HISTORICA : GIUSEPPE BELLEI
Eravamo abituati ,durante il passeggio serale in Corso Ovidio a Sulmona a vedere Giuseppe Bellei con i suoi amici e allievi andare e venire e qualche volta sostare in Piazza XX Settembre.Anche se la sua natura schiva lo portava alla riservatezza e lo aveva riportato nel 1937 ,dopo un’esperienza romana, definitivamente a Sulmona dove era nato nel 1910.
Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte a Sulmona, sotto la guida di Alfonso Rossetti ,Bellei frequenta a Roma la libera scuola del nudo in Via Margotta.
Qui conosce gli artisti che a quel tempo lavoravano nella capitale e partecipa a correnti di pensiero e di discussioni che si chiameranno novecentismo, futurismo,metafisico e neocubismo.
Fino al 1937 produce opere scultoree di notevole impegno e valore. Tenta di soddisfare la sua interiorità che gli è pace e tormento allo stesso tempo .Tornato a Sulmona mentre inizia la sua vita di insegnante di plastica presso l’Istituto Statale d’Arte dove era stato allievo ,matura esperienze realizzando opere di vasto respiro che gli meritano l’accettazione alla III Quadriennale di Roma (1939) alla Mostra Nazionale di Arte al Maschio Angioino di Napoli e ad altre mostre di rilievo nazionale. Nel 1960 abbandona la scultura e porta avanti il lavoro pittorico.
Già la scultura. Quella scultura nella quale si dilettava il nonno mastromuratore che nei momenti di riposo scolpiva figure su pietra nella casa di Via Roosvelt a Sulmona dove Bellei era nato da Ferdinando ,calzolaio, e Anna Colaprete casalinga, nata in Argentina.
E anche se per sua ammissione ,era stato il suo insegnante di disegno all’Istituto d’Arte Alfonso Rossetti ad educarlo alla lettura analitica della realtà,la propensione al disegno che aveva lo dispone a risultati eccellenti .
Scrive Giorgio Di Genova in occasione di una mostra delle sue opere a Palazzo Mazzara di Sulmona come omaggio della città al suo impegno e lavoro artistico allestita dal 23 dicembre 1984 al 3 febbraio 1985 a cura della Galle ria “La Stadera” animata da Gino e Maria Carla Morbiducci. ”Giuseppe Bellei è un artista che, come suol dirsi ,possiede due anime. Una plastica e una pittorica,che sin dagli esordi ha cercato di assecondare in contemporaneità. Ma alla base di ambedue c’è una forte propensione per il disegno,attraverso cui ha imparato a guardare le forme del reale e nel contempo a interpretarle analiticamente (…) Sin dalla prima metà anni trenta ,quando più che ventenne Bellei faceva il suo tirocinio artistico, dimostrò una forte propensione all’idealizzazione , anche puristica,dell’immagine e dei suoi dettagli ,cosa bene evidenziata da talune sculture di busti e soprattutto di teste,,nelle quali ciò che lo preoccupava era l’esattezza del disegno dei volumi ,l’assolutezza dei ritmi di superficie e il conseguente inserimento delle fattezze in un impianto che, pur nell’ambito del figurativo, denotava nell’insieme e nei particolari un insopprimibile esprit de gèometrie , che era poi ciò che determinava il purismo delle sue forme plastiche.
Dalla testa di Popolana, il cui ovale è circoscritto spazialmente nello scialle , a quello di giovanetto del 1937, sorta di essenzializzazione di Testa di ragazzo del 1934 di cui ha perso quel parametro formale costituito dal girocollo del maglione, giù, giù fino a testa di donna del 1940 , a Fanciulla del 1941 e a Testa di donna del 1942 ,sembra che Bellei inseguisse un ideale di perfezione , basato su sentimenti arcaici e assieme sulla moderna lezione cèzaniana della riduzione della natura al cono, al cilindro e alla sfera.
Le sue teste, insomma ,tendevano a porsi al di là di ogni temporalità ed epoca, per divenire forme assolute dell’essere ,quasi per un sentire mitico intriso di memorie classiche sia nei contenuti , come è nell’Orfeo del 1936, che nelle forme, come è nel busto di Popolana del 1939 , meno assoluto della citata testa di medesimo soggetto e più per la positura da scultura antica e romana che per la morbidezza dei panni che la vestono.
Certo il fare plastico di Bellei non divergeva da certe soluzioni che negli anni Trenta si erano imposte nella scultura in Italia ,né mancava forse di guardare a suo modo alla lezione del grande Arturo Martini ( si veda al riguardo la rimarchevole Dormiente del 1935) così come a suo modo la pittura del Bellei non trascurava di rimeditare su certi esiti della Scuola Romana e sul mondo emblematico di Tomea; tuttavia mi sembra che l’ottica del nostro sulmonese si connotasse fin da allora fortemente purista in direzione di una sublimazione dei volumi che venivano così decantati forse anche per un’inconscia reazione alle distruzioni della guerra , dato che durante tutto il periodo bellico Bellei ha - e alcuni esempi li abbiamo citati - continuato a perseguire le sue decantazioni puristiche del reale. Si direbbe che Giuseppe Bellei, tutto immerso nei suoi problemi stilistici , abbia passato imperturbato attraverso le distruzioni della guerra, che non hanno minimamente scalfito la sua immaginazione né suggestionato il suo occhio plastico.
Anche negli anni del dopoguerra , quando si pensava alla ricostruzione, egli continuò a portare avanti nel più assoluto rigore formale il suo discorso ( testa di giovane 1947, Testa di fanciulla 1949). Con il senno di poi sappiamo che si trattava di una solitaria , quanto accanita ,anabasi stilistica, che raggiunse nel 1950 con Figura in giardino e Dormiente l’apice della sintesi. In queste due opere , dovute forse a suggestioni da Moore e Arp assieme, i volumi rotondeggianti e i ritmi curvilinei esprimono un modo nuovo , sintetico di fare scultura non dissimile da quello in cui il napoletano Venditti era approdato nel 1947.
Queste opere non mancano di segnare quelle prove in cui viene attuato un recupero di dettagli somatici , dico Contemplazione e Donna accoccolata dello stesso anno, quest’ultima immagine estatica di qualche risonanza orientale. E’ un primo cospicuo passo verso la geometrizzazione delle figure che negli ultimi anni del Cinquanta raggiungerà la sua maturità in una serie di terracotte a linee rette e spezzate ,nelle quali la dimensione plastica del tutto tondo viene come schiacciata per ottenere esiti di rigorosa frontalità. La scultura si fa così architettura dei ritmi dei vuoti e dei pieni , anche ad altorilievo ,evocativamente riferiti alla struttura dei corpi umani. Giungiamo con queste opere al 1960, anno in cui Bellei abbandona la scultura per dedicarsi anima e corpo alla sola pittura. (…)
Per anni Bellei popola i suoi dipinti di stilizzate figure secondo un’ottica che riduce l’uomo a morfologica geometria. Il discorso pittorico è tutto impostato sul ritaglio delle immagini , che tendono ad evidenziare la superficie piatta del supporto.
Può sembrare strano che un artista come Bellei,dotato di un’anima plastica sia approdato ad una pittura timbrica del tutto antiplastica. Ma ciò non è solo una conseguenza del suo veder geometrico, bensì è frutto di una sottile trasposizione della plasticità nel pittorico. Voglio dire che la dimensione differenziata delle forme nello spazio, che nella scultura era data dai volumi , nella pittura viene sostituita dalla differenziazione timbrica dei colori, che ora bucano l’immagine con cerchi ed ora alludono nelle variazioni cromatiche alla spazialità anche con l’ausilio delle sovrapposizioni di immagini. E nei fondi il colore viene sempre usato come elemento spaziale , naturalmente in direzione emblematica. Ecco , l’emblematismo. Esso diviene , dopo tante indagini sulla realtà circostante (nature morte,paesaggi peligni) il tratto connotativi della pittura di Bellei,il quale definisce le immagini ,spesso scure alla maniera dell’antica pittura vascolare a figura nera, con contorni colorati più chiari e luminosi, quasi a voler ribaltare al negativo la funzione di definizione al positivo tipica del disegno. Le immagini,pertanto, vengono come ritagliate dal colore sulla superficie in un complesso gioco di tinte piatte di alto valore decorativo .Con Il tempo (1962) diviene una sorta di meccanismo decorativo ,occhiuto e dentato, di forti valori totemici consonanti con il simbolismo pittorico africano; mentre La guerra ( 1972) si fa groviglio di armi, teschio, mostro nero, tutti stilizzatissimi nei modi della tradizione di certa arte precolombiana.
La fantasia di Bellei attua ormai i suoi sogni emblematici che sembrano discendere dai Maya e dagli Atzechi. Più che un riferimento culturale si tratta di una legge di sangue,essendo nato Bellei da una madre latinoamericana. Ma ai mostri precolombiani ( Fondo marino 1975) il pittore mescola talvolta situazioni più surreali , addirittura alla Marx Ernest (Presentimento 1967, Anelito 1984) rideclinando per puri fini compositivi i sostrati concretisti , ormai completamente riassorbiti dal suo emblematico figurativo.
E tuttavia la nuova esigenza di figurazione non dimentica la sua preistoria concertista. Ed eccola sovente spuntare da fondi astratto- concreti. Da qui proviene la sua vocazione alla stlizzazione e alla ricerca dei ritmi sia formali che compositivi. Il lineare vi predomina, riducendo i volti a maschere, anche quando il soggetto è di carattere religioso ( Cristo deriso 1977) Con queste naschere, soggetto che Bellei aveva trattato già negli anni Quaranta , quando guardava a Tomea, altro pittore di maschere ; con queste maschere , dicevo il pittore di Sulmona esprime sentimenti contrapposti. Così esse ora si fanno espressione di tensioni psicologiche (incubo 1977) ed ora abbandono alla gioia di vivere (Maschere 1979),con anche qualche propensione al grottesco addirittura ectoplasmatico da occhio infantile (Immagini del carnevale 1980)…”
Ma Giuseppe Bellei va considerato anche come insegnante prima presso l’Istituto d’Arte di Sulmona e poi presso quello di Avezzano di cui fu preside.
A Sulmona insegnò plastica. oreficeria, pittura, scultura mentre ad Avezzano diede una consistente struttura organizzatica e culturale a quell’Istituto.
Anche in questo impegno fu coerente alla sua natura , quella che lo aveva portato tanti anni prima a tornare a Sulmona , ad abbandonare la vita della capitale per una ricerca di approfondimento quasi fisiologica. Un atteggiamento schivo ed apparentemente isolato grazie al quale Bellei ci ha lasciato nelle sue opere e nel suo lavoro un prezioso insegnamento di coerenza alla realtà oggettiva del suo essere artista.
“…Bellei è potuto , proprio in virtù del suo splendido isolamento,rimanere fedele alla rottura da lui attuata nel 1950, con l’abbandono dell’interpretazione diretta della realtà, per un’intima ed imprescindibile esigenza di adeguamento al linguaggio dell’arte internazionale. E’ ciò che, pur nonostante momenti meno felici e talvolta troppo accondiscendenti al suo temperamento decorativo , gli ha fatto da faro nella sua lunga ricerca , che non di rado è più avanti e più moderna di quella di tanti giovani pittori suoi contemporanei…”.
In ordine le foto sono riproduzione delle seguenti opere del Bellei:
"Immagini" 1958 -terracotta -cm.40
Alfonso Rossetti professore di disegno all'Istituto Statale d'Arte di Sulmona frequentato dal Bellei
"Testa di giovanetta" 1952 - gesso patinato - cm 34
"Testa di ragazzo" 1958 -gesso patinato - cm. 32
"Busto di fanciulla" 1942 - gesso patinato- cm 44
"Testa di popolana" 1941 - gesso patinato cm.35
"L'oppressione" 1971 - olio su tela -cm.60x80
"Germoglio " 1967 - olio su faesite- cm 64x82
"Presentimento" 1974 -olio su tela - cm.80x60
"Cristo deriso" 1977 - olio su tela - cm 60x80
"Fondo marino " 1980 - olio su tela cm. 80x60
Eremo di Via vado di sole , L’Aquila marcoledì 31 marzo 2010
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