LETTERA DALL’EREMO : In dialogo attorno alla parola

Il tema generale era “La Parola di Dio ci chiama alla preghiera e alla testimonianza” ed è stato affrontato attraverso sei approcci differenti, ciascuno dei quali introdotto da una relazione a due voci: cristiana e musulmana. Nella prima giornata si è trattato di esaminare il ruolo della Parola di Dio nelle due tradizioni: cosa si intende per “rivelazione” (l’origine divina e la sacralità della Bibbia e del Corano) e cosa comporta il rapporto personale con la Scrittura attraverso la lectio divina o la recitazione di brani del testo sacro. Il secondo giorno ha visto la riflessione concentrarsi sulla risposta del credente alla Parola di Dio attraverso la preghiera: si sono così esaminate forme, modalità ed esperienze relative alla preghiera pubblica o comunitaria e alla preghiera personale. Nell’ultimo giorno la medesima “risposta” alla Parola di Dio è stata letta attraverso la griglia del pensiero e dell’azione: la vita della comunità credente e la sua testimonianza in un mondo secolare sono stati l’oggetto della riflessione dei partecipanti.

Il bisogno, per esempio, di coniugare la fede in una verità rivelata e i suoi aspetti trascendenti con una sostenibilità razionale delle proprie convinzioni è un dato che accomuna, al di là di abusati cliché, cristiani e musulmani. Così come la difficile e sempre perfettibile dialettica tra istanze religiose e loro traduzione nei comportamenti quotidiani in una società secolarizzata oppure l’esigenza di un’espressione comunitaria della fede che non può restare relegata nello spazio strettamente individuale sono problematiche che si ritrovano tanto nell’occidente ormai orfano della cristianità quanto in un paese in cui la sharia è tornata a essere legislazione di riferimento anche per la società civile.

I pasti presi insieme nel refettorio monastico nel rispetto delle norme alimentari proprie a ciascun gruppo, la sala predisposta per la preghiera dei musulmani e la possibilità di essere presenti gli uni alla preghiera degli altri, la visita al P.I.S.A.I. (il Pontifico istituto di studi arabo-islamici), alla Cappella Sistina e alla basilica di San Pietro, così come lo scambio fraterno su aspetti molto concreti delle rispettive pratiche religiose hanno facilitato il confronto teologico che si è sviluppato nelle tre giornate di discussione.
Segno eloquente di quanto questo dialogo islamo-cristiano non nasca oggi e sia anche il frutto di intuizioni di uomini di Dio che hanno profeticamente dissodato il terreno con sapienza e pazienza, rendendo in tal modo possibile un confronto fino a pochi decenni or sono nemmeno immaginabile, è stato il sostare commosso e raccolto dei membri musulmani di fronte al corpo di papa Giovanni XXIII esposto nella basilica di San Pietro. Teologi sciiti che, anche per semplici ragioni anagrafiche, non hanno mai conosciuto il figlio di contadini bergamaschi divenuto successore di san Pietro, erano tuttavia consapevoli che l’apertura conciliare del decreto Nostra Aetate era sgorgata da quel cuore e quella mente, capaci di narrare la buona notizia della fede cristiana in un linguaggio comprensibile a ogni essere umano e rispettoso dei “semi del Verbo” presenti in ogni autentica tradizione religiosa. Così lo stupore di fronte alla magnificenza della Cappella Sistina e la curiosità per gli aspetti concreti e aneddotici relativi all’elezione del papa hanno lasciato il posto a un silenzio denso di rispetto e di spiritualità: davvero il dialogo teologico è un dovere per i credenti, ma un dovere che è possibile assolvere con convinzione e, soprattutto, con gioia e gratitudine che sgorgano dal profondo.
In dialogo attorno alla parola di Guido Dotti
Questo rapporto è stato publicato originariamente in POPOLI, il mensile internazzionale dei Gesuiti (Novembre 2011, N. 11).

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