lunedì 30 agosto 2010

ET TERRA MOTA EST : I dimenticati d'Abruzzo

ET TERRA MOTA EST :I dimenticati d'Abruzzo

di Fabrizio Gatti

Centri storici abbandonati, strade invase dalle macerie, 30 mila ancora sfollati, 15 mila senza lavoro. Nuovi alloggi già deteriorati. Viaggio nei luoghi martoriati dal terremoto. Sedici mesi dopo le scosse

(19 agosto 2010)


Qualcuno ha chiamato per nostalgia
il numero della sua casa pericolante. E un bel giorno ha sentito rispondere. "Chi parla?". "Chi parla? Ma chi sei tu?". Quello dell'Aquila è stato il primo grande disastro italiano nell'era della comunicazione. E la comunicazione non può aspettare. È per questo che Telecom, secondo quanto è stato detto ad alcuni sfollati dallo sportello clienti, sta assegnando ad altri i numeri dei contratti sospesi dopo il terremoto.


Comincia così l'oblio. Ti cancellano dall'elenco telefonico. Non dalle bollette di abbonamenti tv, luce, gas che continuano ad arrivare. Almeno in città c'è il popolo delle carriole a tenere vivo il ricordo su cosa non è stato fatto. Ma nei paesi della provincia come Sant'Eusanio Forconese, Castelnuovo, Poggio Picenze i centri storici sono giorno dopo giorno sempre più estranei. Sempre più lontani dalla quotidianità. Immagini spettrali di un mondo ora rinchiuso dentro le facciate di legno pressato delle new town. Ci siamo giocati anche la seconda estate per avviare i lavori. Tra un mese in Abruzzo arriveranno il freddo e il maltempo. Se ne riparla dopo il prossimo inverno. E nessuno può ancora prevedere quando torneranno abitabtoLo show ha funzionato. Hanno dato appartamenti dignitosi e casette di legno a 18 mila persone e, a guardarle dal resto dell'Italia, sembra che tutti abbiano avuto un tetto. Invece il grosso resta ancora da fare. Rimuovere le macerie, avviare la ricostruzione vera nei centri storici, i più colpiti. E soprattutto riportare in città quanti si trovano nelle stesse condizioni di sedici mesi fa: 15 mila senza lavoro e 30 mila sfollati di cui 3.500 ospitati ancora negli alberghi sulla costa adriatica, secondo i dati calcolati a inizio agosto dal Comune dell'Aquila. Da quando il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, ha passato i poteri di commissario delegato al presidente della Regione, Gianni Chiodi, i cittadini abruzzesi sperimentano ogni giorno cosa significhi il motto stampato sullo stemma del capoluogo: "Immota manet" c'è scritto, resta ferma. E infatti nei centri storici dei paesi non si muove nulla. Scavalcate le transenne che sbarrano le strade ci si ritrova a camminare su macerie e pezzi d'arredamento calcificati. Si fatica a capire dove finivano le case e cominciavano le vie. Erbacce e rovi ricoprono di verde e fiori selvatici la distruzione. Uno specchio rotto appeso alla parete. Un triciclo schiacciato dalle pietre. La culla di un bimbo. Lo scricchiolio di una persiana sbattuta dal vento. Si sale e si scende tra cumuli e voragini. Un odore umido di cantina e sabbia bagnata si diffonde dalle finestre senza vetri. A Poggio Picenze la foto di quella notte è immortalata nei panni stesi ad asciugare al balcone di una casa che non c'è più. Un lavandino continua a gocciolare. Il lampione stradale ti guarda dal basso, piegato in due, spento per sempre un anno e quattro mesi fa.
I nomi delle piazze li leggi sulle targhe ad altezza di polpacci. Decine di facciate sono pronte a crollare. Come a Sant'Eusanio, paese di Mimmo Srour, 62 anni, titolare a L'Aquila di uno studio di ingegneria civile, messo a capo all'assessorato provinciale alla Ricostruzione inventato per l'occasione dalla giunta di centrodestra. L'assessore Srour prima del disastro stava con il centrosinistra. Ora è accusato dal Pd locale di essere il responsabile della sconfitta della presidente uscente, Stefania Pezzopane. Il terremoto non sbriciola soltanto il cemento. E poi c'è il peso prevedibile del prossimo inverno, il secondo. La neve, il ghiaccio, le infiltrazioni d'acqua. Senza lavori di consolidamento, anche le case soltanto danneggiate stanno via via cadendo. Il centro di Sant'Eusanio è fermo all'alba del 6 aprile 2009: a parte le erbacce e i cespugli di lavanda, lo scenario è lo stesso di quando la prima luce del giorno mostrò ai sopravvissuti cosa era rimasto. Hanno puntellato solo la chiesa e, per proteggere gli operai, gli edifici della piazza. Nel farlo, si sono lasciati prendere la mano. Hanno montato tralicci e puntelli a ridosso della canonica. Senza considerare che andava demolita. La canonica ora non c'è più e l'immenso castello di metallo è rimasto lì a sostenere l'aria tersa di fine estate. Uno spreco: un tubo zincato venduto in esclusiva dalle Acciaierie Marcegaglia costa 3,40 euro al metro, i giunti cardanici 1,98. Puntellare una villa può valere 60 mila euro. Un palazzo 500 mila. Sempre soldi pubblici.



Eremo Via vado di sole , L'Aquila, lunedì 30 agosto 2010


giovedì 19 agosto 2010

ET TERRA MOTA EST : La ricostruzione è un fatto di pochi

ET TERRA MOTA EST : La ricostruzione è un fatto di pochi

Un comitato di industriali, sociostar ed archistar per risolvere un problema innanzitutto urbanistico: hanno proprio capito tutto.

da “Il manifesto”, 13 agosto 2010

I colpi contro il popolo aquilano non vengono soltanto dalle cariche della polizia a Roma. La scorsa settimana anche il presidente della regione e il sindaco di L’Aquila, nei ruoli di commissario e vice della ricostruzione hanno infatti picchiato duro, istituendo una commissione di “saggi” per coordinare gli interventi di ricostruzione che è un altro duro colpo alla popolazione. In perfetta sintonia bipartisan i due hanno nominato un validissimo economista come Paolo Leon, ben due sociologi (Bonomi e De Rita), nessuno storico della città e del territorio e altri tre autorevoli personaggi di cui sarà bene parlare.

Il primo è Cesare Trevisani, ad di Trevi finanziaria industriale, presidente e ad della Petreven, ad di Trevi spa, vice presidente e ad di Soilmec; vice presidente e ad di Drillmec. Sfugge, al di là della potenza di fuoco delle cariche ricoperte, il motivo della nomina. Entra infatti come referente per le infrastrutture e a noi non resta che domandarci se non c’era di meglio sul mercato degli esperti: esistono infatti decine e decine di tecnici validissimi che da decenni operano nel settore dell’innovazione tecnologica. È invece noto che siamo il paese con la più spaventosa arretratezza nel campo del settore infrastrutturale e non ci vuole la zingara per attribuire anche alla potente Confindustria un grave ritardo culturale. E chi scelgono Chiodi e Cialente? Un esponente di spicco dell’associazione, essendo Trevisani il vice presidente delle infrastrutture di Confindustria.

Solo per stomaci forti consigliamo di ascoltare l’intervista rilasciata dal nostro alla televisione regionale abruzzese in cui si esercita nel mantra confindustriale: bisogna abbassare le tasse per le imprese, etc. Tutte cose sacrosante, intendiamoci, ma che poteva declamare nel suo ruolo di vicepresidente. Invece le dice in qualità di membro di una commissione che – immaginiamo – verrà remunerata con i nostri soldi. E non è che Confindustria non fosse già dentro la partita aquilana. Anzi. A capo della struttura tecnica di missione siede Gaetano Fontana, già direttore generale del Ministero dei lavori pubblici, passato poi a direttore generale dell’Ance, associazione dei costruttori nazionali e da lì all’incarico aquilano. La pubblica amministrazione è come una porta girevole, si entra e si esce con grande disinvoltura.

Ancora più sconcertanti, se possibile, le altre due nomine. La prima riguarda Alvaro Siza, grande architetto di fama internazionale. Ma con le archistar non si ricostruiscono i centri storici ed è questa la vera urgenza aquilana. L’ennesimo grande nome chiamato soltanto per fare moina. Infine è stato nominato, Vittorio Magnano Lampugnani, anch’egli valente architetto.

Grandi nomi dell’urbanistica non sono stati invece presi in considerazione. Pierluigi Cervellati, ad esempio, rese famosa l’Italia per le politiche di riabilitazione del contro storico di Bologna. Dal canto suo, Vezio De Lucia diresse la ricostruzione del centro storico di Napoli dopo il terremoto del 1980.

Due urbanisti evidentemente sgraditi al circolo del pensiero unico.

Oppure si potevano chiamare i tecnici del comune di Foligno, dove a seguito del terremoto del 1997 è stato portato a termine un esemplare processo di ricostruzione senza clamori e senza grandi nomi. In questo caso, dava forse fastidio il rigore con cui si è ricostruito il volto di una città più piccola e con meno danni de L’Aquila.

Oggi, infatti, si sentono affermazioni che non possono non preoccupare. Il Centro del 27 luglio riporta la seguente frase attribuita a Lampugnani: «Non si può pensare di ricostruire tutto com’era, ma occorre salvaguardare le grandi opere e i monumenti artistici presenti in città e in tutti i borghi del territorio». Forse gli aquilani che amano la loro città nella sua inscindibile unitarietà non saranno affatto d’accordo. Il dramma è che la politica bipartisan chiude ogni spazio di reale confronto. La ricostruzione è un fatto di pochi. Gli abitanti devono solo ubbidire a simili “saggi”.

Non è certamente consolante a sedici mesi dall terremoto del 6 aprile apprendere che un comitato di saggi ( sic) esaminerà la precaria ( precaria in tutti i sensi , a dir poco ) realtà aquilana per suggerire (suggerire ?) soluzioni per la ricostruzione. Subito dopo il terremoto ( aprile, maggio 2009) contemporaneamente allo sforzo per l'assistemza occorreva lavorare (anche con l'aiuto di saggi, 'esperti e soprattutto esperienze già realizzate) per progettare il futuro. E' doloroso constatare che sta andando via il futuro perchè stanno andando via i giovani. Sul tavolo dell'amministrazione comunale ci sono pratiche di giovani ( trentenni e quarantenni) che chiedono la regolarizzazione della loro posizione anagrafica ovvero di non avere più a residenza a L'Aquila. Per quanto l'Amministrazione comunale ritenga il fenomeno esiguo ( esiguo?)è comunque un segnale importante.

Le foto sono di Patrizia Tocci

Eremo Via vado di sole,L’Aquila ,giovedì 19 agosto 2010

DI GIORNO IN GIORNO .Versi d'altri e altri versi : "Emozionando " di Helianthos 2 parte " Stati d'animo"

DI GIORNO IN GIORNO . Versi d'altri e altri versi : "Emozionando" di Helianthos
2 parte "Stati d'animo"

La mia amica Helianthos (Valeria) mi fa dono di una poesia che ha per titolo "Per...dono ".

Mi piace e ha una sua musicalità , specialmente nella primaparte. L'attacco è buono ma sento poi come un'esagerazione nei toni. Peresempio perché gli abissi della memoria. La memoria contiene quello che ci riesce a tenere in vita. Quello che cidisturba , che ci crea problemi la memoria se ne disfà. Ecco la necessitàdell'oblio o molto meno la dimenticanza. Dimenticare dunque .

Perché " alluvione" e non "pioggia", perché "inondazione "enon solamente " deposito" o tocco leggero con il quale le lacrime si posano .

E poi il magico "per", perché magico ? " Per " preposizionesemplice, segno matematico, viatico amolte cose. " Per " senza il quale forsenon esistiamo. Ma il discorso si fa ingarbugliato . E allora. Allora il senso dellapoesia. Un colloquio intimo e solitario che Helinathos ha voluto esprimere così. E così dunque sia . Le mieosservazioni non contano rispetto a chi , leggendo questi versi , sentequalcosa , ha un'emozione, il respiro diverso , il battito di ciglia, uno sguardo diverso per le persone o una persona che gli staaccanto. Ma leggiamo la poesia di Helianthos :

Per ... dono

Era impossibile immaginare/un dono più prezioso/che mifacevi, che ti facevo./Era l'azzurro dei tuoi occhi/che mi cadevanodentro,/come una canzone priva di suoni/eppure piena di musica./Erano le tuelacrime che si scioglievano /e come un alluvione /m'inondavano l'anima./Era iltuo vivere, il nostro vivere/era la fine, era il vuoto./Ma c'era un per, /chesi poteva attaccare e staccare,/moltiplicare o dividere,/come una domandaspezzata/che cadeva inavvertita nel vuoto/o poteva cambiare d'accento./Era undono, /più volte, straordinariamente donato,/o era il perdono, /che cadeva nelrovo dei ricordi/e ne sfumava i contorni,/contorni che ora si pérdono/negli abissi della memoria./Comunque sia era la fine,/ma anche l'inizio di unpercorso sconosciuto,/di un passato dimenticato, /di un evento maiavvenuto,/perché nessun dolore si portava dietro,/dato che tutto era statodetto/attraverso un dono, /preceduto da quel magico "per".

Ho preso lo spunto da questa poesia per continuare la presentazione del volume di poesie"Emozionando" pubblicato da Valeria chesi firma Helianthos qualche settimana fa per le Edizioni Tracce. In un post precedente ho riportato le poesiedella prima sezione appunto "Emozionando" che dà il titolo alla raccolta. Ora voglio soffermarmi sullaseconda sezione "Stati d'animo" che sicompone di alcune poesie come " Non tiamo " " Il senso della vita " "Ritrovarsi" "Riflessioni" " Chi sei " che mi sono permesso di scegliere. Anzi posso dire che le ho sentite diverse dalle altre ma è appunto come già accennavo sopra quelmio battito di ciglia, quello sguardo che è mio e solo mio . Il lettoredel volume sicuramente sceglierà anche altre poesie di questa sezione proprio a conferma del senso e delsignificato della poesia . Ho scelte queste poesie non perché le altre non mipiacciano ma perché queste che poi vado a copiare hanno tra un loro un filo rosso, il senso di una continuità sia nella riflessione di Helianthos sia neglielementi che le compongono e le fanno vivere.


Innazitutto il compito del vento. Che cosa è il vento se non ,appunto , il senso della vita. Il vento va dove vuole , torna quando vuole eporta con sé molte cose . Porta anchequell'acre odore di voluttà impudiche madi forti radici alla terra che sicalpesta, alle esperienze che vi si fanno sopra .

E poi una domanda chi sei? Ch'io possa capire chi sei primache il cuore si faccia di sasso e lasperanza mi porti per mano in un cammino antico nuovo attraverso le parole scritte, le pagine scritte, i versi espressi e quelli taciuti. Sei quella poesiache ti accompagna e che mi dà la possibilità di riconoscerti o sei ancora tuche con la poesia ritorni per " noi dueuna volta/ noi due una vita."


Non sono d'accordo con Helianthos quando dice non ti amo perché non mi sveglio al mattino accanto a te,perchénon sento il calore delle tue carezze ,perché non odo i tuoi passi per la casa. Non ti amo perché vivi solo tra queste riga. A un certo punto della vita quello che resta sono proprioquelle riga che possono continuare avivere solo perché un giorno ci si è svegliato accanto aqualcuno, si sono date e ricevute carezze , da una stanza all'altra della casasi sono ascoltati i suoi passi , ci si è arrabbiati insieme e si è entrati a volte in conflitto , perchépoi è finito, perché tutto finisce, e avolte è un bene che tutto finisca. Per Helianthos in questo caso per promessenon mantenute o per una routine che non è capace di creare magia o vibrazioni .

Non ti amo

Non ti amo/ perchè non mirisveglio al mattino / accanto a te ,/ né sento il profumo amaro/ della tuapelle./ Non ti amo / perché non sento il calore / delle tue carezze,/ né ilbattito del tuo cuore/ che pulsa distante anni luce./Non ti amo/perché non odoil suono dei tuoi passi per casa/a riempire il vuoto della mia anima,/né vedola sedia occupata /dai tuoi vestiti poggiati alla rinfusa./Non ti amo/per lamancanza di vibrazioni / delle tue parole inespresse,/per le tue promesse/ nonmantenute.Non ti amo perché non sai donarmi/ un momento di magia ,/né unbrivido d'amore./ Non ti amo, semplicemente non ti amo, /perchévivi solo tra queste righe/ prigioniere della mia nostalgia.

Il senso della vita

Sembra una voce ma è solo ilvento/ che batte sulle foglie ingiallite/ aggrappate a rami dormienti/ preludio d'inverno./ Suona il vento sulliuto dell'aria/ presaga di freddo,/ suona su parole non dette/ su vocidistratte/ aride d'essenza./ Prosegue il vento sui sentieri nevosi/ e siattarda sulle cime dei boschi/ ad ascoltare l'anima del cielo/ oscurato dinubi./ Corre ancora il vento/ ma poi si posa sospeso,/ e non canta e non suona, ma danza/silente eleggero: Ha scorto un nido d'amore/e offre il suo plauso/ ai sensi della vita.

Ritrovarsi
Ti ritrovo ancora percaso,/percorri il mio stesso cammino/come l'onda che viaggia/ e violentementesi ripiega/ su se stessa tornando indistinta,/ ad essere mare/ e ancora unavolta/ scavi nella mia anima /perlustrando le memorie che ci unirono./ Assaporocon voluttà impudica/ il tuo dono di sempre,/di magnolia e di agrumi,/ chem'imprigiona il respiro/ e abbasso gli occhi / per non dover resistere al tuosguardo /tormentato e felice./ L'orologio del tempo si è fermato/ per unattinmo. Noi due, una volta./Noi due una vita.



Riflessioni


Presto scenderà

la sera

e i sogni scivoleranno

intatti

nel profondo della mia

memoria.

Questo mi resta

e il cuore

è diventato un sasso.


Chi sei


Non ti conosco./ Sei come ilvento/ e come il vento fuggi via./ Solo la tua risata/ argentina enull'altro/di te./ M'è noto il suono/ e la tua bella chiostra/ che si dischiude/ in un gorgheggio felice / ma non ne afferro il senso, / forse perchè tra noi/ s'è alzato un muro / di giorni grigi./ Non ti conosco./ Regalami almeno / latua voglia di gioire/ e le mie sere / sivestiranno a festa/ anche se non mi svelerai / i segreti del tuo cuore.



Eremo Via vado di sole, L'Aquila,gioved' 19 agosto 2010


martedì 17 agosto 2010

ENRICO BSJ FERRARI - DIARIO DI UN TERREMOTO

EDITORIALI : La politica degli stracci

EDITORIALI :La politica degli stracci



Anticipiamo il "Primopiano" del n. 34 di Famiglia Cristiana, in edicola dal 18 agosto. L'Italia affonda nella melma dei dossier e dei veleni,tra risse e regolamenti di conti.17/08/2010



L'immagine che più si addice alla politica di questa torbida estate è ilproverbiale campo di Agramante di ariostesca memoria, dove regna una discordiaconfusionaria e suicida, mentre il nemico (lo spettro della crisi) è alleporte. Dossier, minacce e ricatti velenosi volano come stracci, in un'Italiaridotta alle pezze. E con avversari da polverizzare, con ogni mezzo,perché il potere assoluto non ammette dissenso: non fa prigionieri, solo terrabruciata contro chi canta fuori dal coro.

Veleni e schizzi di fango volano ovunque. Con politici lontanidai problemi delle famiglie, che stentano a vivere, ogni giorno alle prese conpovertà e disoccupazione, soprattutto giovanile. Settembre riserverà unbrusco risveglio. La ripresa è debole, soggetta alla pesante concorrenza deinuovi mercati dell'Estremo Oriente. A scuola, anche quest'anno, lacampanella suonerà a vuoto per decine di migliaia di docenti precari. Inattesa, da anni, di una sistemazione.

Il Paese che si avvia a celebrare l'unità d'Italia èstufo di duelli, insulti e regolamenti di conti. Una politicaresponsabile, che miri al bene comune, richiederebbe oggi, da tutti, un passoindietro, prima che il Paese vada a pezzi, e un'intesa di unitànazionale (e solidale) che restituisca ai cittadini il diritto di eleggersi ipropri rappresentanti. Non più comparse da soap opera, ma persone di provatacompetenza e rigore morale. Minacciare il ricorso alla piazza o tirarea campare con una "tregua armata" non sana le profonde ferite di questi giorni.Tantomeno ridà credibilità a una politica offuscata da ampie zone d'ombra. IlPaese è paralizzato. Sotto ricatto. Leggi e favori, come al "mercato dellevacche", sono oggetto di baratto: federalismo in cambio di intercettazioni.I dossier vanno e vengono dai cassetti, con minacce di "bombe esplosive" (machi sa, perché non parla già ora?). Manca, come ha scritto il presidente delCensis Giuseppe De Rita, «una cultura politica della complessità e del suogoverno». S'è perso di vista il bene prioritario del Paese, come haammonito il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, nell'omelia dell'Assunta.

Anche la questione morale è ormai arma di contesa. Dallapolitica "ad personam" siamo al "contra personam". Ma la giusta esigenza dichiarezza vale per tutti. Sia per chi ha la pagliuzza che per chi ha la travenell'occhio. La clava mediatica (o il "metodo Boffo") contro chi mettea nudo il re è un terribile boomerang, in un Paese che affoga in una melma dicorruzione, scandali e affari illeciti.

Disfattista non è chi avverte il pericolo e fa appello alsenso etico, ma chi è allergico al rispetto di regole e istituzioni. Nel campodi Agramante italiano si alzano polveroni, utili solo a fini propagandistici.Per soddisfare la voglia d'una contesa elettorale che sbaragli, per sempre,l'opposizione. Come in passato, urge anche oggi l'appello di don Sturzo"ai liberi e forti". Prima che sia troppo tardi.



Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 17 Agosto 2010

domenica 15 agosto 2010

PORTFOLIO : Rivoluzioni

PORTFOLIO : Rivoluzioni

Nel corso del Novecento si sono verificate alcune rivoluzioni e micro rivoluzioni che hanno preparato il futuro che è parte di questo nostro presente. Un presente chedunque si avvale di quel passato e daesso trae origine e forza per continuare a svolgere il sottile filodell'esistenza .

E dunque a proposito di rivoluzione nel campo dell'arte, per esempio, una di queste ha permessodi stendere lo sguardo sugli oggetti in uso nella vita quotidiana andando oltre la loro funzione quindi reinventandoli e ricollocandoli in altri contesti come semplici manufatti.

Così prendere un orinatoio, di quelli in ceramica che si trovano nei bagni pubblici attaccati ai muri ed esporlo girato di 90gradi ha realizzato una vera e propria rivoluzione.

Così è capitato nella storiografia, per esempio , quando sisono cercati i documenti della vita quotidiana, le storie e le microstorie di ogni giorno per tessere il racconto della grande storia che appuntoda allora si avvale di queste cose insignificanti per raccontare gli avvenimenti che hanno interessato interepopolazioni o continenti.

C'è una metafora di quelle che noi abbiamo chiamate le micro rivoluzioni ed è la vicenda in Italia di Adriano Olivetti e della sua azienda di Ivrea.

La sua improvvisa morte nel 1960 interruppe un processo che aveva fatto della fabbrica , del lavoro in fabbrica, della vita dell'operaio , dal passaggio dall'industria meccanica a quella elettronica un momento di eccellenza perché proiettate all'interno di un mondo che del futuro teneva conto e che del futuro voleva un assaggio approfittando delle capacità straordinarie di un uomo libero quale era appunto Adriano Olivetti.

Ma torniamo alla rivoluzione nell'arte attraverso la considerazione e riconsiderazione degli oggetti in uso nella vita quotidiana .Nel Novecento ci si è molto affannati su un'affermazione : l'arte copia la realtà? Contro di essa si è difeso l'arte astratta e si sono giustificate immagini deragliate come quelle dei surrealisti. A poco a poco è venuto sempre più all'attenzione l'evidenza che la relazione tra arte e realtà èirrinunciabile. Ma dopo la fine dellacopia dal vero ( complice certafotografia o certa riproduzione meccanica) il punto che ci si presenta oggi è capire come i due universi si tocchino.

Se ne occupano una serie di mostre "Keeping it Real" allaWhitechapel Gallery di Londra.che ripercorrono il rapporto tra artisti e realtà da Duchamp aMona Hatoum.

Piccole mostre che si susseguono . La rassegna parte idealmente dal ready made di Marchel Duchamp e in particolare dall'orinatoio ribaltato firmato R. Mutt e rinominato "Fontana" (1917) che generò un grande scandalo a New York Ribaltare di 90 gradi un pissoir significa non solamente privare quell'oggetto del suoaspetto funzionale , ma anche inviare aguardarlo in quanto forma e manufatto.

E in tema di quotidiano, come già si diceva: " Act I The corporeal , presenta lavori che parlanodel corpo. Compare , per esempio il torso di Roberto Gober che rappresentametà maschio e metà femmina , e che pur nel realismo assoluto delle dueparti genera un profondo disappuntoemotivo. Lo stesso accade nella ragazzina sospesa di Louise Bourgeois , anch'essa connotata dall deformazioni , nelle stampe di Jim Hodeges realizzate con la saliva e nelle installazioni di David Hammons , Sarah Lucas e altri.

"astrazioni sovversive" sarà il secondo atto della mostra econterrà opere di Lynda Benglis ,Mike Kelley che creano forme a partire da materiali direcupero, quello non decisamente da discarica. Da Georges Battaille questo tipodi arte prende la nozione di abietto persottolineare la fine dell'equazione arte- bellezza.

Una grande installazione, opera ambientale di MonaHatoum dà il titolo alla terza parte della mostra "Correnti Disturbance ". L'opera della Hatoumè concepita come una griglia di gabbie chiuse da una rete e illuminate da lampadine a bulbo .

"Material Intelligence " conclude la rassegna presentando quello che noi definiamo normalmente "quadri" con opere di Paul Chan, Sam Durant, Arturo Herrera ed altri.

Certo è difficile percorrendo il Novecento accostare dunque Duchamp della ready made con la quale impone una totale indifferenza emotiva ad autori come Picasso , Carrà,Max Ernst che insistettero sulla forte risposta emotiva che volevano provocare anche se è chiaro che le opere devono molto agli oggetti dell'uso corrente come la rassegna"Keeping it Real " tenta di dimostrare .


Eremo Via vado di sole , L'Aquila,Domenica 15 agosto 2010

giovedì 12 agosto 2010

ET TERRA MOTA EST: Il mio viaggio dentro il vero miracolo dell'Aquila : gli aquilani !

ET TERRA MOTA EST :Il mio viaggio dentro il vero miracolo dell’ Aquila: gli aquilani!
Di Marina Benedetti • 8 agosto 2010

Sapevo delle ferite inferte dal terremoto ed ero, purtroppo, certa di trovare una città e un territorio devastati. Riuscivo a immaginare lo sgomento e la tristezza negli occhi della gente…. ma non ero pronta al silenzio, al buio, al vento che regna incontrastato fra i vicoli, al rumore sordo dei miei passi, all’eco delle parole dei rari passanti, ai guaiti dei cani randagi, alla struggente nostalgia di Carlo, che ritorna tutti i giorni per sedersi sulla fontana di Piazza Duomo, e mentre mi parla della sua bella casa distrutta e del ristorante che ha dovuto riaprire in periferia, si guarda attorno smarrito, attende che riaffiori la propria anima, assiste impotente all’ agonia della sua amata città, rassegnato all’immobilità!

L’Aquila è morta . Il corso è stato riaperto è vero, le transenne sono state tolte, vi si può passeggiare, persino prendere un caffè nei pochi bar che hanno avuto l’ardire di riaprire e che sembrano delle oasi in quel deserto, ma non è sufficente a placare l’angoscia che si prova vagando per la città, sopratutto di sera. Quel che appare è inquietante, spettrale. Nessun palazzo è agibile, sebbene siano stati messi in sicurezza; i puntellamenti e i ponteggi che rivestono i palazzi, malcelano l’antica bellezza e le recenti ferite. L’Aquila è ora una bellissima vecchia ragazza vestita di cenci, ammalata e ferita mortalmente di cui nessuno vuole più prendersi cura.
i palazzi del centro rivestiti ” Marcegaglia”
Possiamo chiamarlo diario di viaggio?… Non lo so, di certo c’è che questo era un viaggio che desideravo compiere da tempo, un viaggio che mi ha permesso di ricomporre un puzzle, fatto di video e foto, articoli e reportage, documenti, inchieste, ma sopratutto di racconti di persone, amici virtuali e non. Avevo bisogno di mettere ordine nelle informazioni che avevo accumulato nel tempo, ripercorrere le mie sensazioni, le mie emozioni e dare loro una sequenza logica, e perchè no anche geografica!
Ma cominciamo dall’inizio…..
Ho seguito da subito la tragedia che ha colpito gli Aquilani, dapprima con la solidarietà e l’empatia che qualunque essere umano prova in circostanze del genere, e poi piano piano con l’attenzione e la preoccupazione della cittadina.
Mi è stato chiaro fin da subito che la gestione dell’ emergenza aveva qualcosa di “innovativo” che una sorta di esperimento sociale era stato messo in atto. Quale cavia migliore di un popolazione inerme devastata dal dolore?
La protezione civile interviene tempestivamente e gestisce la fase dei soccorsi con efficenza, supportata anche da migliaia di volontari resisi disponibili con generosità e passione civile fin dalle prime ore. Ma con il passare dei giorni si intravede una linea di gestione che permette, in deroga a leggi e regolamenti, di commissariare di fatto gli enti locali, sospendendo i diritti civili dei terremotati.

Presidio della Parrocchia di S. Pietro in p.zza della Fontana Luminosa
I campi sono blindati: le tendopoli sono presidiate da funzionari della digos e della polizia. E’ proibito introdurre volantini e macchine fotografiche; vietato importare ed esportare informazione e democrazia. Si vigila attentamente affinchè tra le maglie delle reti dei campi non filtri un filo di libertà , di partecipazione. C’è un presidio permanente della Rai, ma a parte le passerelle governative non trasmette nulla di quel che sta succedendo. Al paese viene raccontata solo la verità istitruzionale. La popolazione, con il decreto 39 viene espropriata di ogni potere decisionale; sia per quanto riguarda la fase dell’emergenza (impossibile l’ autogestione nei campi della protezione civile e per i disubbidienti blocco degli aiuti da parte della stessa), sia per quanto riguarda quella della ricostruzione per la quale il decreto, invece di privilegiare i lavoratori del posto, dà il via ad una giungla di subappalti ad imprese provenienti da altre zone d’Italia.
Così succede, ad esempio, che i prodotti locali dell’agricoltura e dell’allevamento vengono “cortesemente” rifiutati dalla protezione civile a favore dei prodotti della grande distribuzione, (notoriamente più genuini e sicuri ), contribuendo ad affossare ancor di più l’economia locale.
Il tempo nei campi viene scandito dall’ ozio forzato, dalle esigenze di profitto dell’emergenza e non da quelle della ricostruzione del tessuto sociale; e così con la convivenza forzata, la perdita totale dell’identità collettiva e di qualsiasi intimità, agli aquilani, dal 6 aprile, viene tolto il diritto all’autogoverno; vengono praticamente aboliti i diritti civili in nome dell’ assistenzialismo, “l’esperimento sociale” ha successo e l’autodeterminazione di un popolo viene barattata con la proverbiale efficenza della macchina organizzativa, garantendo così al “governo del fare” gratitudine e consenso. Tutto è soffocato dalla burocratizzazione e tutto viene demandato al di DI.COMA.C.(DIrezione di COMAndo e Controllo, l’organo di Coordinamento Nazionale delle strutture di Protezione Civile) qualsiasi atto, qualsiasi domanda diviene un percorso ad ostacoli, un odissea per la gente stremata, in tanti hanno perso il lavoro e sono costretti ad emigrare, gli ammalati spediti fuori dall’abruzzo, gli anziani, soprattutto ma non solo, sulla costa negli alberghi, le comunità disgregate, le famiglie smembrate, il tessuto sociale distrutto.

il quartiere popolare di Cansatessa abbandonato….
E poi arriva il G8, che invade militarmente la città, sottraendo preziose risorse economiche (circa 90 milioni di denaro pubblico), occupando la caserma “V. Giudice” che potrebbe accogliere da subito 25.000 sfollati. L’evento viene spostato in tempi record dalla Maddalena all’ Aquila per una mera questione di visibilità e di propaganda governativa, e a questo punto, il diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla mobilità e alla sicurezza dei terremotati passa in secondo piano rispetto ai privilegi dei potenti della terra e del governo.

il progetto C.A.S.E
Il resto della storia è nota ai più….La costruzione e la consegna degli alloggi del progetto C.A.S.E. viene spacciata per RIcostruzione, in seguito (ricordate la solenne promessa in autunno tutti avranno una casa?) chiuse le tendopoli senza aver per questo di fatto sistemato tutti gli sfollati; e quando la Protezione Civile se ne va rimettendo nelle mani degli enti locali tutte le competenze lo fa con una marcia trionfale lasciando dietro di se alcune new town, un territorio devastato, insieme a tutte le sue macerie e un’economia collassata, oltre a svariati milioni di debiti frutto delle scelte di gestione dell’emergenza (le rette degli sfollati negli alberghi, i contributi per chi ha scelto l’autonoma sistemazione, aziende e ditte che hanno anticipato materiali ed eseguito lavori mai pagati ecc. ecc.)

Dalla fontana delle 99 cannelle verso il centro
L’ Italia si dimentica dell’ Aquila; gli italiani, passata l’onda emotiva, sono rassicurati e convinti da una pressante campagna mediatica che il miracolo sia stato compiuto. Finiscono le passerelle politiche, le parate e le comparsate. Ma gli aquilani non sono un popolo di accattoni, non ci stanno a passare per ingrati, vogliono solo quello che gli spetta; il lavoro e la terra per ricominciare, per ricostruire le case, per ritornare a vivere con dignità, come hanno sempre fatto. Nascono comitati, collettivi, associazioni che tentano in tutti i modi di dialogare e di collaborare con le istituzioni, mettendo a disposizione competenze ed esperienze. Nasce il presidio permanente in piazza Duomo. Nelle assemblee cittadine si discute, si propone si decide, si delibera; si rivendica il diritto/dovere di partecipare al proprio presente e ad essere protagonisti del futuro.

Quando il cosidetto popolo delle carriole viola la zona rossa si riaccendono i riflettori; domenica dopo domenica centinaia di cittadini si incontrano, lavorano, spostano macerie e le catalogano, ma sopratutto discutono del futuro della città, squarciando un velo che ricopriva di menzogne la vera condizione del centro storico abbandonato a se stesso, sfatando il mito del “ Miracolo Aquilano”. Nel frattempo governo, provincia, comuni enti locali, commissari e vice commissari si rimpallano le responsabilità; promesse, accuse reciproche, dichiarazione d’intenti, parziali ammissioni… smentite… in poche parole NON ci sono i soldi per la ricostruzione. La rabbia e il dolore riaffiorano, non possono dimenticare le risate degli imprenditore che la notte del 6 aprile intravedevano enormi opportunità di guadagno e il 16 giugno scendono in piazza, capeggiati da sindaci e rappresentanti delle istituzioni locali 20.000 aquilani ma vengono puntualmente ignorati dai media e dai giornali che preferiscono occuparsi delle proprietà nutritive della Nutella.
“Forti e gentili, fessi no! si legge su uno striscione e sulle magliette dei manifestanti che decidono di portare le loro rimostranze direttamente a Roma. In 5.000 si presentano ma vengono accolti a manganellate e per giorni si parla dei presunti “scontri” dimenticando le richieste legittime degli aquilani : una legge speciale che garantisca un flusso costante e sicuro di fondi per la ricostruzione, l’istituzione di una tassa di scopo per finanziare la ricostruzione e la sospensione delle tasse.

Assemblea cittadina in piazza Duomo
Nella settimana in cui sono stata all’ Aquila, squisitamente ospitata da un amica, ho camminato per il centro storico, per i borghi del cratere, ho sfiorato chilometri di transenne, ho accarezzato con lo sguardo le case abbandonate, le macerie fino a rendermele familiari, scontate. Ho conosciuto persone con cui avevo avuto solo contatti virtuali, ho parlato con tante altre di cui non sapevo l’esistenza, ho colto frammenti di conversazioni il cui principale argomento è tragicamente ricorrente, ho sopratutto ascoltato tante storie, ho raccolto decine di testimonianze di speranza ma anche di lucida rassegnazione, ho visto un popolo dignitoso, forte e gentile che fatica a ritornare a vivere, a sognare, al limite della sopportazione e tutti , indistintamente, mi hanno chiesto un’unica cosa : non lasciateci soli!!

Onna: le sue macerie
Ho avuto la fortuna di partecipare alla notte bianca organizzata, finanziata, e gestita interamente dal basso, dall’ assemblea cittadina di Piazza Duomo.
Il 31 luglio, la città si è magicamente riempita di migliaia di persone, centinaia di artisti hanno animato la notte. Finalmente luci e rumore, musica e canti, rapresentazioni di gioia e di dolore, il vociare dei bambini, l’apparente allegria e spensieratezza degli adulti per la prima festa dopo il 6 aprile. E allora… in mezzo a quella marea composta e variopinta di persone ho riflettuto sul senso più profondo di quella magica notte. Tante piccole gocce formavano quel fiume, lento e fluido, incanalato nell’unica via aperta della città, gli argini: i vicoli le vie transennate. Ho capito che quel fiume avrebbe dovuto poter fluire liberamente nelle vicoli e nelle piazze, che non era naturale il suo corso, che avrebbe potuto diventare impetuoso, rompendo quegli argini innaturali. Era terribilmente ingiusto e pericoloso delimitarne il percorso e allora ho pensato che l’unica salvezza, l’unica via di fuga fosse ridare l’anima all’Aquila.
Riaprire la città !

L'articolo di Marina Benedetti mi è stato segnalato su Facebook da Samanta Di Persio e compare con i relativi commenti sul sito "Trento Attiva" Blog dell'Associazione Trento Attiva www.trentoattiva.it
Ho aggiunto le foto tratte da un altro sito "Valigia blu" Ritengo l'articolo della Benedetti esemplificativo della vita aquilana e dei suoi problemi conseguenti al terremoto del 2009,mentre i commenti approfondiscono alcuni aspetti con equilibrio e in funzione di una informazione la più completa possibile.


Le immagini sono di "Valigia blu"



Eremo Via vado di sole , L'Aquila ,giovedì12 agosto 2010

mercoledì 11 agosto 2010

EDITORIALI : Un Paese senza leader

EDITORIALI : Un Paese senza leader

Il "Primopiano" pubblicato sul n. 33 di Famiglia Cristiana, inedicola dall'11 agosto. Politici che litigano su tutto. E la gente, sebbenenarcotizzata dalle Tv, è disgustata.

Ha sollevato una grande bagarre la recente denuncia della Chiesa circal'assenza in Italia di una classe dirigente all'altezza della situazione. Inuna stagione densa di sfide e problemi, essa lamenta un vuoto di leadership. Intutti i settori. La politica, anzitutto, non svolge la funzione chedovrebbe competerle. Ma analoghe carenze si riscontrano nel mondoimprenditoriale, nella comunicazione e nella cultura. Persino nella societàcivile e nell'associazionismo.

Mancano persone capaci di offrire alla nazione obiettivicondivisi. E condivisibili. Non esistono programmi di medio e lungo termine.Non emerge un'idea di bene comune, che permetta di superare divisioni einteressi di parte. Se non personali. Si propone un federalismo che sa disecessione. Senz'anima e solidarietà. Un Paese maturo, che deve mirare allosviluppo e alla pacifica convivenza dei cittadini, non può continuare conuomini che hanno scelto la politica per "sistemare" sé stessi e le proprie"pendenze". Siamo lontani dall'idea di Paolo VI, che concepiva lapolitica «come una forma di carità verso la comunità», capace di aiutare tuttia crescere.

L'opinione pubblica, sebbene narcotizzata dalle Tv,è disgustata dallo spettacolo poco edificante che, quasi ogni giorno, ci vieneofferto da una classe politica che litiga su tutto. Lontana dalla gentee impotente a risolvere i gravi problemi del Paese. La richiesta dellaChiesa di "uomini nuovi" trova ampi consensi tra la gente. Anche se non sonomancate critiche, da chi si sente nel mirino della denuncia. C'è chi ha parlatodi mancanza di gratitudine, per il sostegno che una parte politica dà ai"valori irrinunciabili" e alle opere della religione. Soprattutto in un Paesedifficile da governare. E refrattario a qualsiasi riforma di grande respiro.

Tra le reazioni più forti, c'è chi s'è chiesto dache pulpito venga la predica. Perché mai la Chiesa si chiama fuoridalle responsabilità? Non fa parte, essa stessa, della classe dirigente delPaese? E perché non guarda alle carenze di quel mondo cattolico fortementeintrecciato nelle vicende nazionali? Accuse solo in parte giustificate. Nelrichiamare al senso del bene comune quanti occupano posti di altaresponsabilità, la Chiesa è cosciente che anche il mondocattolico deve fare la sua parte. E assumersi di più i ruoli checontano.

Da tempo, Papa e vescovi hanno lanciato l'appello: «Giovanipolitici cattolici cercansi». Per invitare i credenti più impegnati amisurarsi con il destino della nazione. In ruoli di grande responsabilitàpubblica, così come sono ben presenti nel volontariato e nell'associativismo.Sono molte le figure autorevoli nella comunità ecclesiale. Tanto più questecresceranno, tanto più se ne gioverà l'intero Paese. Ma la Chiesa è anche chiamata avalutare quanto, di fatto, i propri quadri più alti rappresentino dei punti diriferimento etico e spirituale per tutta la nazione.

Le foto sono di Salvatore De Villo

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 11 agosto 2010

martedì 10 agosto 2010

CANZONIERE: Samarcanda di Roberto Vecchioni

CANZONIERE : Samarcanda di Roberto Vecchioni


C'era una gran festa nella capitale /perché la guerra era finita./I soldati erano tornati tutti a casa ed avevano gettato le divise. /Per la strada si ballava e si beveva vino, /i musicanti suonavano senza interruzione. /Era primavera e le donne finalmente potevano, dopo tanti anni, /riabbracciare i loro uomini. All'alba furono spenti i falò /e fu proprio allora che tra la folla, /per un momento, a un soldato parve di vedere /una donna vestita di nero/che lo guardava con occhi cattivi.

Ridere, ridere, ridere ancora, /Ora la guerra paura non fa, /rucian le divise dentro il fuoco la sera,
brucia nella gola vino a sazietà, musica di tamburelli fino all'aurora,il soldato che tutta la notte ballò
vide tra la folla quella nera signora, /vde che cercava lui e si spaventò.

"Salvami, salvami, grande sovrano, /fmmi fuggire, fuggire di qua, / lla parata lei mi stava vicino,
e mi guardava con malignità" / Dategli, dategli un animale, /figlio del lampo, degno di un re,
presto, più presto perché possa scappare, /dategli la bestia più veloce che c'è

"corri cavallo, corri ti prego /fino a Samarcanda io ti guiderò, /non ti fermare, vola ti prego
corri come il vento che mi salverò /oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh

Fiumi poi campi, poi l'alba era viola, /ianche le torri che infine toccò, ma c'era tra la folla quella nera signora stanco di fuggire la sua testa chinò: /"Eri fra la gente nella capitale, /so che mi guardavi con malignità, /son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale, /son scappato via ma ti ritrovo qua!"

"Sbagli, t'inganni, ti sbagli soldato /io non ti guardavo con malignità, /era solamente uno sguardo stupito, /cosa ci facevi l'altro ieri là? /T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda /eri lontanissimo due giorni fa, /ho temuto che per ascoltar la banda /non facessi in tempo ad arrivare qua.

Non è poi così lontana Samarcanda, /corri cavallo, corri di là... /ho cantato insieme a te tutta la notte
corri come il vento che ci arriverà /oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo oh oh



La canzone che fece scoprire al grande pubblico il Prof. Vecchioni è uno dei pochi successi commerciali che corrispondono ad un certo valore artistico. E che valore! "Samarcanda" è un gioiello della musica italiana, un testo bello e curato (pensate solo alla consonanza di R in tutta la prima strofa). Per non parlare del violino di Branduardi, del grido "oh, oh cavallo!" e di tutte le altre cose che si possono dire. "Samarcanda" è un pezzo di storia.
"Samarcanda", l'album, è altrettanto un capolavoro. Poetico, ma è una poesia che viene prima del vecchionismo puro, cioè quelle canzoni dense di aggettivi desueti e citazioni iperletterarie. Si concede sprazzi di ironia (la spiritosa "Vaudeville") e scorci cinematografici. "Due giornate fiorentine" è straordinaria, tanto che il testo è riportato in un'antologia di poeti italiani contemporanei, e anche qui si gioca fra l'ironia e la malinconia ("Pomeriggio da solo in un po' troppa Toscana/ho pensato ma brava, va bè, ho pensato puttana", "Le mie tasche eran piene di varie ed eventuali/ma i miei giorni con te stati tutti uguali") e quella geniale trovata della parentesi della surreale sosta al distributore della Chevron ne fanno una perla rara della canzone. Il divertissement pascoliano del prof. Vecchioni di "Blu(e) notte" è pregevolissimo: un testo recitato (di mirabile valore) e il coro gospel che canta su un blues "X agosto" del poeta delle "Myricae". La gradevole "Per un vecchio bambino" e la bella ma vittima di un arrangiamento fuori luogo "Canzone per Sergio" fanno da prologo a quanto di meglio si trovi nel canzoniere di Vecchioni: "L'ultimo spettacolo", una struggente riflessione sull'abbandono ed il distacco, cantata e orchestrata divinamente. Sette minuti sul filo della tensione emotiva, delle parole che sembrano strozzate dal pianto (senza quel patetismo dei primi dischi) e viaggiano su toni altissimi.
"Samarcanda" dura quaranta minuti o poco meno. Sono tra i quaranta minuti più straordinari della musica italiana.
Di che parla dunque Samarcanda di Vecchioni? Parla di Samarcanda, della Via della Seta e di Tamerlano.
La Via della Seta : in Uzbekistan, collega le tre città leggendarie di Samarcanda, Bukhara e Khiva, che richiamano alla mente ancora oggi gli splendori delle Mille e una Notte e le avventure delle carovane che collegavano la Cina all’Europa nel corso di molti secoli.
Culla della dinastia dei Tumiridi, Samarcanda ricorda i fasti di Tamerlano attraverso i suoi strabilianti monumenti dai colori turchesi.
Bukhara e Kiva hanno conservato sorprendemente intatti i loro centri storici, grazie alla presenza fino agli inizi del XX secolo degli Emiri (i locali principi), che avevano potere di vita e di morte sui propri sudditi.
Samarcanda (In greco: Marakanda) è una delle più antiche città del mondo, in grado di prosperare per la sua posizione lungo la Via della seta, la maggiore via commerciale di terra tra Cina e Europa. Un tempo Samarcanda fu la città più ricca dell'Asia centrale e per la maggior parte della sua storia fece parte dell'Impero Persiano. Fondata circa nel 700 a.C., era già capitale della Satrapia della Sogdiana sotto gli Achemenidi di Persia quando Alessandro Magno (nella zona conosciuto come Iskander Khan) la conquistò nel 329 a.C. Sotto l'Impero Sasanide di Persia, Samarcanda rifiorì e diventò una delle città maggiori dell'Impero.
Dal VI al XIII secolo la popolazione si ingrandì e divenne più popolosa anche della moderna Samarcanda. In quegli anni la città conobbe l'invasione araba (che portò il suo alfabeto e convertì all'Islam la sua popolazione, quella dei Persiani e di diverse successive dinastie turche). Fu saccheggiata nell'anno 1220 dai Mongoli. Sopravvisse solo una minima parte della popolazione ma essa dovette superare anche un sacco successivo condotto da un altro condottiero mongolo: Khan Baraq.
La città impiegò decenni per ristabilirsi da quei disastri.
Timpano della madrasa Tilla-Kari, completata nel 1660, nel Registan di Samarcanda
Nel 1370, Tamerlano decise di rendere Samarcanda una città stupenda e usarla come capitale dell'impero che avrebbe costruito e che si sarebbe esteso dall'India alla Turchia. Per 35 anni la città fu ricostruita e fu piena di cantieri con artigiani e architetti provenienti dalle parti più disparate dell'Impero timuride. Tamerlano fece così crescere la città, che divenne il centro della regione chiamata in Occidente Transoxiana ma che gli Arabi avevano definito semplicemente Mā warāʾ al-Nahr (Ciò che è al di là del fiume Oxus).
Il Signore di Samarcanda fu Tamerlano che in quella città si fece costruire un mausoleo ricoperto di ceramica verde, dall’aspetto affascinante. Egli morì quasi settantenne di polmonite nel gennaio 1406 durante una spedizione armata.
La leggenda vuole che per preservare il suo riposo eterno egli affidasse la sorte degli eventuali profanatori del sepolcro a sciagure non solo per loro ma anche per l’intero territorio circostante.
Giuseppe Stalin che era stato commissario alle province conosceva bene le terre dell’ Uzbekistan e anche la leggenda della tomba di Tamerlano. A lungo aveva negato il permesso di entrare in quella tomba ad alcuni studiosi tra cui un archeologo che ricostruiva i volti degli antenati partendo dallo scheletro del cranio. Ebbene questo archeologo riuscì ad ottenere il permesso di ricostruire le sembianze di Tamerlano partendo dal suo cranio e quindi violando la tomba per procurarsi questo scheletro.
Era il 1941. Qualche giorno dopo le truppe di Hitler invasero L’Unione Sovietica. Forse fu una coincidenza, forse no . Sta di fatto che la leggenda del castigo per i profanatori della tomba di Tamerlano . Questa è dunque la leggenda su Samarcanda , quella Samarcanda luogo di appuntamento con la morte del soldato cantato da Roberto vecchioni..
C’è però un’altra storia sempre riferita a Samarcanda raccontata dallo storico Franco Cardini.
La racconta in un romanzo dal titolo “Il Signore della paura.” Cardini racconta che ha aspettao a lungo per parlare di Samarcanda perché non voleva fars imprigionare dai documenti storici e che voleva appunto parlarne secondo una sua personale visione.
E’ un modo suo di raccontare la folle corsa del soldato cantato da Roberto Vecchioni; la folle corsa verso Samarcanda dove lo aspetta quella signora vestita di nero che ha intravisto durante una festa a tanti chilometri di distanza. Una signora che non crede ai suoi occhi quando lo incontra lì perché mai avrebbe pensato che potesse percorrere tanti chilometri nell’intento di sfuggirle e andando inconsapevolmente a gettarsi nelle sue braccia.
Questo è il raccondo di Franco Cardini nel romanzo “ Il Signore della paura”.
E' il radioso mattino della Pasqua dell'Anno del Signore 1403. Tra le colline e i boschi presso Firenze, non lontano dal santuario della Madonna dell'Impruneta patrona della citta, affiora da un profondo pozzo una candida statua marmorea della dea Venere. L'evento è salutato con superstiziosa paura da chi vede in quell'idolo pagano un messaggio demoniaco e con gioia commossa da chi invece si sente, in quell'alba del Quattrocento, già toccato dal soffio gentile dell'umanesimo.
Vieri, duro ed energico erede del possente casato dei protettori del santuario mariano, i Buondelmonti, interpreta quel ritrovamento come un presagio che direttamente lo riguarda: e parte verso Oriente, verso l'Asia lontana, inseguendo le fantasie cavalleresche della giovinezza. Ma forse deve anche compiere una truce faida; e forse e perseguitato da un cocente rimorso. In quello stesso mattino pasquale, un giovane guerriero ghibellino convertito al messaggio francescano prega nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme e un anziano gentiluomo castigliano si appresta, in una Segovia ancora invernale, a ricevere dal suo re una delicata missione diplomatica.
I "destini incrociati" di questi tre cavalieri s'intrecceranno, nei mesi successivi, prima sulle onde inquiete del Mediterraneo e nei sortilegi incantati delle sue isole e poi in un'estenuante cavalcata lungo le piste carovaniere della Via della Seta, alla volta della magica Samarcanda del Signore della Paura, il potente e feroce Tamerlano che a sua volta sta ormai cullando il suo sogno piu folle, la conquista del Celeste Impero.
Con l'abilita degli antichi fabbricatori di miti, Franco Cardini trascina il lettore in un'avventura che procede con il ritmo di una fuga nella quale inseguitori e inseguiti si scambiano a vicenda i ruoli: fra mistici sufi, riti sciamanici, misteriosi cammini per i deserti e lungo le vie di sottoterra, paurosi segni premonitori, tigri mangiatrici di uomini e torri di teschi umani. Un racconto popolato di guerrieri spietati e generosi, di antiche leggende, di guide verso l'Aldila; un'epopea di terrore e di sangue attraversata dal rombo degli zoccoli dei cavalli da guerra e pervasa dall'aroma delle spezie piu preziose.
Un romanzo che, fedele alla Storia, si concentra tuttavia sui destini degli uomini e sui percorsi misteriosi di cuori lacerati tra l'amore fraterno e il desiderio di vendetta. Al centro di tutto sta per i tre protagonisti la scommessa piu grande, l'unica che conti: la ricerca di se stessi, la sfida ad affrontare il senso profondo della vita.
Ma lo stesso Franco Cardini nel suo blog che ci informa di essersi fatti aiutare nel raccontare la storia dalle memorie di un viaggiatore Ruiz Gonzales de Clavico. . Scrive dunque Cardini :
…”Molti mi chiedono anche perche mi sia messo a scrivere un romanzo storico, e fino a che punto esso sia tale.
Ecco qualche riflessione che forse qualcuno potrebbe trovare non inutile.
Questo libro nasce dalla constatazione di un prevedibile paradosso. In genere, convegni, congressi, grandi mostre e celebrazioni di centenari si annunziano con qualche mese d’anticipo: almeno un anno. Al principio del 2004, sono stato colpito dal fatto che nessuno o quasi, neppure nel natio Uzbekistan, desse segno di ricordarsi che stava per concludersi il seicentesimo anniversario (o, se si preferisce, il sesto centenario) della morte – il 19 gennaio del 1405 - di quella rapida meteora che aveva sconvolto il mondo lasciandosi dietro una scia di terrore: di Timur Beg, che noi chiamiamo di
solito col nome non troppo elegante di Tamerlano, ma ch’e pur sempre l’immortale Timur del West-ostlicher Diwan di Johann Wolfgang Goethe, quell’opera poetica senza la quale probabilmente il concetto contemporaneo di “Occidente” non sarebbe neppur nato. E si che di “Occidente”, e della sua contrapposizione all’ “Oriente” che oggi tanti sentono come necessaria ed eterna, di questi tempi di parla e si straparla. Comprensibile silenzio peraltro, dato il pervicace etnocentrismo occidentalista che da noi regna un po’ dappertutto, quindi anche nella considerazione della storia.
Ho cercato di rimediare, molto modestamente, a questa lacuna, rievocando qui quell’antica paura e quell’antica speranza dell’Europa e al tempo stesso richiamando un aspetto di quel che per la nostra cultura e la memoria di Timur, “demone dell’assurdo”, “possente tempesta della superbia”: l’Altro, l’Irraggiungibile, il Temuto. Il Signore della Paura, dal quale tuttavia ci si aspetta arcanamente giustizia; e si amerebbe in realta mettersi al suo servizio, seguirlo mentre calca le zolle sulle quali non cresce piu erba, assistere alla sua gigantesca impresa di Distruttore e di Rifondatore del Mondo; in qualche modo, perfino prendervi parte. Se davvero si credesse nella sua esistenza. Perche Timur, cosi terribile e invincibile, e anche lontano. E allora, sotto sotto, si dubita che sia mai esistito. La nostra cosiddetta “civilta occidentale” si concede sovente il lusso di dimenticare le verita e le realta del passato; cosi come d’inventar menzogne che spiegano o dovrebbero spiegare il presente.
Ma perche, da parte mia, un romanzo, anziche una monografia scentifica, che sarebbe stata piu adatta alla mia professione, alle mie competenze, alle mie capacita?...
Cardini a lungo esamina , continuando nel suo scritto , che può essere appunto letto nel suo blog, del senso , significato e valore del romanzo storico.
Ma noi volevamo solo parlare di un soldato e del suo appuntamento con la morte a Samarcanda e questo abbiamo cercato di fare.

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, marted’ 10 agosto 2010