Non ho più parlato di terremoto e di ricostruzione su questo
blog dal 2011 . Qual è il bilancio di questi ultimi anni? Prendo a prestito
questa riflessione di Giustino Parisse su Il Centro di oggi perché mi sembra non solo equilibrato ,
essendo l’autore un testimone privilegiato, autorevole, autonomo e che
soprattutto ha pagato in anticipo il costo della ricerca della verità che i temi affrontati nell’articolo richiedono
con forza. In due post pubblicati i giorni scorsi ho ritenuto di parlare del “pianeta
maldicenza” e delle manifestazioni che si svolgono nel mese di gennaio perché pur
essendo da sempre critico su questa
manifestazione( è una mia opinione personale alla pari con altre opinioni ) non
ho nulla contro la stessa manifestazione e gli organizzatori ma perché ( ed è
questa la mia critica) se ne vuole fare
un esclusivo blasone di identità quanto mai sconveniente perché in città non si
sentono parole chiare .Ovvero Sant’Agnese si fa complice del non detto, del sussurrato ,del
sotterfugio che se volete è innocente maldicenza,pettegolezzo ma colpevole
rifiuto di parlar chiaro e della
trasparenza nell’agire .
Ricostruire la
rendita unica idea di città viaggio nel post terremoto di Giustino Parisse.Il
Centro
W L’AQUILA Dalla maldicenza, al pettegolezzo, al parlar chiaro, alla trasparenza nell’agire. La tradizione aquilana di Sant’Agnese, partita secoli fa dalle chiacchiere delle “servette” contro i padroni-nobili (e che negli ultimi decenni si è nutrita di buon cibo e ottimo vino), oggi tenta di rifarsi il look. Ma in realtà di parole chiare in città se ne sentono poche. Meglio il non detto, il sussurrato, lo sguardo complice, il sotterfugio, l’occhietto, il favore reciproco da non rivelare mai e da esplicitare solo nel segreto dell’urna.
PARLARE CHIARO. Forse il “dire
le cose con chiarezza” andrebbe applicato _ più che ad amenità varie in cui la
chiacchiera libera diventa parlarsi addosso _ anche alle vicende legate alla
ricostruzione. È lì infatti che si gioca il futuro di una città che è capace di
passare senza colpo ferire dal messaggio di pace e perdono di papa Celestino V
allo sberleffo spinto in nome di una presunta goliardia a cui tutti sottostanno
godendo e vantandosi della “carica” assegnata. A estremizzare si potrebbe
parlare di una città che si esalta sia con l’acqua santa che con il diavolo. E
questo accade anche per le vicende del post-sisma. Ultimo esempio, il dibattito
seguito agli articoli del Centro sull’Aquila che “si sta mettendo in vendita”.
LE CAUSE. C’è chi si è chiesto quali siano le cause di un fenomeno
che nei prossimi anni, se non si metterà un argine serio al declino economico
del capoluogo, sarà sempre più evidente da diventare a un certo punto
inarrestabile. Per parlar chiaro bisognerebbe dire che anche in questa
congiuntura storica L’Aquila non sta tradendo il suo Dna: la cultura della
rendita. Solo se si parte da questo si può spiegare perché invece di scegliere
una “rifondazione” si è preferita la strada della ricostruzione copia-incolla.
L’OCCASIONE PERSA. Si poteva rifondare dando un senso alla città
universitaria puntando su un campus _ come ce ne sono tanti in Italia _ dove lo
studente potesse trovare tutto senza fare ogni giorno il tour fra sedi e mense
disperse sul territorio con l’aggravante di servizi che non ci sono. Si poteva
puntare su una città della cultura e della musica e non riproporre una miriade
di strutture (auditorium soprattutto) che avranno in futuro enormi problemi di
gestione. Si poteva puntare a “un’isola” per lo sport invece di continuare a
buttare soldi su impianti ormai fuori dal tempo (lo stadio di Acquasanta, a 30
metri in linea d’aria dal cimitero cittadino, è forse un unicum in Italia), o
peggio su strutture rifatte ma quasi inutilizzabili o ingestibili (piazza
d’Armi). Si poteva rifondare ipotizzando un luogo funzionale (parcheggi e
servizi) per gli uffici pubblici, soprattutto quelli comunali, e invece il
sindaco si rifugia a palazzo Fibbioni (in pieno centro) e il resto è ovunque e
in nessun posto. Senza contare il fatto che si continuano ad affittare nuovi
locali solo a vantaggio dei proprietari degli immobili e non certo degli utenti
che avrebbero bisogno di luoghi facilmente raggiungibili evitando di dover
mettere in conto la solita mezzoretta, se non di più, per trovare un posto auto
fra ansie e arrabbiature. L’idea del museo alla “Rivera” è ottima ma cosa
accadrà quando il Forte spagnolo tornerà funzionale? Avremo due musei a
chilometri di distanza: saranno gestibili, saranno assicurati parcheggi e
trasporti adeguati? La giornata del jazz è bellissima ma cosa accadrà quando il
ministero non tirerà più fuori i soldi? Finirà forse come con i Cantieri
dell’Immaginario? L’OCCUPAZIONE. Il lavoro rischia di essere altra occasione
persa. Oggi la politica cittadina spera nei circa 300 milioni che stanno per
arrivare per il rilancio produttivo. Saranno la miccia per far risvegliare con
un botto il sonnolento tessuto economico cittadino o il fuocherello che servirà
a riscaldare la minestra cucinata vent’anni fa? Per il turismo basterà qualche
decina di milioni di euro pubblici per dare una risistemata ai conti del Centro
turistico e offrire poi su un piatto d’argento la gestione ai privati?
Naturalmente a tutte queste domande i reggitori della città hanno risposte
pronte ed esaurienti che si concludono con il solito ritornello: lei parla
senza sapere. Come dire: stia zitto. Il problema è che il cittadino dovrebbe
valutare i risultati concreti e non le scartoffie prodotte da una burocrazia
sempre più distante dalla realtà e su quei risultati basare il giudizio
politico. E se i risultati non ci sono o sono insoddisfacenti ha il diritto di
“parlare chiaro” e magari anche di gridare. Ma prendersela solo con la politica
non basta e qui casca l’asino e rispunta il Dna aquilano: la rendita.
LA RENDITA. La rendita di per sé non è il male assoluto. C’è chi
magari ha lavorato una vita per poter investire nel mattone e pensa di trarci
un profitto. Questo andrebbe bene se tutti avessero le stesse opportunità.
Invece la ricostruzione aquilana viaggia su due binari: quella del centro
storico cittadino e quella delle frazioni. Della periferia è meglio non
parlare, è vero che è stata ricostruita per oltre il 90 per cento, ma alzi la
mano chi può indicare un posto dove sono stati migliorati i servizi, creati
spazi pubblici funzionali, ripensata in senso innovativo un’area urbana; è
stato tutto un copia-incolla con aggiunte a caso e il caos _ se possibile _ è
aumentato rispetto all’ante sisma.
CITTÀ-FRAZIONI. Lo scollamento città-frazioni è evidenziato da un
fatto che spesso viene dimenticato: per la ricostruzione degli edifici
vincolati nel cuore del capoluogo non ci sono tetti di spesa (a parte il giusto
controllo da parte degli uffici preposti) e si arriva a superare anche i
2500-3000 euro a metro quadrato. Nelle frazioni ci sono immobili che rischiano
di avere appena 700 euro a metro quadrato. Qualsiasi tecnico sa che con quella
cifra si ricostruisce a malapena lo scheletro di una casa (a scapito pure della
sicurezza) mentre nel caso dei palazzi vincolati vengono finanziati anche i
restauri delle opere d’arte: come dire si creano musei privati a spese di
tutti. Ma da ciò il “parlar chiaro” si tiene ben lontano. E non si tratta solo
di un problema di soldi. Con la ricostruzione (finora lo Stato fra cose serie e
minutaglie varie ha già speso ben oltre 10 miliardi) poteva essere avviato un
grande progetto di “ricucitura” (come dicono i filosofi dell’urbanistica)
città-frazioni, valorizzando i piccoli borghi in modo da farne gioielli per
impreziosire la corona dell’Immota manet, integrando tutto con l’ambiente
circostante (buona l’idea, ad esempio, della pista ciclabile sull’Aterno).
Invece la strategia politica (più o meno consapevole) è sempre la stessa: si va
nei paesi, si organizza una riunione, si fa un po’ di propaganda, si dice che
se le cose non vanno la colpa è di altri, e si fa passare il messaggio che
tutto quello che i cittadini (di serie B s’intende) avranno, dovranno
considerarlo un favore di cui ricordarsi andando alle urne. La solita storia
che richiama un periodo semi-feudale che L’Aquila non ha mai completamente
cancellato dalla sua storia. E la gente (non tutta per fortuna) continua ad
abboccare.
I SOTTOSERVIZI. Piccolo esempio: i sottoservizi. Nelle frazioni
sembra che sia un “non problema”. È partita una manciata di cantieri, ma a
nessuno viene la curiosità di sapere dove verranno allacciati acqua, gas, elettricità,
fogne, telefono. Se qualcuno pone il quesito la risposta è una pacca sulle
spalle: non ti preoccupare, ci penseremo noi (il solito favore futuro). Come
noto nelle frazioni non esistono veri e propri piani di ricostruzione (a cui il
Comune si è opposto strenuamente combattendo una battaglia feroce con l’ex
commissario governativo Gianni Chiodi). In un paio di borghi (grazie alla
volontà popolare e in un caso a sollecitazioni teutoniche) quel piano esiste.
Bene ora sta diventando un problema perché si scopre che non si può fare
proprio tutto a caso, ma ci sono delle regole da rispettare. E questo crea un
intoppo. Anche qui il solito dire e non dire: ve lo avevamo preannunciato che
il piano di ricostruzione non serviva, lo avete voluto, ora pagatene le conseguenze.
SOSTITUZIONE EDILIZIA. C’è chi di fronte a tanta confusione ha
scelto la strada più breve: la sostituzione edilizia (circa seicento pratiche
finora). Che significa: soldi maledetti e subito e acquisto dove meglio mi
aggrada e andatevene tutti a quel paese (non vanno dimenticate le 50 pratiche
che hanno consentito ai proprietari di comprarsi casa nuova ed estinguere il
mutuo che avevano acceso per la vecchia abitazione. Tutto secondo legge).
Questo sta impoverendo i centri storici senza che ci sia uno straccio di idea
su come riutilizzare le aree che sono diventate o diventeranno pubbliche. Ma
sì, per ora basta la solita pacca sulle spalle. L’importante è arrivare immuni
da critiche alle elezioni 2017, il resto si vedrà. Ammesso che qualche reggitore
legga queste righe, penserà: ecco il solito sfigato a 309 gradi (non è un
refuso) con il cervello malato che sfoga la sua rabbia contro chi lavora 24 ore
al giorno per far rinascere la città. Che ingratitudine! Forse ha ragione, ma
il gioco del “parlar chiaro” ha un prezzo ed è noto che le verità le dicono
solo i pazzi, gli altri, della verità, si vergognano. Se questo è il quadro in
cui i puzzle sono stati messi a caso, come meravigliarsi se il Dna della
rendita ha preso il sopravvento su un disegno organico capace di guardare al
futuro della città e alle sue nuove generazioni?
CONGRESSO DI VIENNA.Dunque alla rifondazione si preferisce la
ricostruzione pura e semplice (a parte il caso di Porta Barete che nasce da una
idea di monsignor Orlando Antonini e non certo dagli strateghi di palazzo che
anzi hanno fatto solo un bel casino a scapito dei cittadini in loco). I
maggiorenti della città sono riuniti in un perenne Congresso di Vienna con
l’obiettivo di ridare a Cesare quel che era di Cesare (ex nobili, ricchi
proprietari, amici degli amici, compagni di forchetta, sodali a vario titolo,
massoni alla porchetta secondo una geniale definizione del professor Raffaele
Colapietra, lui sì che non ha problemi a parlar chiaro e meriterebbe la laurea
honoris causa in santagnesismo). Gli altri (il popolo bue) zitti e muti. A
parte il fuoco delle “carriole” durato, nel 2010, lo spazio di qualche mese (da
marzo a novembre), la protesta o non esiste o viene messa a tacere con insulti
e minacce che ipotizzano dossieraggi segreti: attento a come parli perché io so
chi sei e conosco i tuoi scheletri nell’armadio. Tanto qualche piccolo abuso,
volenti o nolenti, l’hanno fatto tutti. Chi pensa al domani prossimo, a fronte
di questo panorama fosco, si fa due conti: avevo una casa e un pagliaio, mi
faccio rifare la casa per tornarci a vivere e nel pagliaio cadente realizzo un
bell’appartamentino da affittare e così in futuro almeno un paio di volte al
giorno mangerò anche se non ho un lavoro (perché non si trova) e non so dove sbattere
la testa. Quindi gli Affittasi e Vendesi si moltiplicano. E fra due o tre anni
(quando la legge non imporrà più vincoli temporali) ne vedremo a migliaia di
cartelli. Anche sulle pareti di quelli che tempo fa erano porcili. Poco male se
a questa mancanza di creatività facesse da contraltare un’idea diversa dal
“semplice” puntare a vivere di rendita.
TUTTO GRATIS. Idea, vivere di rendita, a cui si aggiunge la
“maledizione” causata da come è stato gestito a livello psicologico il
post-sisma: tutto a tutti, e gratis. E ora ci si lamenta perché professionisti
con il portafoglio pieno non pagano le bollette del piano Case: “E perché
dovrei pagare? Sono più fesso degli altri?”. Ma queste cose nelle cene di
Sant’Agnese non si dicono. La ricostruzione (soprattutto delle case A e B della
periferia) ha creato nuove categorie sociali, un po’ come le cariche agnesine:
il fesso (che si è accontentato del giusto), il furbo (che ci ha provato a
farsi rifare anche quello che non era danneggiato e in parte ci è riuscito) e
il dritto (che grazie alla legge ha lucrato alla grande sul terremoto e vivrà
felice e contento lui e tutti i suoi eredi). Poi ci sono i ladri, i criminali,
i malviventi, i mafiosi. Per loro una sola speranza: che li acciuffi la
magistratura e qualcuno per fortuna è stato acciuffato. (1/continua)
Eremo Rocca Santo Stefano martedì 12 gennaio 2016
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