CAMERA OSCURA: Scanno 1957 di Mario Giacomelli
Che ne è della fotografia trasformata dalla svolta digitale in simulacro, illustrazione malleabile e infedele? Senza più analogia con il mondo reale quando parliamo di fotografia di che cosa parliamo ?E’ il tema di un libro di Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia edito da Quodlibet e curato da Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro. Lo presenta Michele Smargiassi su La Repubblica di venerdì 4 giugno 2010 scrivendo : “ Questo libro è il documento di una doppia , dolorosa crisi fatale nella storia dell’immagine ottica ,la fine della fotografia come oggetto intellettuale e la fine del fotografo come intellettuale . Una fine a tradimento ,una sincope che colpì proprio nel momento più felice . Quando Ghiri salì in cattedra era il momento in cui tutto poteva accadere ma nessuno se ne accorgeva. Neanche lui. La fotografia era già avviata sulla strada digitale. Ghirri ne accennava quasi di sfuggita, per lui non era importante che la pellicola lasciasse prima o poi posto ai pixel e aveva ragione perché non sarebbe cambiato granchè se di lì a poco non avesse fatto irruzione l’uragano che rase al suolo l’intero sistema di circolazione delle immagini per sostituirlo con un altro, cioè l’uragano Internet.(…)”
“Per Ghirri la fotografia era un lavoro del pensiero come la filosofia e la poesia” - scrive di lui Gianni Celati e la fotografia è quindi è un modo che ha l’uomo di guardare il mondo e non la tecnica per farlo .
Ho colto queste riga di Smargiassi e Celati di presentazione di un grande maestro contemporaneo per introdurre una riflessione sulla fotografia e su alcuni fotografi d’altri tempi . Ho avuto l’opportunità di rintracciare delle opere di fotografi abruzzesi in bianco e nero e in particolare di dieci fotografi di Sulmona . Le foto di quest’ultimi furono collezionate e catalogate da Giuseppe Di Tommaso che ho conosciuto personalmente. A Sulmona infatti Di Tommaso raccolse gli archivi di alcuni studi fotografici fine Ottocento e Novecento e ne pubblicò le opere già in Sulmona nell’Ottocento, Sulmona nel Novecento e Sulmona Ieri.
Di Tommaso aveva una particolare predilezione per la ricerca, la valorizzazione di vecchie immagini della città ma anche il gusto antropologico di catalogazione di tante altre immagini che ritraggono la gente e la vita di Sulmona nella sua quotidianità in alcuni tempi ormai lontani.
uindi questa “CAMERA OSCURA “ vuole essere dunque l’avvio di una riflessione sulla fotografia , sulla sua estetica, sulla sua funzione e sul suo senso ieri oggi e vuole appunto presentare opere di alcuni fotografi.
Ho pensato allora di iniziare proprio con un un grande fotografo e le immagini di un paese . Mario Giacomelli le cui immagine che trasferiscono uomini e cose su un palcoscenico di una rappresentazione tragica appaiono bruciate, supercontrastate , mosse e bruciate.
Non è un professionista ma è il fotografo italiano più conosciuto nel mondo. E non a caso ho voluto proprio far riferimento a immagini di Scanno 1957. Egli non soggiace alla novità,non segue la moda .
“Spinto da una profonda necessità di percepire la realtà e di raccontare la vita , come scrive Bruno Simoncelli, crea immagini sorprendenti per fantasia e inventiva, disegna con uno stile personalissimo quello che vede , soggettiva i volti della gente,la vita di ogni giorno, l’umanità dolente , con la’usilio della semplice macchina fotografica e dell’intelligenza creativa congiunta a un sentimento lirico fra i più genuini che ci è dato conoscere”.
Giacomelli deve la notorietà a sequenze fotografiche come “Vita d’ospizio”, “Lourdes”, “Mattatoio”, “Pretini” , “La buona terra”,”Taglio d’albero “ , “ Paesaggi “ quest’ultimi essenziali e drammatici dando sempre emozioni.
Il reportage “Scanno” eseguito alla fine degli anni Cinquanta lo pose all’attenzione di critici e pubblico colto. Si vede un paese violato, smontato e ricostruito dall’occhio meccanico di Giacomelli .
Di questa esperienza Giacomelli racconta:” (Sono andato a Scanno) perché avevo voglia di fare cose diverse da quelle che facevo allora e perché a Scanno sono andati tutti i fotografi del mondo. E’ stata un’esperienza meravigliosa perché proprio a Scanno è nata l’idea di usare la tecnica del bruciato , procedimento di cui sono fiero. Odio le immagini che rimangono così come la macchina levede .Riprendere un soggetto senza però modificare niente è come avere sprecato tempo (…) tutto ciò che per me è stato godimento fotografico nasce a Scanno. La prima volta veniva da Pescara. Una volta arrivato sono sceso dall’automobile a precipizio e mi sono anche fatto male, emozionato com’ero nel vedere per la prima volta queste figure nere , le mucche nere, le galline Tutte a spasso per il corso.”
Si conservano foto di Scanno opere di Giacomelli nel Museo d’Arte moderna di New York e al Museo della Virginia, in America. In Europa sono al Museo Puskin a Mosca .
Continua Giacomelli “ Le prime foto che mi sono state richieste dal Museo Niepce3 di Parigi , sono state quelle di Scanno.”
A Bruno Simoncelli che gli chiedeva se di Scanno avesse qualche particolare ricordo Giacomelli risponde così: “ Stavo fotografando su una strada bianca. Con me come al solito c’erano mucche e galline . Ad un certo punto mi sento spingere in avanti. Mi volto di scatto, infastidito. Era una mucca. Col naso mi aveva bagnato le spalle. Forse mi dimostrava amicizia. Per me era una cosa bella vedere questa “ famiglia” di uomini, donne, mucche e galline. Le donne sedute fuori. Il postino che sulla strada distribuisce le lettere . Di cose accaduto ieri non ricordo nulla. Di Scanno ricordo tutto. Ho avuto con la gente di Scanno rapporti molto brevi ma per me molto lunghi. Ho parlato spesso con la donna che mi preparava il pasto. Il vero rapporto umano non è stato quello temporale con la gente , perché la gente la sentivi anche dentro le tasche, , nel senso che la sentivi amica. Per strada nessuno mi salutava ma per me era come se tutti mi salutassero.Forse qualcuno mi
guardava con diffidenza, ma alla fine , mi si avvicinava e mi chiedeva “ Jamme ritrattame”.La mia foto più conosciuta è quella del bambino. Se non l’avessi scattata nessuno avrebbe parlato di me. Era di domenica mattina e aspettavo la gente che usciva da messa. Avevo scelto il posto giusto. Volevo tra quelle donne una figura magra, molto magra ,molto alta con un mazzo di fiori in braccio. Tutte le donne erano uscite ma la magra non c’era. Scatto qualche foto a caso Ad un tratto nel voltarmi , vedo un bambino come se qualcuno lo avesse gettato lì. Lo vedevo nel mirino al centro dell’immagine .Intorno donne in nero . Ho scattato.”
Anche Henry Cartier Bresson si è trattenuto a Scanno per sei mesi e ha fatto un celebre servizio su questo paese. Mentre le foto di Bresson sono stampate da un laboratorio di Parigi quelle di Giacomelli sono sviluppate e stampate in una “camera oscura “ personale . Infatti afferma “le voglio mal stampare con i neri chiusi , ma non troppo, i bianchi mangiati ,ma non troppo secondo una mia personale interpretazione, secondo il mio stato d’animo. Se i rullini di Scanno li avessi affidati ad estranei avrei buttato via il mio lavoro perché voleva negativi e stampe “ sbagliate “.
Foto sbagliate fatte tutte rigorosamente con la Kobell una macchina fotografica che Giacomelli non esita dire che “fa parte della mia famiglia, una cosa cara . Se portassi a casa un’altra macchina sono convinto che lei si dispiacerebbe e forse non funzionerebbe più. Starà con me finchè non ce la farà più”.
Eremo Via vado di sole, L’Aquila sabato 17 luglio 2010
"In fondo fotografare è come scrivere: il paesaggio è pieno di segni, di simboli, di ferite, di cose nascoste. E’ un linguaggio sconosciuto che si comincia a leggere, a conoscere nel momento in cui si comincia ad amarlo, a fotografarlo."
Mario Giacomelli
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