"Una vergogna infinita a cui si potrebbe
ancora mettere riparo con gesti semplici e significativi, ma ormai all’Aquila
quando si parla delle vittime del sisma alla gran
parte delle persone viene l’orticaria." di Giustino Parisse su Il Centro 13 gennaio 2016
Il tessuto sociale da circa cinquant’anni si
regge sull’intervento dello Stato. Oggi si continua a sperare in un soccorso
“dall’alto” per dare un futuro alla città.
Per il rilancio economico si punta sui fondi pubblici
Per il rilancio economico si punta sui fondi pubblici
W L’AQUILA
La questione L’Aquila “Vendesi e affittasi” pone interrogativi inquietanti. Non
solo perché la città, in mancanza di alternative, nel suo futuro vede come
principale obiettivo il “vivere di rendita”, quanto per una domanda che nessuno
sembra ancora porsi: ma chi affitterà o comprerà le belle case rifatte a spese
dello Stato? Nella seconda metà del secolo scorso l’economia aquilana (stiamo
parlando degli ultimi 50 anni circa) è stata fondata su poche cose.
Semplificando al massimo: vagonate di pensioni, burocrazia (uffici pubblici),
industria di Stato o parastato (che ha dato lavoro fino a 5.000 persone),
terziario (negozi che a lungo hanno sfruttato il monte stipendi dell’industria
di cui sopra), cultura (con molte eccellenze che nel tempo non sono riuscite a
restare con i conti in equilibrio e che anche oggi fanno fatica a reggersi),
tessuto di microimprese sempre in bilico, sedi di grandi gruppi (farmaceutici
soprattutto) sempre pronti a mollare se dovesse cambiare il vento (tanto che
per farle restare, dopo il sisma è stato deciso che una bella fetta dei soldi
per il rilancio produttivo – una quarantina di milioni – fosse dirottata
proprio al settore farmaceutico).
Per un periodo
l’impresa di costruzioni Irti sembrava un colosso inaffondabile. Si è visto
come è andata. In tempi più recenti anche il colosso Edimo sembrava marciare
senza paura. La cronaca del 2015 ci ha raccontato un’altra storia. Se si fanno
due conti si scopre che l’economia aquilana ha galleggiato sui soldi degli
altri (dello Stato soprattutto). E questa è stata ed è la sua grande debolezza
(l’alta tecnologia di cui tanto si parla si nutre anch’essa in gran parte di
fondi pubblici: Gssi e Infn).
GLI
STUDENTI. Negli ultimi venti anni era entrata in gioco un’altra variabile:
gli studenti universitari fuori sede con gli affitti pagati da papà e mamma. Un
fenomeno diffuso, per gran parte in nero, e in abitazioni per lo più ai limiti
della fatiscenza. Il terremoto del 2009 ha scoperchiato il pentolone: 55
ragazzi e ragazze rimasti sotto le macerie e altre decine feriti. Non ci si è
mai interrogati fino in fondo sul perché di quelle morti. Si è parlato molto
della Casa dello Studente ma meno di tante altre abitazioni (in città) che si
sono rivelate delle trappole. Nessuno, a partire dalle autorità politiche
locali ha chiesto scusa – e qui non c’entrano le responsabilità penali – a quei
ragazzi e ai loro parenti. La città li aveva sfruttati fino alla fine e poi se
ne è semplicemente dimenticata. Se qualcosa in futuro resterà del terremoto
aquilano è il marchio di infamia che quest’angolo d’Abruzzo si porterà addosso
per sempre. Una vergogna infinita a cui si potrebbe ancora mettere riparo con gesti
semplici e significativi, ma ormai all’Aquila quando si parla delle vittime del
sisma alla gran parte delle persone viene l’orticaria. Per affittare le case
nuove, o venderle, bisognerebbe convincere i giovani della città a restare, gli
studenti universitari a tornare, e inventarsi attrattori per chi qui potrebbe
trovare lavoro. Ma come si crea lavoro? In una città fondata sul parastato si
continua a perseverare con il parastato.
I FONDI
PUBBLICI. Per cui tutte le speranze sono concentrate su: 300 milioni dallo
Stato per la ripresa produttiva, venti milioni circa _ dallo Stato _ da dare a
una società per rottamare computer e cianfrusaglie tecnologiche, altri milioni
_ dallo Stato _ al Centro turistico per risanarlo e poi venderlo. Poi ancora
contributi _ dallo Stato _ più o meno a pioggia per un fantasmagorico turismo
di nicchia nei comuni del Cratere, contributi su cui i valorosi sindaci dei
borghi “minori” si azzuffano da tempo: tutti ne vogliono un pezzetto per il
proprio focolare elettorale e nessuno guarda alla complessità.
LA CLASSE
DIRIGENTE. E qui entra in gioco anche la “immutabilità” della classe
dirigente. Fate mente locale: nei posti di “comando” della città e dei paesi
del circondario, ci sono più o meno le stesse persone (o i lori epigoni) da
trenta anni a questa parte. E non solo nella politica, anche nelle
organizzazioni sindacali, nelle associazioni di categoria, nel mondo del
credito, nei vertici delle aziende comunali, nei mille rivoli di una burocrazia
che non si vede ma pesa, e tanto. La traduzione vera di “Immota Manet” è: la
poltrona non si molla. Nemmeno se è quella da presidente della bocciofila. A
questo si aggiunge un altro elemento.
GLI
ALLOGGI. Nel post sisma con i piani Case e i map la disponibilità di
alloggi nel capoluogo e circondario è quasi raddoppiata. Presto (3 o 4 anni)
avremo la città dei ricchi (pochi) nei loro sontuosi palazzi e quella dei meno
ricchi nelle casette rifatte alla meglio, cosa che finirà per creare anche
plasticamente l’immagine che già si vede nelle aree metropolitane: luoghi
sfavillanti da un lato e miseri ghetti dall’altro. Questo accadrà soprattutto
se non si troverà un’idea su come manutenere e gestire Case e map e dare un
senso al “nuovo” nato dopo il 2009, “nuovo” che è stato il vero piano regolatore
“imposto” agli aquilani e che ha ri-disegnato la città. Ma le idee come al
solito scarseggiano e ogni giorno che passa spuntano problemi sempre più
complessi: i piani Case fra balconi cadenti, sequestri da parte della
magistratura, tetti colabrodo, materiali che si sbriciolano, scarsa
manutenzione, menefreghismo di molti (basta chiedere agli uffici comunali come
vengono trovati gli alloggi quando vengono lasciati dagli inquilini della prima
ora), sono destinati a perire dopo una lunga agonia. A volte per curiosità e
per verificare lo stato dei luoghi faccio un giro in alcuni piani Case. Alla
desolazione e al silenzio quasi spettrale si aggiunge un senso di abbandono – e
a volte di degrado– che è tutt’altro che l’ordinata periferia di una città di
provincia. Già oggi tanti alloggi sono vuoti (il Comune rende noto col
contagocce i numeri dell’assistenza alla popolazione), ci sono problemi enormi
anche per cambiare una lampadina, la cura delle aree verdi o è affidata alla
buona volontà di qualche residente o non si fa proprio. E, nello sfacelo che si
allarga a macchia d’olio, la chicca finale. Per il Comune dell’Aquila la
gestione di piano Case e map è un salasso che peserà per decenni. Persino se si
decidesse di abbattere tutti gli edifici ci sarebbero costi enormi, maggiori
persino dei 700 e passa milioni di euro spesi per costruirli. (2/continua)
Eremo Rocca Santo Stefano mercoledì 13 gennaio 2016
(Lei anche post precedente prima parte della riflessione "ma queste cose nelle cene di Sant'Agnese non si dicono )
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