Maymun ibn Qays noto come Al-A'sha (570 circa-625 circa)
ovvero il Nittalopo, a causa della sua vista indebolita e della conseguente
preferenza per la semioscurità.
La poesia è tratta da un volume Donzelli del 2003 che
raccoglie liriche della tradizione araba, persiana, turca ed ebraica.
Dal libro in questione traggo altresì la fulminea
biografia del Nostro: "Nacque e morì in un oasi a sud di Ryad ... viaggiò
... molto, probabilmente come mercante. In una delle sue poesie racconta come,
per far soldi, abbia girato il mondo: Oman, Homs e Gerusalemme, ma anche
Etiopia, Iraq, Iran e Arabia meridionale".
Si spinse forse a Bisanzio.
È considerato poeta preislamico anche se, forse, fu
tentato dalla conversione. O forse no, come vedremo.
Di Al-A'sha non so nulla. Ignoro il contesto storico. E
la lingua. Le allusioni, i riferimenti. Il senso di pietà e comprensione per la
sua donna che emerge da tale solitaria lirica. Eppure son grato a questo libro:
prima di crepare ho conosciuto un nuovo amico: Al-A'sha, nato in una oasi
dell'Arabia centrale.
Nella poesia a volte meno si sa meglio è. L'ignoranza
stimola la leggenda e, perciò, ancora, la poesia, che ne esce doppiamente
amplificata. Come accade quando scorriamo le storie dei poeti della Provenza,
condensate in rapide biografie, dette vidas: dicono qualcosa, tutto e niente,
ciò che è filologicamente inattendibile, ma poeticamente rilevante. Meglio
così. Come per Jaufré Rudel, che scrisse sei poesie e divenne immortale per la
meravigliosa vida che apposero al suo minuscolo canzoniere: quasi una settima
poesia, forse la più bella.
“Jaufré Rudel de Blaia era uomo molto nobile, principe di
Blaia. S'innamorò della contessa di Tripoli, senza averla mai vista, per il
bene che ne sentiva dire dai pellegrini che venivano da Antiochia ... per il
desiderio di vederla si fece crociato e si mise per mare; sulla nave lo prese
una malattia; fu condotto a Tripoli, in un albergo, e dato per morto. Fu fatto
sapere alla contessa, ella venne da lui, al suo capezzale e lo prese fra le
braccia. Egli si rese conto che si trattava della contessa e di colpo recuperò
l'udito e l'odorato e si mise a lodare Dio di avergli concesso di vivere tanto
da poterla vedere; e così morì tra le sue braccia. Ella lo fece seppellire con
grande pompa nella casa del Tempio; poi, in quel giorno, si fece monaca per il
dolore provato per la sua morte”.
E poi basta farsi cullare dai nomi: Bisanzio,
Gerusalemme, Ryad.
E poi: un'oasi a sud di Ryad. Oasi, cioè beduini. I
beduini mi fanno venire in mente una noterella a una poesia di Abu Nuwas,
contenuta nel citato libro di Donzelli; vi si nomina la tribù beduina di Banu
'Udhra:
"Banu 'Udhra era una tribù araba, famosa per la
devozione dei suoi membri alla poesia e la loro consacrazione all'amore
semplice e disinteressato, qualcosa a metà tra l'amore platonico e l'amore
cortese".
Insomma, nel cuore dell'Arabia si nascondevano provenzali
e stilnovisti. L'avreste mai detto? Altrove leggo:
"I beduini della tribù preislamica di Banu 'Udhra
... avevano abbracciato il culto di una forma platonica d'amore, un amore
contrastato, a distanza, che sarebbe durato sino alla morte".
Un amore a distanza? E chi ci ricorda? Nientemeno che
Jaufré Rudel, il provenzale che morì bramando l'amore della principessa di
Tripoli. L'amore a distanza ("amor de lohn"), l'inappagato, il più
perfetto.
Vedete come tutto si tiene quando si parla fra amici.
Possiamo folleggiare ancora.
Si dice che Al-A'sha fu un nestoriano cristiano
("almost christian"). Si dice. I nestoriani credevano a una doppia
natura del Cristo, umana e divina. Maria era madre della natura umana, ma non
di quella divina, ineffabile. Il nestorianesimo, tenacemente combattuto, si
diffuse in Persia, Cipro, Mesopotamia, Arabia; persino in India e Cina. Oggi
sopravvive in piccoli gruppi. Eugenio Montale, in una sua lirica, si paragona a
un "povero nestoriano smarrito". Il credo nestoriano fu, secondo
alcuni, alla base del pervicace mito medioevale del Prete Gianni, monarca
cristiano dell'Asia. In una famigerata lettera, ritenuta apocrifa, egli così si
descrive:
"Sappi e fermamente credi che io, Prete Gianni, sono
signore dei signori e in ogni ricchezza che c'è sotto il cielo, e in virtù e in
potere supero tutti i re della terra. Settantadue re ci pagano i tributi. Sono
un devoto cristiano e ovunque proteggo e sostengo con elemosine i cristiani
veri governati dalla sovranità della mia Clemenza"
L'epistola giunse a Manuele Comneno, imperatore di
Bisanzio, al papa Alessandro III e a Federico Barbarossa. Il mito del Prete
Gianni incendierà l'immaginazione di tutta la letteratura europea del tardo
Medioevo. Marco Polo, Ariosto; e i poeti siciliani del Duecento, inventati alla
corte di Federico II, stupor mundi; e influenzati pesantemente, scopertamente,
dai francesi di Provenza - quei provenzali che, secondo alcuni studiosi,
trassero linfa, a sua volta, dai poeti arabi moreschi, andalusi. Stroficamente,
concettualmente; e musicalmente: e infatti il liuto è arabo (al 'ud). Come
araba fu la Sicilia, per più di un secolo.
Il Prete Gianni. Non conoscete la leggenda del Prete
Gianni, imperatore delle tre Indie? Peggio per voi. Significa che siete
sfortunati, o malaccorti, o semplicemente degli zotici, e, per soprammercato,
degli Yahoo, gli scimmioni de I viaggi di Gulliver. Senza offesa.
Mi viene in mente altro? A proposito di Yahoo, Oriana
Fallaci. Nel clima post 11 settembre, isterico e psicopatico, licenziò alcuni
goffi libelli antimusulmani o antiarabi. In essi esaltava la civiltà
occidentale contro la civiltà degli stracci in testa. In un passo d'uno di
questi, scorreggiato a nove colonne da Il Corriere della Sera, ella cicalava,
pressappoco: "A Firenze abbiamo Michelangelo, Dante e la cupola del
Brunelleschi. Noi siamo l'Occidente. Abbiamo dato tanto al mondo. E loro,
invece, cosa ci hanno dato? Al massimo qualche poesiola di Omar Khayyám".
Se l'avessero sentita, tra gli altri, il fiorentino Guido
Cavalcanti, accusato di eresie averroiste, o il fiorentino Dante, idolatra di
Federico II, uno che con il Medio Oriente aveva commerci concettuali
fiorentissimi (stavo per dire: fiorentinissimi), l'avrebbero cacciata in
convento. Ma non è colpa sua; della povera Oriana, intendo. Era una
giornalista. Bisogna comprenderla, anche se il suo disprezzo è di una
superficialità e di una meschinità accecanti, imperdonabili. In tal caso
l'ignoranza non genera poesia, ma solo altra ignoranza. Evidentemente esistono
due ignoranze; una felice, che si nutre della favola e della meraviglia e
incita alla conoscenza; e un'ignoranza della mediocrità. Dalla prima nascono i
fior, dalla seconda Giuliano Ferrara, un altro di cui non rimarrà niente.
Leggete, allora, il mio amico Al-A'sha, il mezzo cieco
dell'oasi di Ryad; e, se lo trovate, anche il libro della Donzelli, in cui c'è
posto per geni conosciuti (Hafiz, Nizami, Khayyám) e qualche sconosciuto, come
Abu Nuwas, o Al-Hallaj, o il persiano Rudagi (Come acqua salsa è il baciare/a
ogni sorso s'accresce la sete); Rudagi, che in vita sua scrisse 180.000 poesie.
Qualcuna in più di Khayyám, e di Dante, e di Guido.
Va' amica mia, sei libera.
Tale è la sorte umana, di giorno o di notte.
Lasciami, perché andarsene è meglio del bastone
che sarebbe stato appeso, minaccioso, sopra la tua testa.
Non perché tu abbia commesso alcun grave torto
né ci abbia causato alcuna grave calamità -
Va' incolpevole e pura,
amante e amata.
Prova un altro uomo, e io
un'altra donna, proprio come vuoi tu.
Traduzione di Anna Linda Callow, da Ti amo di due amori,
Donzelli, 2003.
Traduzione della vida di Rudel di R. Gagliardi.
Pubblicato da Vlad Tepes http://mvl-monteverdelegge.blogspot.it/2015/03/una-poesia-araba-al-asha-va-amica-mia.html
Eremo Rocca Santo Stefano giovedì 14 gennaio 2016
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