SILLABARI: Umanesimo

Non abbiamo cura della polis, non siamo interessati a rendere le città piùbelle e i luoghi più accoglienti. Eppure, la qualità della vita, il gusto dellavita, la nostra storia, la nostra arte, la nostra gastronomia sarebbero e sonola carta vincente.
Siamo un popolo distratto, ha detto il celebre critico d'arte e giornalista.Continuando così ne pagheremmo le conseguenze perché la crisi mondiale ci verràaddosso, perché alla globalizzazione grigia e sorda non avremo nulla daopporre.

Qual è l'antidoto alla globalizzazione informe e inumana? Sono le nostreradici, afferma Daverio, il nostro senso di comunanza, il nostro buon produrre,la nostra identità, la nostra vita buona.
“Voglio salvare l'Italia”. E' questo l'appello che il critico lancia dal palcodel Fermo Forum Marche. E' questo l'appello che ognuno di noi dovrebbe recepiree amplificare.

Innanzitutto con il rilancio della nostra prima “industria”, che èl'artigianato, l'attività manifatturiera (“solo la manualità ci salverà dallareligione della rete”), il prodotto del bello e del buono.
Una proposta: “Adottate un ricco”, aggiunge il sig. Philippe. “Spiegategli comesi va a passeggio, come si gusta un paesaggio, come si dialoga con esso”.Insomma: invaghitelo e convincetelo a collaborare, a dare una mano. Nella pienaconsapevolezza, però. Che non è quella dell'obolo dato per carità, ma quelladella coscienza di appartenere ad una terra comune, di cui ci si sente parti ea cui occorre restituire.
Cosimo il vecchio, nella Firenze del Quattrocento, ereditò dal padre tre libri,ne lasciò alla città 10 mila.
Alle Marche, Daverio lancia una proposta di gemellaggio con la Baviera, con quella partedi Germania che, rialzatasi dai disastri della Seconda Guerra Mondiale, hasaputo equilibrare sviluppo industriale, bellezza del paesaggio, cultura etradizione.
Nulla da inventare, tutto da riscoprire e rilanciare.
Siamo nani sulle spalle dei giganti. Ma se ci rifiutiamo di salirci, naniresteremo e senza sguardo. E futuro.

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