Caro Peppino
Caro
Peppino ora posso sedermi e parlare un po’ con te. E’uno dei nostri
colloqui, quelli che dasempre ci hanno accompagnati neisentieri che
abbiamo percorso assieme,qualche volta camminando fianco a fianco
,qualche altra rincorrendoci,qualchealtra ancora fermandoci ad
aspettare.
Ieri sera ,quando mi hanno telefonato per dirmi che ti
eriincamminato da solo per un viaggio ,nontanto sconosciuto ma
sorprendentementenuovo,ti ho pensato appunto in cammino su una
distesa di campi assolati erigogliosi tra le colline e di fronte
almare ( che quella era la tua terra reale,quella dalla quale sei venuto
in mezzoa queste montagne e di cui tante volte mi hai parlato ).
Ti
ho visto camminare senza fretta verso un casolare dal quale venivano
giù a rotta di collo,sustrade bianche e scorciatoie color vinaccia del
suolo, i tuoi due Flyn che guaendo e scodinzolando ti hannointravisto
al tuo apparire all’orizzonte. Quel Flyn che ti uccisero i fascisti
quando ancora adolescente o giovaneuomo, vivevi ancora a Castel Castagna
che io non ho conosciuto e quell’altroFlyn ,che pure io ho conosciuto,
che fu investito da un’auto una mattinad’estate su una strada lungo
mare alrientro da una passeggiata .
E così a lungo nellaserata
sono rimasto con il pensiero di te e delle cose che ci dicevamo
ultimamente. Quando tu passeggiavi sullastrada che dal ponte
sull’autostrada porta all’edicola della Madonna di Pettino, da quando
sei rientratonella tua abitazione, che sta proprio un poco discosta da
quella strada ,dopo il terremoto.
Io salivo da Santa Barbara,
venendo da Valle Pretara ,dove nei primi anni dopo ilterremoto avevo
trovato una dimora, perrecarmi a Cansatessa alla Chiesadell’adorazione
il venerdì pomeriggio. Mi fermavo ad aspettarti all’edicoladella Madonna
se caso mai non ti avevo già visto per strada. E così
mentre mi
dicevi “Arrivo all’edicola della Madonna, tre Ave Maria e poi torno
indietro “ mi chiedevisempre ,con la solita premura,.notizie dei nostri
amici e conoscenti masoprattutto dei ragazzi che avevamo conosciuto
nella casa di rieducazione, nelriformatorio e nel carcere minorile.
Erano
,da ultimo ,da quando anche io ero andato in pensione, le
nostregiaculatorie, le nostre litanie,una sorta di grani di rosario
sgranati tra il rumore del traffico di quella stradae i battiti del
nostro cuore..E quandol’affanno si faceva insostenibile unpoco per la
strada in salita e un poco per l’emozione dei ricordi
,cambiavamodiscorso Così fino ai primi mesi diquesto inverno che
seppure mite ha comunque portato giorni di pioggia e vento che
probabilmente non ti ha permessodi uscire:
Non ho saputo più
niente delle tue condizioni fisiche ma oranon è questo quello che conta.
.Ora so che sei in buona forma per affrontare questo nuovo cammino e
che non sei solo. Ti accompagnano i dueFlyn e la luce splendente d’un
mattino di sole invernale,con appena un poco divento e il riverbero
della neve su in alto in alto sui monti dove lo sguardo si confonde ,
accecato,e tuttodiventa vastità azzurra.
Mentre poi questo
pomeriggio venivo a salutare i tuoifamiliari mi sono venuti in mente
questi versi Li ho scarabocchiati sul fogliodi un piccolo taccuino che
tengo in macchina ,accostando ogni tanto per poterscrivere, un verso
dopo l’altro ,come faccio qualche volta la sera quando midistendo sul
letto. Mi alzo e mi distendo di nuovo ogni volta che mi viene in mente
un verso . Unverso dopo l’altro.
Tu eri seduto accanto a me
e piano
ancora più piano delle altre volte
intralciando il traffico
a cinquanta chilometri all’ora,
come spesso andavi anche tu ,
sono arrivato.
Mi aspettavano Clara, Anna Rita
Francesco ,ma tu eri con me .
Da questo paese
che da quassù guarda il mondo
sono sceso a valle
con la piccola utilitaria
per salutarti ora chehai deciso
di incamminarti da solo,
presi gli attrezzi per il viaggio
concordato il segnale
per ritrovare la strada ,
chiusa la porta dietro le spalle
senza fretta .
Ti sei messo in cammino
che cosa può dunquesuccedere
in questa sera –giovedì – sui campi
laggiù tra gli sbuffi di nebbia,
che cosa può succedere. E’ questa
un’ora che intenerisce il cuore
e volge tutto alla malinconia
d’una speranza ,la speranza
che salutandoci oranon entri nel buio.
Avrei
potuto raccontare a tutti i presenti queste cose. Maci ho rinunciato
perché sarebbero state tradite dall’emozione del momento.Avrebbero avuto
il ritmo frettoloso di chi si preoccupa del tempo adisposizione degli
interlocutori, di chi frammenta un discorso scegliendo e non riuscendo
così a condividere fino in fondo proprio quell’emozione del momento.
Avrei
voluto raccontare quella stupenda parabola del buonseminatore. Metafora
del nostro lavoro che tante volte abbiamo meditato insiemee da soli e
che in fondo rimane oggi ,oggi che sei partito, come un viatico per il
cammino che mi rimane da fare
«Ecco, il seminatore uscì a
seminare. E mentreseminava una parte del seme cadde sulla strada e
vennero gli uccelli e ladivorarono. Un'altra parte cadde in luogo
sassoso, dove non c'era moltaterra; subito germogliò, perché il terreno
non era profondo. Ma, spuntatoil sole, restò bruciata e non avendo
radici si seccò. Un'altra partecadde sulle spine e le spine crebbero e
la soffocarono. Un'altra partecadde sulla terra buona e diede frutto,
dove il cento, dove il sessanta, doveil trenta.”
Una sola semina,
lo stesso seminatore, lo stesso seme, glistessi gesti, la medesima
fatica, e tuttavia gli esiti sono diversi. Perchè nonsi parla delle
sue qualità, di cui nullaviene detto, bensì della sua sorte.
La
sorte del seme èla sorte della vita .E guai nella vita a non
accontentarsi solo dell’unico seme che cade “sulla buonaterra”e dà
frutto .Frutto che non dipende ancora una volta dal seme ma dallaterra.
Come si fa a vedere se la terra è buona? Con un atto di
fiduciadeponendovi il seme.
E dunque caro Peppino è il
cuore che fa atti di fiducia. E dunque non dirò dellebanalità come
quella che il tuo cuore siè fermato, che il tuo cuore fa fatica ,perché
non è vero. Perché il tuo cuoreera per gli altri .Gli altri dunque
E
allora mi sono immaginato che forse arrivando al terminedel cammino che
oggi hai intrapreso tu ti aspetti di trovare le bandiere delsindacato
al vento ed un immenso corteo che ti saluta.in quella terra non ci sono
cortei e bandiere al ventoperché è terra nuova dal cielo nuovo dove
bandiere e cortei sono incongruentifuori luogo.
Forse dietro la porta del casale troverai un saio daindossare per “Cantare lu Sand’Andonje
Se ci date una forma di cacio
non possiamo che darvi un bel bacio
un augurio per la casa bella
e l'Anno Nuovo e la Pasquella!
Se al contrario ci date un lonzino
con salami salcicce e buon vino
li mangiamo con la mortadella
ad Anno Nuovo e la Pasquella!
Se ci date un mezzo capretto
o magari un bell'agnelletto
noi mettiamo una grande padella
e l'Anno Nuovo e la Pasquella!
Con un buon piatto di tagliatelle
queste mura diventan più belle
un buon sugo con la coratella
e l'Anno Nuovo e la Pasquella!
E
già ti sento cantare. Mentre scrivo mi sono ricordato unacosa. Parlando
di questo momento abbiamo qualche volta scherzato su un segnale di
riconoscimento perritrovarsi. E allora ho cercato questa poesia di
Eugenio Montale da “Satura”
Avevamo studiato perl’aldilà
un fischio un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
Che tutti siamo già morti senza saperlo.
E
se non è così caro Peppino tu fischia ogni volta che ti fermi sul
cammino,ad ogniincrocio,ad ogni tappa. Ti sento ,ti sento dentro al
cuore.
Eremo Rocca S.Stefano giovedì 23 gennaio 2014
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