LETTERE DALL’EREMO : Nel nome una missione"

Forse
è la volta buona. Forse oggi, a distanza di mezzo secolo, il
rinnovamento all’insegna del Vangelo che papa Giovanni XXIII e il
Vaticano II avevano voluto e intrapreso, può finalmente diventare
realtà. Forse i cardinali elettori hanno veramente ascoltato lo Spirito
Santo, operazione che non contiene nulla di magico, ma è solo la pura
disposizione della mente e del cuore a volere sempre e solo il bene,
perché quando un uomo dispone la sua mente e il suo cuore nella ricerca
del bene lo Spirito della santità agisce in lui, sia egli credente o non
credente. E questo io sento che i cardinali elettori hanno fatto,
allontanando ogni calcolo politico o diplomatico, ogni ragionamento
all’insegna del potere, e scegliendo un uomo di Dio. Si è trattato di
una scelta assolutamente inaspettata, il nome di Jorge Mario Bergoglio
non figurava quasi mai tra le liste dei principali papabili. Ma si è
trattato soprattutto di una scelta completamente innovativa: da ieri
abbiamo il primo papa non europeo, il primo papa latino-americano, il
primo papa che ha scelto di presentarsi al mondo come “vescovo di Roma” e
soprattutto il primo papa che ha scelto di chiamarsi Francesco.


Nell’unione
di queste quattro assolute novità, unite alla preghiera che ha da
subito caratterizzato la sua prima apparizione da papa, io intravedo
quella speranza di rinnovamento all’insegna del Vaticano II che
Francesco I può realizzare e di cui la Chiesa ha un immenso bisogno. Né
si può tacere il fatto che Bergoglio nel Conclave del 2005 fu il
principale antagonista di Ratzinger: i cardinali elettori quindi non
solo non hanno scelto un ratzingeriano di ferro come Scola o come
Schönborn, ma hanno scelto colui che a Ratzinger contese la maggioranza
dei voti in Conclave. Questa scelta contiene un giudizio non del tutto
positivo sugli otto anni di pontificato dell’attuale papa emerito. Ma
ciò che maggiormente colpisce è il nome che il nuovo pontefice ha scelto
per sé. Che cosa significa aver deciso di chiamarsi Francesco? Bergoglio
non è un francescano, è un gesuita e se avesse seguito il suo cuore
avrebbe dovuto chiamarsi Ignazio, visto che è sant’Ignazio di Loyola il
fondatore dei gesuiti. Ma egli ha scelto di chiamarsi Francesco,
sottolineando con questo non la sua storia personale (anche se chi lo
conosce racconta che vive da sempre in assoluta semplicità, lontano dal
lusso che la qualifica
di arcivescovo di Buenos Aires gli permetterebbe)
ma l’intento

animatore del suo programma di governo all’insegna della
testimonianza profetica e della radicalità evangelica. Francesco è il
santo che più di ogni altro nel secondo millennio cristiano ha
rappresentato l’ideale della purezza evangelica, l’ideale di vivere le
beatitudini, lontano dalle seduzioni del potere e della gloria. Penso
che tutti abbiano in mente l’affresco di Giotto nella Basilica superiore
di Assisi che rappresenta il sogno di Innocenzo III: egli vede un uomo
vestito con un semplice saio che sorregge una chiesa che sta per
cadere,e ovviamente quell’uomo è Francesco il poverello di Dio, di cui a
Innocenzo III in sogno viene anticipata la venuta. Ora a nessuno è dato
sapere che cosa abbia sognato
in queste notti Jorge Mario Bergoglio quando sentiva approssimarsi la
scelta dei cardinali

elettori su di lui, ma certamente il fatto che egli
abbia scelto di chiamarsi Francesco indica nel modo più esplicito la
sua chiara percezione della gravità della situazione che la Chiesa
cattolica sta vivendo e soprattutto la sua convinzione riguardo alla via
per uscirne: la radicalità evangelica, la povertà, la mitezza, la
lontananza dal potere, l’amore per ogni uomo e per gli animali, la cura
per tutto il creato. Il primo, indispensabile passo che la Chiesa deve
compiere è tornare a credere al Vangelo anzitutto nelle sue strutture di
comando: l’evangelizzazione, prima di riguardare il mondo, riguarda la
gerarchia della Chiesa, in primo luogo la Curia, e dalla scelta
effettuata sembra che i cardinali abbiano capito alla perfezione tutto
ciò
e
abbiano individuato chi, tra di loro, era l’uomo giusto per questa
svolta all’insegna della mitezza e insieme del rigore. Ieri, sentendo
parlare per la prima volta il nuovo papa, mi ha molto colpito il suo
rivolgersi ai fedeli e al mondo chiamandosi più di una volta “vescovo di
Roma”. Anzi si può dire che ieri sera Bergoglio non si è presentato al
mondo, infatti non ha detto una sola parola in spagnolo per la sua
terra, non ha detto una sola parola in inglese rivolgendosi alla
mondovisione. Si è presentato solo alla sua diocesi, alla città di Roma,
e non a caso ha fatto il nome del suo vicario per la città, il cardinal
Vallini, volendolo accanto a sé sul balcone.

Questo è molto importante.
Mostra infatti che le indicazioni del VaticanoII e soprattutto del
Nuovo Testamento sono quanto mai chiare a papa Francesco I. Da papa egli
vuole
anzitutto essere un vescovo, il vescovo di una città, e anzi sa che può
essere veramente papa in fedeltà al Vangelo e al Vaticano II solo nella
misura in cui non cesserà mai di essere vescovo, cioè una guida
concreta a contatto con i problemi reali della gente reale. Bergoglio è
un gesuita, è mite e insieme austero, amante della semplicità, della
povertà, di una vita all’insegna dell’essenziale, privo di decorazioni
barocche e dal linguaggio semplice e asciutto. Assomiglia molto a Carlo
Maria Martini, di cui certamente era amico. E forse quei 200 anni con
cui Martini nella sua ultima profetica intervista dell’8 agosto scorso
segnò la distanza tra la Chiesa e il mondo («la Chiesa è rimasta
indietro di 200 anni») con Francesco I sono destinati a essere colmati.
Vito Mancuso, La Repubblica 14 marzo 2013

Eremo Rocca S.Stefano sabato 16 marzo 2013
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