia, di casta, e che libera la propria anima dall’idea di rassegnazione alla malvagità esistente. Cara Cristina, non bisogna essere ossessionati dall’idea di sicurezza,neppure della sicurezza delle proprie virtù: Vita spirituale e vita sicura, non stanno assieme.
Per salvarsi bisogna rischiare.
I. Silone, Vino e pane, 1975
Terre Memori, terre sorelle
A dicembre 2011 si apre all’Aquila Terre Memori: dall’Irpinia all’Aquila. I luoghi dei diritti negati, una rassegna letteraria e di studi sulle comunità del dopo sisma organizzata dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università dell’Aquila in collaborazione con L’Aquila e-Motion e l’Osservatorio permanente sul dopo sisma di Auletta-Pertosa. Tutti i libri e documentari presentati fino a oggi hanno concentrato l’attenzione su quanto sia importante non ripetere, qui e ora, gli stessi errori delle ricostruzioni decise 32 anni fa; su come si possa ripristinare (e forse reinventare) un nuovo senso di appartenenza che tenga unita la ricostruzione materiale a quella sociale; sul dovere di vigilare e impegnarsi per scrivere un nuovo capitolo nel territorio aquilano anche attraverso l’apertura verso quelle comunità che nei passati decenni hanno subito decisioni dall’alto.
L’Aquila e-Motion nasce nel 2010 come sito da un gruppo di amici decisi a creare un contenitore di idee, di spunti di riflessioni e anche un raccoglitore di memoria sulla scossa del 6 aprile 2009. Tra i tanti obiettivi del sito c’è quello di favorire lo scambio, la condivisione e il confronto delle idee. È questa nuova vita da terremotata che mi ha portato ad aprire orizzonti di confronto. Gli spunti sono infiniti se vai alla ricerca di chi ha vissuto un terremoto e se costui/costei sa indicarti come sarà tra una settimana, un mese, un anno la tua vita; cosa ti puoi aspettare e cosa ti sarà negato. Dopo aver subito la perdita della mia città il 6 aprile 2009, è stato inevitabile associare ciò che anni prima avevo visto in tv e sentito da tanti amici sulle conseguenze di quel 23 novembre 1980, a ciò che ora vivevo io. Ho capito che vivere un terremoto è fondamentalmente diverso dal sentimento di compassione e dolore  che si prova quando lo si guarda da “fuori”. Con tutto l’impegno possibile non si riesce a comprenderne la portata e quanto ne possa essere travolta la vita, tua e della tua comunità. E la perdita di tutti i punti fermi che la sostengono.
All’inizio di questo percorso “emozionale” ho avuto la fortuna di conoscere all’Aquila  Antonello Caporale in occasione della presentazione del suo libro Peccatori che dedica il capitolo “non uccidere” al sisma del 6 aprile 2009 con la testimonianza aquilana di Rossella Graziani. Da questo momento vengo coinvolta per il sito dell’Osservatorio permanente sul dopo sisma (di cui è direttore Antonello Caporale) che nel tentare di riannodare il filo della memoria dei luoghi colpiti dal sisma del 23 novembre 1980, si allarga agli altri terremoti italiani. L’Osservatorio, finanziato dalla Fondazione MIdA che destina allo scopo, in coerenza con gli obiettivi statutari, parte dei proventi derivanti dalle proprie attività, indaga e analizza le trasformazioni sociali, ambientali, economiche successive al sisma, promuovendo l’analisi e la ricerca scientifica in diverse discipline. È in questo contesto che ho la fortuna di conoscere i “figli del terremoto irpino”, impegnati nella ricerca sul territorio colpito dal sisma del 1980 per capire e ricostruire la storia del “prima” e della ricostruzione non ancora finita; per raccogliere testimonianze; per trovare un modo per ripristinare il meglio del passato proiettandolo in un nuovo futuro che promuova la cultura e le peculiarità dei territori che ancora vivono i segni del loro sisma, nel bene e nel male. È un gruppo di giovani ricercatori e giornalisti impegnati su tantissime tematiche riguardanti il territorio irpino, da quelle sociali a quelle economiche, con particolare attenzione a tenere sempre il filo che lega la memoria dei luoghi. Scrivono, pubblicano, documentano, filmano, denunciano, raccontano quello che non c’è più, quello che servirebbe a correggere – se possibile – le scelte sbagliate della ricostruzione sul loro territorio, stravolto per sempre insieme alla vita, ai paesi della Campania e della Basilicata.
Io sono nata e vivo all’Aquila, terra sorella dell’Irpinia anch’essa su quell’Appennino che ci unisce nel destino delle avversità e della voglia di rinascere dalla distruzione. Per noi qui sono passati poco più di 3 anni da quando abbiamo perduto i nostri luoghi, per gli irpini più di 30 anni.Non ho mai pensato di fare paragoni sui danni materiali, sulle vittime che questi due terremoti hanno provocato.  Ho imparato a non competere su nessuna disgrazia e a pensare che dagli errori e dalla sofferenza provocata da uno Stato “distratto” verso le vite umane, dalle classificazioni sismiche sbagliate della dorsale appenninica, non possono che nascere dialoghi e scambi perché invece, rispetto agli sprechi, alle inefficienze è bene dire le cose come stanno. Nel giro di pochissimi mesi, nel terremoto dell’Aquila si sono spese enormi risorse come sul libro-inchiesta Terremoti S.p.A. di Antonello Caporale è chiaramente messo in evidenza con dati alla mano.Conta il contesto storico: 1980, periodo storico di grande impegno politico ma anche dell’economia che si avvia a declino; 2009, periodo che raccoglie gli esiti di 20 anni di berlusconismo.

Da la Repubblica, 11 febbraio 2010: “… Alla Ferratella occupati di sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito, non è che c’è un terremoto al giorno”. “Lo so”, e ride. “Per carità, poveracci”. “Va buò”. “Io stamattina ridevo alle tre e mezzo dentro al letto”.  Colloquio telefonico all’alba del 6 aprile 2009 tra gli imprenditori Francesco Maria De Vito Piscicelli, direttore tecnico dell’impresa Opere pubbliche e ambiente Spa di Roma, associata al consorzio Novus di Napoli e il cognato Gagliardi.
E conta il ruolo dei media: 1980, gli albori di Mediaset; 2009, l’impero di Mediaset. Ho imparato a capire in questi tre anni cosa riesce a fare la differenza sui trent’anni che separano le due “catastrofi”. Non è la tecnologia a fare la differenza visto che non c’è stata prevenzione né nell’uno né nell’altro caso e visto che il terremoto dell’Irpinia non ha insegnato nulla, o quasi, a questo paese. Negli anni ’80 non c’erano le intercettazioni telefoniche, in questi anni sì. In Irpinia subito dopo il sisma sono nati i comitati, anche all’Aquila. In Irpinia i sindacati furono molto attivi, qui no. Lì si occupò l’autostrada (“Terre in moto” documentario di Citoni, Siniscalchi, Landini 2006) e in alcuni centri storici si proposero ricostruzioni dal basso; qui, le 19 new town sono la prova concreta di una grande mangiatoia, dell’inganno di noi abitanti, dei massimi guadagni per alcune imprese del Nord: sembra che gli isolatori non siano antisismici! Ecco che di nuovo abbiamo toccato con mano che non siamo altro che carne da macello (Il fatto quotidiano, 23 luglio 2012). Dopo il terremoto del 1980 nasce la Protezione civile, quella che nel primo intervento sul cratere aquilano ha salvato moltissime vite, ma per il resto i terremoti restano campo privilegiato del malaffare: così è stato in terra irpina, così è in terra aquilana. Dall’Irpinia nasce, appunto, la Protezione  civile organizzata, dall’Aquila parte una proposta di legge di iniziativa popolare “Legge di solidarietà nazionale per i territori colpiti da disastri naturali” centrata sulla prevenzione, attenta alla gestione dell’emergenza e alla questione dei fondi per la ricostruzione. La legge, se mai fosse stata approvata dal Parlamento (siamo ancora in attesa!), avrebbe avuto utilità e impatto su tutto il territorio nazionale. Equamente per tutti. Perché vorremmo che quello che sta accadendo a noi non accada più. Sono state raccolte 45.000 firme da tutta l’Italia e nell’attesa che qualcosa si muova, abbiamo dovuto assistere ad altre catastrofi registrando la morte di 37 persone a Messina, 6 a Genova e 26 in Emilia. Le conseguenze sono le solite, le misure di emergenza differenti e nulla insegna.
Tre anni fa tanti italiani sono stati convinti che L’Aquila non avrebbe avuto la stessa sorte dell’Irpinia, e devo ammettere che anche tanti miei conterranei si sono ostinati a crederlo. Un messaggio martellante: L’Aquila sarà interamente ricostruita. L’unica cosa certa, invece, è che anche qui la decisione di svuotare i centri storici e di allargare le periferie è stato deciso dall’alto. Nella sostanza, dunque, nessuna differenza. Neanche la presa di coscienza che questo è un paese fatiscente. Vanno giù scuole e ospedali, adesso come trent’anni fa, abitazioni nuove e interi palazzi costruiti nel 2000. In Emilia vengono giù capannoni industriali e migliaia – troppe – risultano essere le abitazioni inagibili. Muoiono operai, quasi tutti migranti in cerca di migliori condizioni di vita.
Nel mio viaggio a Romagnano al Monte “nuovo”, in Irpinia, tocco con mano quello che sento da 3 anni accadere qui: famiglie che vivono in prefabbricati di legno, da oltre 30 anni. Come afferma Antonello Caporale, l’Irpinia durante il post sisma ha avuto un riscatto storico dall’isolamento e dalla povertà, anche grazie alla messa in opera di infrastrutture e vie di collegamento, ma lì come qui si è sacrificato il patrimonio agricolo per la (ri)costruzione al costo dell’identità territoriale e della storia (Convegno-mostra, L’Aquila, 18 dicembre 2011).
Di geografia e paesi mi attira e mi conforta la lettura delle tante pubblicazioni di Franco Arminio, scrittore e poeta dell’Irpinia d’Oriente. Dentro la sua produzione letteraria si trova tutto il significato del terremoto: parla e narra del “post”, dei valori sui quali si dovrebbero basare le comunità tutte, in particolare le nostre duramente colpite dai terremoti, ricercandone le origini attraverso i luoghi e i paesaggi snaturati dalle più scellerate ricostruzioni. Nelle tante riflessioni che Franco Arminio generosamente regala ai suoi lettori, anche sul web (Comunità provvisorie), ritrovo tutte le preoccupazioni che invadono il nostro vivere nel cratere aquilano vittima della stesso destino irpino: “Se vesti la taglia 42, perché compri una 52?” (F. Arminio, Scuola di paesologia).
Cosa raccontare dei miei luoghi? Se è vero che esistono, allora io ne ho vissuti tanti, siano essi fisici o mentali. Ogni luogo col suo ricordo associato a un odore o a un suono, colorato o scolorito, luminoso o buio, distante o vicino. In condizioni di normalità uno stesso luogo può ricordarti quando eri giovane, oppure di averlo vissuto prima della nascita di un figlio e non esserci più tornato da lungo tempo, scoprendo però che in fondo quel luogo non è cambiato troppo; a volte semplicemente anche i luoghi invecchiano lentamente, e solo in certi dettagli si può vedere l’usura o l’incuria; invece a volte sono solo le stagioni a fare la differenza, ma nella sostanza restano immutati. Quel luogo del “prima” di un particolare evento lo trovi sempre là, nella stessa posizione, invecchiato o rinnovato, magari solo trasandato, o al contrario tirato a lucido e se riesci a tornarci, riconosci e rievochi ricordi di volti ed emozioni. È rassicurante tornare nei luoghi che hanno tracciato un vissuto e raramente  queste terre le ho pensate rivolte al futuro, perché per esempio la mia è una città medioevale, almeno fino a 3 anni fa.
Della storia dei luoghi, dei luoghi della mia città, in realtà, ho avuto occasione di occuparmi tredici anni fa, quando  sull’Aquila inizia un percorso editoriale promosso dall’associazione culturale  “Territori” che nel 1999 pubblica il volume Sulle ali dell’aquila dedicato alla scuola primaria e distribuito gratuitamente alle classi IV e V. L’operazione si proponeva l’obiettivo di offrire un supporto per ampliare le conoscenze dei ragazzi sulla loro città. Oggi, è il caso di riprendere quel percorso per offrire uno strumento che, partendo da alcuni punti di riferimento spaziali e temporali, aiuti a maturare la consapevolezza storica e ambientale sul proprio territorio fatto di rotture e continuità. Fino al 6 aprile 2009, quando il terremoto ha segnato in modo indelebile la geografia e la socialità del territorio aquilano. Questo strumento didattico vedrà nella seconda edizione un coinvolgimento diretto dei bambini anche perché “Le situazioni d’emergenza e di post-emergenza causate da catastrofi interrogano l’orizzonte pedagogico e didattico su quali strategie attivare a fronte delle criticità che esse generano sugli individui” (Isidori, Vaccarelli 2012). Gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere alla fine di questo nuovo percorso sono, da un lato, fornire uno strumento didattico per insegnanti e alunni, che ripercorra la storia della città, teatro nel passato di avvenimenti che la memoria ha il dovere di trasmettere; dall’altro, rispondere all’esigenza di ricostruire il senso di appartenenza a un territorio che da secoli ha dovuto fare i conti con la ricostruzione di un doposisma.

Eremo Rocca Santo Stefano domenica 29 novembre 2015

sabato 28 novembre 2015

Associazione 180 amici L’Aquila. Verso la Festa Nazionale della Creatività 2016







Lunedì 26 Ottobre 2015, alle ore 16, presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, siè tenuto  l’incontro – aperto alla cittadinanza – “L’ARTE MULTIMEDIALE tra poesia, didattica creativa ed editoria massmediatica” proposto unitariamente dalle Associazioni Culturali aquilane “Itinerari armonici”, “MuBAQ” e “Angelus Novus” attive nel territorio sin dagli Anni Ottanta del secolo scorso.

L’incontro inserito nel calendario degli appuntamenti mensili propedeutici alla Festa Nazionale della Creatività che si terrà nella città capoluogo nel giugno del prossimo anno (promosso e organizzato dall’“Associazione 180amici L’Aquila Onlus”) dopo il saluto del Direttore dell’Accademia, il prof. Marco Brandizzi, ha visto svolgersi :

    La presentazione, a cura della poeta Anna Maria Giancarli, del libro di Marco Tabellione “Canto silenzioso”- Solfanelli 2015, conperformance dell’autore (lettura, suoni, immagini) attraverso un viaggio nei segreti della poesia
    L’intervento dell’artista Lea Contestabile sul fecondo rapporto intercorrente tra la creatività, la formazione e l’arte, con contestuale proiezione e commento di immagini relative alla complessa esperienza pedagogico-didattica, progettuale e artistica, nella quale la creatività si è rivelata uno strumento di rielaborazione di un momento tragico, quale il terremoto, cambiando in segno positivo la realtà personale e collettiva
    La presentazione / proiezione del trimestrale multimediale online ZRAlt! giunto al suo VIII numero (www.zralt.it) – Angelus Novus Edizioni – a cura del suo direttore responsabile, il critico Antonio Gasbarrini, il quale oltre a motivare la scelta monotematica della rivista incentrata sul binomio “Catastrofe & Creatività”, snoderà il suo intervento (con collegamento internet e sincronica proiezione delle pagine multimediali della rivista) tra testi, filmati, suoni e immagini concernenti i percorsi tematici di Arti visive, Fotografia, Teatro, Cinema, Scienza, ecc. presenti in ZRAlt!
Giovedì 29 Ottobre alle ore 17.30 presso la storia libreria Colacchi in via Fermi a L’Aquila, Anfiteatro Editore è stato poi  presentato  “Il nido della follia” l’ultimo romanzo di Francesco Proia.
Il giornalista Gianluca Rubeo ha condotto l’evento cheha avuto  come ospiti, oltre all’autore, lo psicologo Alessandro Sirolli e l’attore Antonio Pellegrini che ha letto  qualche brano dal libro. E’ stato  presente, inoltre, anche il signor Stefano Mazzetta, colui che ha ritrovato la famosa collezione dei fantasmi di Collemaggio, le inquietanti lastre fotografiche che ritraevano gli internati agli inizi del secolo scorso in nudo integrale, magrissimi e con indicibili smorfie di dolore dipinte sui volti che le rendono particolarmente simili a quelle viste mille volte nei lager nazisti. Il signor Mazzetta ha deciso di renderne pubbliche alcune durante la presentazione del romanzo di Francesco Proia, proprio perché leggendolo non ha potuto fare a meno di notare alcuni incredibili nessi tra i reperti fotografici e la trama dell’avvincente thriller.

Di seguito la sinossi del libro curata da : Diego Renzi  “Manicomio di Collemaggio L'Aquila “ in AbruzzoLive

L’Aquila – 1956 – ospedale psichiatrico di Collemaggio: Danilo e il suo superiore, due funzionari ministeriali, devono indagare sulle strane voci riguardanti la struttura manicomiale aquilana. Il nido della folliaIl ragazzo si ritroverà tra gli orrori di un manicomio, ambiente oppressivo e violento, dove avrà la possibilità di comprendere meglio tutte le sfumature della pazzia umana. Confrontandosi con il suo superiore, all’ultima ispezione prima del pensionamento, capirà che dietro la paura della pazzia, spesso si nasconde il rifiuto della diversità e che il manicomio in molti casi non è un luogo di cura, bensì di segregazione, isolamento e cronicizzazione di quella “vergogna” sociale con cui è sempre stata bollata la malattia mentale. Danilo interpreterà la scienza medica con occhi nuovi e capirà il perché, nella medicina come nella vita, non sempre è meglio curare. Pian piano la storia del romanzo s’intreccerà con quella del capoluogo abruzzese, mentre fuori infuria la tempesta più violenta degli ultimi cento anni che costringerà i protagonisti e inevitabilmente anche i lettori di quest’avvincente thriller, a rimanere bloccati tra le mura del manicomio, museo degli orrori e sala d’aspetto della morte.
Riaffiorano dal passato e iniziano a rivelare verità inquietanti le lastre fotografiche ritrovate durante i lavori di ristrutturazione nell’ex ospedale psichiatrico di Collemaggio e messe a disposizione degli esperti. Come fantasmi hanno fatto la loro irruzione mediatica dividendo e interrogando la pubblica opinione. Si tratta di oltre 400 foto scattate agli internati del manicomio aquilano all’inizio del secolo scorso. In molti casi sono scatti di nudi integrali, persone denutrite, volti segnati dal dolore, particolarmente, orribilmente simili a quelle dei lager nazisti. Immagini eccezionali, che proponiamo in esclusiva e che trasmettono ansia, terrore, sofferenza riportando alla pubblica attenzione il difficile tema della sanità mentale, della cura e delle strutture, dell’assistenza e del sostegno a malati e familiari. Tantissime foto sono di donne, molte di uomini, alcune addirittura di bambini. Sono molti gli aspetti che stanno analizzando gli specialisti per provare a interpretare i motivi che hanno spinto i medici dell’epoca, o chi per loro, a scattare foto così dure, crude, violente a quelle anime che vagano in uno spazio senza tempo. Il lavoro consiste nell’analisi delle singole immagini, ma anche nel tentativo di incastrarle in un mosaico che, in una visione d’insieme, potrebbe rivelare segreti fino ad ora tenuti nascosti nella mente malata di chi è passato per quell’atroce anticamera della morte che è il manicomio. Tante sono le domande, difficili sono le risposte. Perché sono state scattate quelle foto? A cosa servivano? Perché sono finite sepolte? Chi le ha fatte sparire e per quale motivo? Tante sono le ipotesi, tante le testimonianze raccolte, tante voci su presunte sperimentazioni sui malati, sulle violenze fisiche, su quanto era facile una volta finire in manicomio e marcire nel più totale abbandono.
Le immagini sono molto importanti anche dal punto di vista fotografico poiché sono state immortalate su rarissime lastre dell’italiana Ferrania, sono quelle all’albumina e al bromuro d’argento. Nella redazione di AbruzzoLive quelle immagini sono finite grazie alla segnalazione di Stefano Mazzetta, ristoratore aquilano che le ritrovò, ormai una quindicina di anni fa, durante la ristrutturazione del canile interno al manicomio. L’occasione per riaprire la scatola contenente quel materiale dall’alto valore storico, sociologico, documentale, si è presentata un paio di settimane fa, leggendo “Il nido della follia”, il nuovo thriller di Francesco Proia, ambientato nel capoluogo abruzzese, proprio nel manicomio di Collemaggio e durante la nevicata del secolo, quella del 1956. Un romanzo dove la linea di demarcazione tra realtà e fantasia è sorprendentemente sottile, fino a diventare invisibile, fino al sorpasso; la cruda realtà che supera la fantasia di uno scrittore che ama indagare, studiare tutte le carte conservate o nascoste in antichi schedari, pesanti faldoni rivelatori di storie di vita vissuta nel dolore, nel terrore, nella disperazione dell’abbandono. Gli accadimenti sono minuziosamente contestualizzati e frutto di lunghi studi che consentono una rilettura nel tempo e nella storia della vita dei malati mentali e di una struttura ospedaliera che ha ancora tanto da raccontare, che può e deve essere valorizzata come monumento alla memoria, un biglietto per un viaggio emozionante nella storia di una città colta e martoriata che non può dimenticare. Un biglietto d’invito a non chiudere gli occhi davanti agli orrori di ieri e di oggi, a non restare indifferenti, a cercare di comprendere le ragioni del male, a non far finta che la cosa non ci riguarda, perché è allora che non c’è limite all’orrore, è in quel momento, con quell’atteggiamento che l’umanità si perde nel labirinto degli incubi senza una via di fuga. Gianluca Rubeo

L’Aquila. Quindici ettari di terreno, costellati di decine di edifici abbandonati, sono il triste paesaggio che si affaccia oggi sulla collina di Collemaggio. Un’area, quella dell’ex ospedale psichiatrico, che costituisce potenzialmente una grande risorsa per la città dell’Aquila, ma che versa purtroppo nel degrado. Unico centro pulsante nel parco semiabbandonato è quello dei ragazzi di 3e32, associazione nata dopo il sisma che da anni combatte contro l’indifferenza di Regione e Asl verso questo sito. Da cinque anni occupano un edificio dismesso, reinventato in un centro culturale di musica, poesia e socialità. Quello di Collemaggio è l’esempio emblematico in cui la spinta al rinnovamento di alcune forze sociali si imbatte contro il muro di negligenza delle istituzioni. Una storia che inizia dal post terremoto e che si protrae fino ad oggi, senza grandi cambiamenti. Se non altro si è accresciuta la percezione dell’opinione cittadina su questo argomento, cruciale per il futuro della città. Merito di tante associazioni che nel corso degli anni hanno alimentato dibattiti e organizzato proteste. Un grande manifesto collettivo ha visto nel giugno scorso la partecipazione di cittadini volenterosi, che oggi chiedono a gran voce una riqualifica dell’area dell’ex manicomio. Un percorso tutto in salita, basti pensare che è ancora da verificare l’agibilità degli edifici abbandonati. “Noi, cittadini, cittadine, collettivi, associazioni e individualità, riuniti nella prima assemblea del 4 giugno 2015, dichiariamo il nostro interesse affinché l’area dell’ex ospedale psichiatrico di Collemaggio all’Aquila, venga riscattata dal degrado e dall’incuria, venga riqualificata e diventi un centro nevralgico e strategico della vita sociale, economica e culturale della comunità aquilana”, si legge. La proposta consiste nella ristrutturazione dell’asse centrale del complesso, che potrebbe essere dotato di laboratori artigianali, spazi di musica e teatro, orti botanici e tanto altro. Si pensa anche alla realizzazione di una foresteria, gestita da una cooperativa, che lavori con persone con disagio psicologico o psichiatrico, recuperando il progetto, stanziato nel 2008 e mai realizzato, dell’Albergo in via dei matti. Qualche giorno fa anche il sindaco Massimo Cialente è intervenuto sull’argomento, proponendo la creazione di un grande studentato, finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti. Ma l’ex ospedale psichiatrico, oltre a grandi potenzialità per il futuro, possiede un passato tutto da riscoprire. Esso fu una vera e propria cittadella che per anni ospitò uomini e donne con seri (o presunti) disturbi psichiatrici. Oggi la pubblicazione di foto e documenti inediti riapre la discussione anche su quei giorni lontani ed in generale su cosa significasse in Italia essere condannati ad entrare in un manicomio. Perché se si vuole guardare al domani, non si può trascurare ciò che fu ieri. (Diego Renzi Manicomio di Collemaggio L'Aquila AbruzzoLive )
Pubblicare foto come queste non è una mancanza di rispetto per le vittime, ma è esattamente il contrario: è un riconoscimento, se pur minimo, per quello che hanno patito. Infatti quale rispetto ci sarebbe stato nel venire in possesso di tali foto e ignorare la tragica realtà dei loro destini consegnandoli all’oblio della storia? Tutti sanno che la pubblicazione delle immagini dai lager nazisti non è stato un errore, anzi, se fosse stato possibile sarebbero dovute essere pubblicate ancor prima.
Pubblicare queste foto è stato un obbligo morale e sociale. Questa non è cronaca, è una questione di politica e di società, una denuncia e una indispensabile ammonizione alla storia a non sbagliare più: proprio ciò che avrebbero voluto, se avessero potuto, quelle persone fotografate, che forse persone non erano considerate.
L’Associazione si occupa della tutela della salute mentale. La sua opera è a favore della solidarietà, del riconoscimento diritti e bisogni delle persone con disagio mentale e delle loro famiglie. Attraverso in interventi di assistenza sociale e socio-sanitaria, il coinvolgimento dei cittadini e delle reti primarie e secondarie, si favorisce la tutela e la promozione della salute mentale comunitaria anche per contrastare lo stigma e il pregiudizio nei confronti del malessere mentale. Questa azione è a beneficio di tutta la collettività; in particolare cercherà di favorire la conoscenza, il confronto e lo scambio di esperienze tra i familiari, gli utenti e la cittadinanza.

L’Associazione 180 Amici sostiene la necessità di una completa applicazione della “legge 180”, lavora sulla fase della post-emergenza e con progetti di ricostruzione sociale.

La 180 Amici è nata, partendo da un gruppo di cittadini utenti, familiari e operatori, un’associazione di cittadini sensibili nei confronti della salute mentale, questo anche perché il disagio mentale è un problema di tutti, non solo degli utenti e dei loro familiari, e, in prospettiva, potrebbe riguardare direttamente ognuno di noi.
attivo il gruppo di auto mutuo aiuto “Il dialogo”, ogni martedi alle ore 15:30 presso la casa del volontariato;
L’associazione è impegnata in progetti di ricostruzione sociale, inclusione, informazione e controinformazione, contrasto alla istituzionalizzazione;
Ricostruzione storica del processo di chiusura dell’ospedale psichiatrico S. Maria di Collemaggio; nel progetto “museo della Mente” e archivio della memoria;
Aderisce al forum Salute Mentale, al comitato stop OPG, a Cittadinanza Attiva e Tribunale del Malato ed è componente dell’U.N.A.S.A.M.
E’ attiva un esperienza di Rugby: “Matti per il rugby” in collaborazione con la Gran Sasso Rugby.
Promozione di progetti di autogestione nella tutela dei diritti della Salute Mentale: “esperti per esperienza” (coordinamento Nazionale Utenti della Salute Mentale);
L’associazione partecipa a tutti i bandi di progetti sociali e volontariato a favore della comunità;
Ha promosso e sostiene la Radio Web “Radio stella 180” www.radiostella180.it .

Eremo Rocca S.Stefano sabato 28 novembre 2015