I tuoi due gatti si accosciano,
sfingi araldiche, con una tale desertica indifferenza,
una
tale calma da “chi-diavolo-sei?”,
si alzano e
si sottraggono al tocco con passi pacati,
aspettano
solo te. Per essere cullati nel tuo braccio.
La pancia in
su per farsi lisciare da una spazzola che gli
toglie i
nodi dal pelo, gli occhi socchiusi nell’estasi.
Il
sole di gennaio spalma il suo balsamo sulla pancia supina della terra,
ombre
che hanno sempre combaciato con le loro forme,
vi combaciano
di nuovo. I frangenti diffondono un benvenuto.
Accettalo.
Guardo gli spruzzi dell’onda che esplode come un gatto
che
s’arrampica su un muro, fa presa, scivola e s’arrende; all’inizio,
le sue
unghie si agganciano poi scivolano in una rapida caduta nella spuma
ondeggiante.
Questo
è il cuore, al suo rientro, che cerca di aggrapparsi a tutto ciò che ha
lasciato,
come
le cose salate non fanno che accrescere la sete.
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