Riportiamo
la testimonianza di Barbara Vaccarelli pubblicata sul volume Territorio
e Democrazia: un laboratorio di geografia sociale nel doposisma aquilano (L’Una, 2012 – a cura di Lina M.
Calandra). Il volume è stato presentato nell’ambito del Seminario
itinerante sui luoghi del cratere aquilano (3-5 maggio 2013) promosso
dalla Società Geografica Italiana e tra le varie
iniziative è stato coinvolto anche l’Osservatorio sul Doposisma.
Non credo che ci sia, oggi, un’altra maniera
di salvarsi l’anima. Si salva l’uomo che supera il proprio
egoismo d’individuo, di famiglia, di casta, e che libera la propria anima
dall’idea di rassegnazione alla malvagità esistente. Cara Cristina, non
bisogna essere ossessionati dall’idea di sicurezza,neppure della sicurezza
delle proprie virtù: Vita spirituale e vita sicura, non stanno assieme.
Per salvarsi bisogna rischiare.
I. Silone, Vino e pane, 1975
Terre Memori, terre sorelle
A dicembre
2011 si apre all’Aquila Terre Memori:
dall’Irpinia all’Aquila. I luoghi dei diritti negati, una rassegna letteraria e di
studi sulle comunità del dopo sisma organizzata dalla Facoltà di Lettere e
Filosofia dell’Università dell’Aquila in collaborazione con L’Aquila e-Motion e
l’Osservatorio permanente sul dopo sisma di Auletta-Pertosa. Tutti
i libri e documentari presentati fino a oggi hanno concentrato l’attenzione su
quanto sia importante non ripetere, qui e ora, gli stessi errori delle
ricostruzioni decise 32 anni fa; su come si possa ripristinare (e forse
reinventare) un nuovo senso di appartenenza che tenga unita la ricostruzione
materiale a quella sociale; sul dovere di vigilare e impegnarsi per scrivere un
nuovo capitolo nel territorio aquilano anche attraverso l’apertura verso quelle
comunità che nei passati decenni hanno subito decisioni dall’alto.
L’Aquila e-Motion nasce nel 2010 come sito da un
gruppo di amici decisi a creare un contenitore di idee, di spunti di
riflessioni e anche un raccoglitore di memoria sulla scossa del 6 aprile 2009.
Tra i tanti obiettivi del sito c’è quello di favorire lo scambio, la
condivisione e il confronto delle idee. È questa nuova vita da terremotata che
mi ha portato ad aprire orizzonti di confronto. Gli spunti sono infiniti se vai
alla ricerca di chi ha vissuto un terremoto e se costui/costei sa indicarti
come sarà tra una settimana, un mese, un anno la tua vita; cosa ti puoi
aspettare e cosa ti sarà negato. Dopo aver subito la perdita della mia città il
6 aprile 2009, è stato inevitabile associare ciò che anni prima avevo visto in
tv e sentito da tanti amici sulle conseguenze di quel 23 novembre 1980, a ciò
che ora vivevo io. Ho capito che vivere un terremoto è fondamentalmente diverso
dal sentimento di compassione e dolore che si prova quando lo si guarda da
“fuori”. Con tutto l’impegno possibile non si riesce a comprenderne la portata
e quanto ne possa essere travolta la vita, tua e della tua comunità. E la
perdita di tutti i punti fermi che la sostengono.
All’inizio
di questo percorso “emozionale” ho avuto la fortuna di conoscere
all’Aquila Antonello Caporale in occasione della presentazione del
suo libro Peccatori che dedica il capitolo “non uccidere” al
sisma del 6 aprile 2009 con la testimonianza aquilana di Rossella Graziani. Da
questo momento vengo coinvolta per il sito dell’Osservatorio permanente sul dopo sisma (di cui è direttore Antonello
Caporale) che nel tentare di riannodare il filo della memoria dei luoghi
colpiti dal sisma del 23 novembre 1980, si allarga agli altri terremoti
italiani. L’Osservatorio, finanziato dalla Fondazione MIdA che destina allo scopo, in coerenza
con gli obiettivi statutari, parte dei proventi derivanti dalle proprie
attività, indaga e analizza le trasformazioni sociali, ambientali, economiche
successive al sisma, promuovendo l’analisi e la ricerca scientifica in diverse
discipline. È in questo contesto che ho la fortuna di conoscere i “figli del
terremoto irpino”, impegnati nella ricerca sul territorio colpito dal sisma del
1980 per capire e ricostruire la storia del “prima” e della ricostruzione non
ancora finita; per raccogliere testimonianze; per trovare un modo per
ripristinare il meglio del passato proiettandolo in un nuovo futuro che
promuova la cultura e le peculiarità dei territori che ancora vivono i segni
del loro sisma, nel bene e nel male. È un gruppo di giovani ricercatori e
giornalisti impegnati su tantissime tematiche riguardanti il territorio irpino,
da quelle sociali a quelle economiche, con particolare attenzione a tenere
sempre il filo che lega la memoria dei luoghi. Scrivono, pubblicano,
documentano, filmano, denunciano, raccontano quello che non c’è più, quello che
servirebbe a correggere – se possibile – le scelte sbagliate della
ricostruzione sul loro territorio, stravolto per sempre insieme alla vita, ai
paesi della Campania e della Basilicata.
Io sono nata
e vivo all’Aquila, terra sorella dell’Irpinia anch’essa su quell’Appennino che
ci unisce nel destino delle avversità e della voglia di rinascere dalla
distruzione. Per noi qui sono passati poco più di 3 anni da quando abbiamo
perduto i nostri luoghi, per gli irpini più di 30 anni.Non ho mai pensato di
fare paragoni sui danni materiali, sulle vittime che questi due terremoti hanno
provocato. Ho imparato a non competere su nessuna disgrazia e a pensare
che dagli errori e dalla sofferenza provocata da uno Stato “distratto” verso le
vite umane, dalle classificazioni sismiche sbagliate della dorsale appenninica,
non possono che nascere dialoghi e scambi perché invece, rispetto agli sprechi,
alle inefficienze è bene dire le cose come stanno. Nel giro di pochissimi mesi,
nel terremoto dell’Aquila si sono spese enormi risorse come sul
libro-inchiesta Terremoti S.p.A. di Antonello Caporale è
chiaramente messo in evidenza con dati alla mano.Conta il contesto storico:
1980, periodo storico di grande impegno politico ma anche dell’economia che si
avvia a declino; 2009, periodo che raccoglie gli esiti di 20 anni di
berlusconismo.
Da la Repubblica, 11 febbraio 2010: “… Alla Ferratella occupati di sta roba del
terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito, non è che c’è un
terremoto al giorno”. “Lo so”, e ride. “Per carità, poveracci”. “Va buò”. “Io
stamattina ridevo alle tre e mezzo dentro al letto”. Colloquio
telefonico all’alba del 6 aprile 2009 tra gli imprenditori Francesco Maria De
Vito Piscicelli, direttore tecnico dell’impresa Opere pubbliche e ambiente
Spa di Roma, associata al consorzio Novus di Napoli e il cognato Gagliardi.
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E conta il
ruolo dei media: 1980, gli albori di Mediaset; 2009, l’impero di Mediaset. Ho
imparato a capire in questi tre anni cosa riesce a fare la differenza sui
trent’anni che separano le due “catastrofi”. Non è la tecnologia a fare la
differenza visto che non c’è stata prevenzione né nell’uno né nell’altro caso e
visto che il terremoto dell’Irpinia non ha insegnato nulla, o quasi, a questo
paese. Negli anni ’80 non c’erano le intercettazioni telefoniche, in questi
anni sì. In Irpinia subito dopo il sisma sono nati i comitati, anche
all’Aquila. In Irpinia i sindacati furono molto attivi, qui no. Lì si occupò
l’autostrada (“Terre in moto” documentario di Citoni,
Siniscalchi, Landini 2006) e in alcuni centri storici si proposero
ricostruzioni dal basso; qui, le 19 new town sono la prova
concreta di una grande mangiatoia, dell’inganno di noi abitanti, dei massimi
guadagni per alcune imprese del Nord: sembra che gli isolatori non siano
antisismici! Ecco che di nuovo abbiamo toccato con mano che non siamo altro che
carne da macello (Il fatto quotidiano, 23 luglio 2012). Dopo il terremoto del 1980 nasce
la Protezione civile, quella che nel primo intervento sul cratere aquilano ha
salvato moltissime vite, ma per il resto i terremoti restano campo privilegiato
del malaffare: così è stato in terra irpina, così è in terra aquilana.
Dall’Irpinia nasce, appunto, la Protezione civile organizzata,
dall’Aquila parte una proposta di legge di iniziativa popolare “Legge di solidarietà
nazionale per i territori colpiti da disastri naturali” centrata sulla prevenzione,
attenta alla gestione dell’emergenza e alla questione dei fondi per la
ricostruzione. La legge, se mai fosse stata approvata dal Parlamento (siamo
ancora in attesa!), avrebbe avuto utilità e impatto su tutto il territorio
nazionale. Equamente per tutti. Perché vorremmo che quello che sta accadendo a
noi non accada più. Sono state raccolte 45.000 firme da tutta l’Italia e
nell’attesa che qualcosa si muova, abbiamo dovuto assistere ad altre catastrofi
registrando la morte di 37 persone a Messina, 6 a Genova e 26 in Emilia. Le
conseguenze sono le solite, le misure di emergenza differenti e nulla insegna.
Tre anni fa
tanti italiani sono stati convinti che L’Aquila non avrebbe avuto la stessa
sorte dell’Irpinia, e devo ammettere che anche tanti miei conterranei si sono
ostinati a crederlo. Un messaggio martellante: L’Aquila sarà interamente
ricostruita. L’unica cosa certa, invece, è che anche qui la decisione di
svuotare i centri storici e di allargare le periferie è stato deciso dall’alto.
Nella sostanza, dunque, nessuna differenza. Neanche la presa di coscienza che
questo è un paese fatiscente. Vanno giù scuole e ospedali, adesso come
trent’anni fa, abitazioni nuove e interi palazzi costruiti nel 2000. In Emilia
vengono giù capannoni industriali e migliaia – troppe – risultano essere le
abitazioni inagibili. Muoiono operai, quasi tutti migranti in cerca di migliori
condizioni di vita.
Nel mio viaggio a Romagnano
al Monte “nuovo”,
in Irpinia, tocco con mano quello che sento da 3 anni accadere qui: famiglie
che vivono in prefabbricati di legno, da oltre 30 anni. Come afferma Antonello
Caporale, l’Irpinia durante il post sisma ha avuto un riscatto storico
dall’isolamento e dalla povertà, anche grazie alla messa in opera di
infrastrutture e vie di collegamento, ma lì come qui si è sacrificato il
patrimonio agricolo per la (ri)costruzione al costo dell’identità territoriale
e della storia (Convegno-mostra, L’Aquila, 18 dicembre 2011).
Di geografia
e paesi mi attira e mi conforta la lettura delle tante pubblicazioni di Franco Arminio, scrittore e poeta dell’Irpinia
d’Oriente. Dentro la sua produzione letteraria si trova tutto il significato
del terremoto: parla e narra del “post”, dei valori sui quali si dovrebbero
basare le comunità tutte, in particolare le nostre duramente colpite dai
terremoti, ricercandone le origini attraverso i luoghi e i paesaggi snaturati
dalle più scellerate ricostruzioni. Nelle tante riflessioni che Franco Arminio
generosamente regala ai suoi lettori, anche sul web (Comunità provvisorie), ritrovo tutte le preoccupazioni
che invadono il nostro vivere nel cratere aquilano vittima della stesso destino
irpino: “Se vesti la taglia 42, perché compri una 52?” (F. Arminio, Scuola di paesologia).
Cosa
raccontare dei miei luoghi? Se è vero che esistono, allora io ne ho vissuti
tanti, siano essi fisici o mentali. Ogni luogo col suo ricordo associato a un
odore o a un suono, colorato o scolorito, luminoso o buio, distante o vicino.
In condizioni di normalità uno stesso luogo può ricordarti quando eri giovane,
oppure di averlo vissuto prima della nascita di un figlio e non esserci più
tornato da lungo tempo, scoprendo però che in fondo quel luogo non è cambiato
troppo; a volte semplicemente anche i luoghi invecchiano lentamente, e solo in
certi dettagli si può vedere l’usura o l’incuria; invece a volte sono solo le
stagioni a fare la differenza, ma nella sostanza restano immutati. Quel luogo del
“prima” di un particolare evento lo trovi sempre là, nella stessa posizione,
invecchiato o rinnovato, magari solo trasandato, o al contrario tirato a lucido
e se riesci a tornarci, riconosci e rievochi ricordi di volti ed emozioni. È
rassicurante tornare nei luoghi che hanno tracciato un vissuto e
raramente queste terre le ho pensate rivolte al futuro, perché per
esempio la mia è una città medioevale, almeno fino a 3 anni fa.
Della storia
dei luoghi, dei luoghi della mia città, in realtà, ho avuto occasione di
occuparmi tredici anni fa, quando sull’Aquila inizia un percorso
editoriale promosso dall’associazione culturale “Territori” che nel 1999 pubblica il volume Sulle ali dell’aquila dedicato alla scuola primaria
e distribuito gratuitamente alle classi IV e V. L’operazione si proponeva
l’obiettivo di offrire un supporto per ampliare le conoscenze dei ragazzi sulla
loro città. Oggi, è il caso di riprendere quel percorso per offrire uno
strumento che, partendo da alcuni punti di riferimento spaziali e temporali,
aiuti a maturare la consapevolezza storica e ambientale sul proprio territorio
fatto di rotture e continuità. Fino al 6 aprile 2009, quando il terremoto ha
segnato in modo indelebile la geografia e la socialità del territorio aquilano.
Questo strumento didattico vedrà nella seconda edizione un coinvolgimento
diretto dei bambini anche perché “Le situazioni d’emergenza
e di post-emergenza causate da catastrofi interrogano l’orizzonte pedagogico e
didattico su quali strategie attivare a fronte delle criticità che esse
generano sugli individui” (Isidori, Vaccarelli 2012). Gli obiettivi che ci
proponiamo di raggiungere alla fine di questo nuovo percorso sono, da un lato,
fornire uno strumento didattico per insegnanti e alunni, che ripercorra la
storia della città, teatro nel passato di avvenimenti che la memoria ha il
dovere di trasmettere; dall’altro, rispondere all’esigenza di ricostruire il
senso di appartenenza a un territorio che da secoli ha dovuto fare i conti con la
ricostruzione di un doposisma.
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