Per l’anno 2016 gli ideatori ed i promotori de “Il pianeta maldicenza,undicesima edizione del festival della critica sincera e costruttiva nella tradizione aquilana della Sant’Agnese 2016”,hanno deciso di aprire le manifestazioni con un processo.)Il programma per l’anno 2016 si articola temporalmente nello spazio di due week end ( in attesa del 21 gennaio) e precisamente dal venerdì 8 a domenica 10 e da venerdì 15 a domenica 17.Angelo De Nicola ,presidente dell’Associazione culturale “confraternita aquilana dei devoti di
Sant’Agnese “,in prima assoluta nel telegiornale regionale rai tre delle ore 14,00 di venerdì 8 gennaio ha dato la motivazione di questa apertura così responsabilizzante ,per modo di dire ,ovvero quella di un processo al “pianeta maledicenza “ che in questi anni è stato messo in piedi a L’Aquila. Partendo proprio dal cuore del problema ,ossia alle numerose documentate critiche a questa iniziativa che viene ritenuta ,da chi la critica ,fuorviante, mortificante e spesso lesiva di quella che è l’identità aquilana. De Nicola ci ha provato così, con un blitz,a recuperare una motivazione ( quella di prendersi sul serio sia nelle forme che nei contenuti della manifestazione ) che fa acqua da molte parti e si traduce attraverso una presunta colpevolezza ( quindi nella finta recita di un mea culpa in alcuni momenti ) in una ulteriore subdola esaltazione di una a dir poco inesattezza storica. Con forzature tra le quali quella più significativa per non dire ingombrante : l’aver voluto attribuire a questo aspetto di una tradizione popolare libera e autentica ,”il dir male che non è però quello carnevalesco “( in cui il mondo si inverte ), un valore “ positivo “ atteso e documentato che quando si parla di “male “ va messo in evidenza con forza la negatività proprio stando nella prospettiva della “ordinaria banalità del male “ .Non è certo qui il caso ( ma si può fare rinviando il tutto ad un altro post su questo blog) di affrontare né riferire la riflessione e il dibattito, da sempre presente nella storia dell’umanità, sull’opposizione male-bene o sulla reciproca integrazione del male e del bene come facce della stessa medaglia perché non è questa la dimensione delle manifestazioni sulla maldicenza tanto basso ne è in realtà il contenuto culturale ( anche se nel sito http://www.maldicenza.it/santagnese/santagnese_manifesto.htm ,il manifesto dei devoti agnesini scomoda Socrate, Diogene, Giovanni Battista, Giovanni Crisostomo, Dante, Cervantes, Shakespeare, Voltaire, Zola, Foscolo, Montanelli e mille altri,per affermare che “l’agnesino non dice male ma "dice il male" e non chiaramente ,perché le parole hanno un peso e un senso , denuncia, si oppone, rimedia al male .
Dunque il processo nella sua finzione scenica ma anche nella sua imitazione della realtà dove imitazione sta per manipolazione della realtà ha visto protagonisti e attori interessati in vario modo ad un dibattimento innanzi alla Corte ( così pomposamente chiamata ,in realtà un tribunale termine che evoca di più il senso della giustizia ma bastava anche un iudice monocratico ) composta da Nicola Trifuoggi Presidente Fraanca Fanti ,Giudice, Enza Turco giudice, Angela Giliberti cancelliere .Un dibattimento tenuto dalla pubblica accusa sostenuta dall’avvocato Antonello Carbonara ,dalla parte civile prof. Vincenzo Battista e dal collegio di difesa composto dagli avvocati Umberto Pilolli e Giulio Cesare Primerano con il teste a difesa Tommaso Ceddia Presidente onorario dell’Associazione culturale Confraternita aquilana dei Devoti di Sant’Agnese.
Naturalmente un processo che ha visto alcuni strappi al codice di rito per le incursioni piratesche di Angelo De Nicola (un Giano bifronte ,un Dr. Jekyll e Mr. Hyde che è capace di mettere assieme l’inconcludente retorica del pianeta maldicenza con l’appassionata profusione di energie e risultati per il progetto Mission Mani-La delle Celestine di San Basilio, in occasione delle iniziative fiore all’occhiello dell’ultima Perdonanza 2015 ) accolte a suon di applausi ( e non di ceffoni come in alcuni casi ci si sarebbe potuto aspettare ) da parte di un pubblico di astanti chiaramente di parte. Né si sono viste fuori dall’aula ,come sempre più spesso nel pianeta giustizia accade nella realtà, manifestazioni di sostegno alle tesi dell’accusa. Con una stampa se non assente ma molto compiacente ( stando ai resoconti del day after).
Ma veniamo all’accusa .Si porta sul banco degli imputati un contesto, una organizzazione auto definitosi ( con una punta di megalomania ) “ pianeta maldicenza “ ,reo di essersi appropriato per il Capo A ) dello stemma della municipalità aquilana,trasformando un’aquila reale in un inconsapevole passeraccio ( ne esistono 16 sottospecie ) seppure rapace senza aver mai chiesto autorizzazione appunto agli organi competenti della municipalità, insomma una quisquiglia nei confronti del Capo B ) che contesta di aver perseguito , si fa per dire , un’indebita appropriazione .Stando anche al sito della manifestazione dove con “ ripetute ammissioni “ in più documenti si mostra come si sia perseguito un indebito profitto inteso come lustro .riconoscimento di status, affermazione dello statu quo per gli organizzatori per l’intero “pianeta maldicenza ,trasformando una salutare tradizione popolare in un nocivo “processo culturale “ in cui nello scontro tra bassa ed alta cultura quest’ultima è risultata vincente per le sue capacità di manipolazione. Con una operazione ,per così dire , di appropriazione ad “ usum delfini “ ossia riscrivendo ( con la penna dello storico di parte ) una evidenza documentale della storia delle famiglie aquilane che si avvaleva della “ fonte orale “ come mezzo di trasmissione , e la trasformazione in un pomposo apparato storico critico capace di svuotare il senso e il valore iniziale di tutta questa storia per consegnarla al tempo presente e tramandare al futuro una inesattezza storica .Quello che è peggio una mistificazione “in corso d’opera “ che alcuni storici hanno stigmatizzato e dimostrato .
Scrive Walter Cavalieri in un intervento su http://news-town.it/ del 16 gennaio 2014 “Si trattava di una simpatica e picaresca tradizione popolare, unica in Italia, legata al convento di Sant'Agnese (a ridosso delle mura urbiche del Quarto di Santa Maria Paganica), le cui ospiti derelitte, prestando servizio presso le famiglie nobili e borghesi, ne carpivano con facilità ogni sorta di segreto e di confidenza privata.
Quelle morbose indiscrezioni entravano in convento e ne riuscivano sotto forma di dettagliati pettegolezzi accreditati dalla citazione: "E' uscita da S. Agnese!" Pare che in occasione di fidanzamenti o matrimoni le rispettive famiglie, all'insaputa l'una dell'altra, s'informassero reciprocamente su di loro presso il convento (divenuto una formidabile agenzia di informazioni...) per sapere se risultasse qualche "magagna" tenuta nascosta. E sicuramente tra gli "utenti" c'erano anche molti padri, fidanzati o futuri sposi…
Col tempo le estemporanee comitive agnesine iniziarono a strutturarsi in vere e proprie confraternite, a cominciare dalla "Sancta Agnes garrulorum praesidium", nata il 21 gennaio 1955, con sede fissa presso la Trattoria San Biagio. Tutto ciò durò fino agli inizi del nuovo millennio, quando alcuni di questi stessi confratelli immaginarono di trasformare questo tipico momento goliardico e di divertimento malizioso in un fenomeno di "alta cultura" del quale la nostra città avrebbe dovuto farsi vanto.
La discutibile revisione, resa possibile dal vuoto culturale che la Città viveva in quel momento, nasceva da una leggenda risalente ai primi del 1300, quando alcuni nobili e borghesi aquilani, desiderando parlare senza peli sulla lingua di politica e di potenti, avrebbe iniziato a riunirsi vicino Porta Rivera, a fianco della appena costruita fontana delle 99 Cannelle. I governanti non avrebbero tardato ad individuare il piccolo gruppo di maldicenti sediziosi e a esiliarli dalla città, minacciando la pena di morte qualora vi fossero rientrati.
Poco dopo, però, i familiari dei proscritti, appoggiati da gran parte della popolazione, avrebbero chiesto e ottenuto il perdono, ma a condizione che ciascuno giurasse di non fare più maldicenza dentro le mura della città. Essendo stati espulsi il 21 gennaio, gli esiliati sarebbero stati riaccolti in città come "quelli di Sant'Agnese" e sarebbero tornati a dedicarsi alla maldicenza, ma (per non contravvenire al giuramento) lo avrebbero fatto in una mescita di vino collocata fuori le mura della città.
Nasceva così il racconto postumo che lega Sant'Agnese alla celebrazione della libertà di parola, dello spirito di comunità, della ribellione contro il potere costituito. Come se il pettegolezzo potesse identificarsi, grazie a un sottile sortilegio ermeneutico, con il "dire il male" e non più col "dir male". Per nobilitare "lavannare" e "mamme deji cazzi dej'atri", si scomodava nientepopodimeno che la "parresia" socratica, consistente nel parlare con coraggio e franchezza nell'ambito di un'etica della verità...
Mediante iniziative pseudo-culturali amplificate dalla presenza di ospiti illustri come Francesco Cossiga, Giulio Andreotti o il vescovo di Chieti Bruno Forte, L'Aquila agnesina giungeva a rivendicare con orgoglio il titolo di "Capitale della maldicenza", inventando un brand da esportare a fini turistici o addirittura da inserire, accanto alle vere eccellenze, nella velleitaria candidatura a capitale europea della cultura 2019…
La politica e le istituzioni, anzichè stimolare la coesione e la dignità della comunità, hanno dunque sperperato per anni denaro pubblico assecondando e alimentando questa grande mistificazione borghese che rischia di mettere fine all'autentica natura popolare dell'evento.
La mentalità agnesina restata confinata per decenni a quel solo giorno di trasgressione collettiva simil-carnascialesca, è stata elevata a sistema e indicata quale modello virtuoso, esasperando al contrario la peggiore aquilanità: quella della critica improduttiva, della vis disfattista, del confronto politico fondato sul sotterfugio e la calunnia.
Per “aver spacciato
una tradizione popolare per un
momento culturale di alto livello, un motivo di vanto per la nostra città.
Addirittura, si parla di Sant'Agnese come una tradizione che stimolerebbe la
libertà di parola, lo spirito di comunità, la ribellione contro il potere
costituito. Per aver reiterato l’iniziativa
rendendola un 'marchio' da esportare senza rendersi conto del danno che ha arrecato alla
città. E soprattutto per aver proposto di diffondere nelle scuole
aquilane lo spirito della maldicenza dando un colpo di grazia a una generazione che già
fatica a trovare valori positivi.
Lo
storico Raffaele Colapietra in un
intervento su Il Centro del 12 gennaio 2014 racconta i fatti e afferma
che “ nel 1845 il vescovo Gerolamo Manieri, patrizio
aquilano, vergò un lascito testamentario in virtù del quale s'istituisse un
conservatorio per raccogliere ed educare le trovatelle dell'ex monastero delle
Celestine di Sant'Agnese soppresso e vuoto da una quarantina d'anni e che era
uno dei quattro presenti in città, accanto al confinante San Basilio, a Santa
Maria Maddalena sostituito dal liceo scientifico in epoca fascista e oggi
abbandonato a sé stesso ed a Santa Maria dei Raccomandati, già municipio, oggi
destinato ad alte e misteriose fortune. Come la maggior parte delle buone cose
all'Aquila non se ne fece nulla per molto tempo, fin quando cioè il nuovo
vescovo Luigi Filippi, futuro primo arcivescovo, non fece venire le suore
Stimmatine di recente istituzione, con la loro stessa fondatrice e superiora,
la venerabile Anna Lapini, nel 1855, e l'istituto iniziò la sua vita meschina,
indirizzata soprattutto a collocare quelle infelici come donne di servizio e,
secondo il costume, a disposizione incondizionata del padrone e degli eventuali
padroncini.
Le cose andarono avanti così fino al 1874 allorché l'ospedale, che nel 1820 era stato allocato a Collemaggio dalla sua antica sede presso San Bernardino, si trasferì a Sant'Agnese dove è rimasto fino ai giorni nostri, adibendo la chiesa a cappella ed estendendosi in epoca fascista all'attigua chiesa di Santa Maria del Guasto la cui facciata fu rimontata fuori porta Napoli. Le Stimmatine si trasferirono pertanto anch'esse a capo della costa della Rivera, dove i Cistercensi di San Bernardo (da cui il nome ancor oggi) avevano ricostruito chiesa e convento di Santa Maria del Rifugio distrutti dal terremoto del 1703 più o meno là dove è stato a lungo il mattatoio e dove fino al 1874 erano stati provvisoriamente gli Agostiniani, che rientravano ora in possesso della loro bella chiesa oggi deplorevolmente adibita ad uso profano. A San Bernardo le Stimmatine fondarono collegio, orfanotrofio, pensionato e quant'altro, fiorentissimi fino ai giorni nostri, né più si curarono della loro originaria missione caritativa.”
Le cose andarono avanti così fino al 1874 allorché l'ospedale, che nel 1820 era stato allocato a Collemaggio dalla sua antica sede presso San Bernardino, si trasferì a Sant'Agnese dove è rimasto fino ai giorni nostri, adibendo la chiesa a cappella ed estendendosi in epoca fascista all'attigua chiesa di Santa Maria del Guasto la cui facciata fu rimontata fuori porta Napoli. Le Stimmatine si trasferirono pertanto anch'esse a capo della costa della Rivera, dove i Cistercensi di San Bernardo (da cui il nome ancor oggi) avevano ricostruito chiesa e convento di Santa Maria del Rifugio distrutti dal terremoto del 1703 più o meno là dove è stato a lungo il mattatoio e dove fino al 1874 erano stati provvisoriamente gli Agostiniani, che rientravano ora in possesso della loro bella chiesa oggi deplorevolmente adibita ad uso profano. A San Bernardo le Stimmatine fondarono collegio, orfanotrofio, pensionato e quant'altro, fiorentissimi fino ai giorni nostri, né più si curarono della loro originaria missione caritativa.”
Affermazione storica che lo porta a concludere “ di conseguenza, mettendo da parte i secoli,
la libertà e le altre infinite goffaggini pseudostoriche che si sono volute
ammannire ai gonzi, l'etichetta di
Sant'Agnese si riferì per non più di una ventina d'anni non alla santa, né alla
data del 21 gennaio, bensì al luogo (che sarebbe potuto essere benissimo un
altro) in cui erano in pratica recluse queste sventurate alle quali si
affibbiava pretestuosamente e beffardamente la debolezza di parlar male dei
padroni, cioè di rivelarne le magagne,
più o meno come un quotidiano local-romano è stato chiamato per decenni il
giornale delle serve per la larga parte che vi aveva la cronaca locale in
dialetto romanesco e per la pessima carta in cui era stampato nell'Ottocento.
Quando vediamo, il giovedì pomeriggio o in altra data, le badanti
extracomunitarie raccogliersi in capannelli per confidarsi le proprie miserie
possiamo farci un'idea di che cosa fosse in realtà Sant'Agnese: e dovremmo
averne rispetto e pietà.
Quale lo scopo della gazzarra che, come tutte le menzogne, non è mai innocente, ma è figlia del diavolo, come insegna il vangelo di san Giovanni 8,45? Non lo sappiamo né c'interessa saperlo, dovremmo disprezzarla, ci limitiamo a compatirla: e compatiamo anche la fiera delle vanità che è stata messa in piazza pochi giorni dopo quella della Befana. Il maggiore degli espositori (Cossiga) avrebbe potuto snocciolare un'intera enciclopedia della maldicenza intorno ad un unico argomento: il cadavere di Aldo Moro».
Quale lo scopo della gazzarra che, come tutte le menzogne, non è mai innocente, ma è figlia del diavolo, come insegna il vangelo di san Giovanni 8,45? Non lo sappiamo né c'interessa saperlo, dovremmo disprezzarla, ci limitiamo a compatirla: e compatiamo anche la fiera delle vanità che è stata messa in piazza pochi giorni dopo quella della Befana. Il maggiore degli espositori (Cossiga) avrebbe potuto snocciolare un'intera enciclopedia della maldicenza intorno ad un unico argomento: il cadavere di Aldo Moro».
Una iniziativa dunque quella degli ideatori e
organizzatori del “pianeta maldicenza” capace di pietrificare come una medusa (
insieme a Steno ed Euriale, è una delle tre Gorgoni, figlie delle divinità
marine Forco e Ceto )
chiunque avesse incrociato il loro sguardo (in attesa di un novello Perseo che forse è in
grado di decapitarla ) per un elogio
alla stupidità degli aquilani. Ma quanti sono gli aquilani che si
vogliono far prendere per il naso? Quanti
consapevoli o inconsapevoli
affidano a questa iniziativa il
senso di rivalsa della città nei
confronti di un destino “cinico e spietato”
ignorando la realtà che “faber est suae quisque fortunae”(
letteralmente "Ciascuno è artefice della propria sorte") Voler dunque
ridurre con le manifestazioni della Sant’Agnese
tutto alla maldicenza , seppure
intesa come “critica sincera e costruttiva nella tradizione aquilana “ è
opera stolta perché riduce ad identità
aquilana un insignificante dieci per cento
di un fenomeno sul quale si mette
l’accento in modo positivo senza sapere che è la parte più negativa dell’intero
racconto storico di un contesto aquilano
di altri tempi.
La sentenza . La sentenza ha condannato qualsiasi forma di
calunnia, diffamazione, pettegolezzo, volgarità ma ha mandato libero il reo
che ha potuto beneficiare della
prescrizione ( i fatti imputati risalgono
almeno al 1300.E qui avremmo
potuto finire ma non possiamo non dire
che del resto ( come si dice sempre in questi casi nel rispetto di un principio giuridico questo
sì cosa seria ) le sentenze si
rispettano e non si commentano cosa che
Angelo De Nicola sa bene come navigato cronista di giudiziaria. Cosa sulla quale
comunque contava nel proporre questo
processo che sarebbe potuto finire come
è finito ufficiosamente anche con un’altra specificità all’italiana ,quello della prescrizione essendo stato commesso il reato molti anni fa con una capacità spettacolare di “ coazione a
ripetere “ ma anche di capacità manipolativa
non essendo stati capaci gli aquilani
di usare la flagranza di reato per un arresto di massa che avrebbe istituito un campo di
concentramento di presunti innocenti fino a pronuncia definitiva passata in giudicato.Avvertenza
finale Non se ne vogliano gli ideatori e
organizzatori protagonisti del festival
Sant’Agnese 2016 se anche noi per una
volta abbiamo voluto giocare ( e ci dichiariamo rei confessi di aver
portato l’acqua al mulino di una
iniziativa che semplicemente non
condividiamo per non dire non apprezziamo ) con una nostra personale “
confraternita” al gioco della maldicenza
che anzi in questa ottica potrebbero anche esserci grati per i servizi resi tanto a lavare la testa ali asini si perde l’acqua
e il sapone. In onjore si Sant’Agnese
poi abbiamo scherzato ( ed è un
modo per capire se gli organizzatori stanno allo scherzo anzi alla maldicenza che gli è tanto cara ) .
E anche se come si è capito non siamo per niente d’accordo su questa
manifestazione ci sentiamo di dire che
in definitiva che i problemi di L’Aquila
sono altri nella speranza che appunto
pproprio questa iniziativa non diventi
un ulteriore problema. Sono certo che ci
sapranno stare. Perché in definitiva
,sotto sotto ( si fregano le mani )
tutto questo giova loro e
gramscianamente parlando (diceva
Gramsci che se mangi un piatto di
fagioli al giorno fai comunque un atto politico )l’alternativa sarebbe il
silenzio .E non a caso i critici di questa iniziativa sono da molto silenziosi
.Perchè dal silenzio nascono altre cose.
Sono quelle di cui L’Aquila ha
bisogno in questo momento . E la finisco
qui per non trasformare tutto in un
pistolotto da pulpito di prediche parolaie, inutili e inconcludenti
. Anche se la tentazione è forte e contraddittoria : perché non un processo
d’appello ?
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