

“Per Ghirri la fotografia era un lavoro del pensiero come la filosofia e la poesia” - scrive di lui Gianni Celati e la fotografia è quindi è un modo che ha l’uomo di guardare il mondo e non la tecnica per farlo .
Ho colto queste riga di Smargiassi e Celati di presentazione di un grande maestro contemporaneo per introdurre una riflessione sulla fotografia e su alcuni fotografi d’altri tempi . Ho avuto l’opportunità di rintracciare delle opere di fotografi abruzzesi in bianco e nero e in particolare di dieci fotografi di Sulmona . Le foto di quest’ultimi furono collezionate e catalogate da Giuseppe Di Tommaso che ho conosciuto personalmente. A Sulmona infatti Di Tommaso raccolse gli archivi di alcuni studi fotografici fine Ottocento e Novecento e ne pubblicò le opere già in Sulmona nell’Ottocento, Sulmona nel Novecento e Sulmona Ieri.
Di Tommaso aveva una particolare predilezione per la ricerca, la valorizzazione di vecchie immagini della città ma anche il gusto antropologico di catalogazione di tante altre immagini che ritraggono la gente e la vita di Sulmona nella sua quotidianità in alcuni tempi ormai lontani.

Ho pensato allora di iniziare proprio con un un grande fotografo e le immagini di un paese . Mario Giacomelli le cui immagine che trasferiscono uomini e cose su un palcoscenico di una rappresentazione tragica appaiono bruciate, supercontrastate , mosse e bruciate.
Non è un professionista ma è il fotografo italiano più conosciuto nel mondo. E non a caso ho voluto proprio far riferimento a immagini di Scanno 1957. Egli non soggiace alla novità,non segue la moda .

“Spinto da una profonda necessità di percepire la realtà e di raccontare la vita , come scrive Bruno Simoncelli, crea immagini sorprendenti per fantasia e inventiva, disegna con uno stile personalissimo quello che vede , soggettiva i volti della gente,la vita di ogni giorno, l’umanità dolente , con la’usilio della semplice macchina fotografica e dell’intelligenza creativa congiunta a un sentimento lirico fra i più genuini che ci è dato conoscere”.
Giacomelli deve la notorietà a sequenze fotografiche come “Vita d’ospizio”, “Lourdes”, “Mattatoio”, “Pretini” , “La buona terra”,”Taglio d’albero “ , “ Paesaggi “ quest’ultimi essenziali e drammatici dando sempre emozioni.

Il reportage “Scanno” eseguito alla fine degli anni Cinquanta lo pose all’attenzione di critici e pubblico colto. Si vede un paese violato, smontato e ricostruito dall’occhio meccanico di Giacomelli .
Di questa esperienza Giacomelli racconta:” (Sono andato a Scanno) perché avevo voglia di fare cose diverse da quelle che facevo allora e perché a Scanno sono andati tutti i fotografi del mondo. E’ stata un’esperienza meravigliosa perché proprio a Scanno è nata l’idea di usare la tecnica del bruciato , procedimento di cui sono fiero. Odio le immagini che rimangono così come la macchina levede .Riprendere un soggetto senza però modificare niente è come avere sprecato tempo (…) tutto ciò che per me è stato godimento fotografico nasce a Scanno. La prima volta veniva da Pescara. Una volta arrivato sono sceso dall’automobile a precipizio e mi sono anche fatto male, emozionato com’ero nel vedere per la prima volta queste figure nere , le mucche nere, le galline Tutte a spasso per il corso.”

Si conservano foto di Scanno opere di Giacomelli nel Museo d’Arte moderna di New York e al Museo della Virginia, in America. In Europa sono al Museo Puskin a Mosca .
Continua Giacomelli “ Le prime foto che mi sono state richieste dal Museo Niepce3 di Parigi , sono state quelle di Scanno.”
A Bruno Simoncelli che gli chiedeva se di Scanno avesse qualche particolare ricordo Giacomelli risponde così: “ Stavo fotografando su una strada bianca. Con me come al solito c’erano mucche e galline . Ad un certo punto mi sento spingere in avanti. Mi volto di scatto, infastidito. Era una mucca. Col naso mi aveva bagnato le spalle.

guardava con diffidenza, ma alla fine , mi si avvicinava e mi chiedeva “ Jamme ritrattame”.La mia foto più conosciuta è quella del bambino. Se non l’avessi scattata nessuno avrebbe parlato di me. Era di domenica mattina e aspettavo la gente che usciva da messa. Avevo scelto il posto giusto. Volevo tra quelle donne una figura magra, molto magra ,molto alta con un mazzo di fiori in braccio. Tutte le donne erano uscite ma la magra non c’era. Scatto qualche foto a caso Ad un tratto nel voltarmi , vedo un bambino come se qualcuno lo avesse gettato lì. Lo vedevo nel mirino al centro dell’immagine .Intorno donne in nero . Ho scattato.”

Foto sbagliate fatte tutte rigorosamente con la Kobell una macchina fotografica che Giacomelli non esita dire che “fa parte della mia famiglia, una cosa cara . Se portassi a casa un’altra macchina sono convinto che lei si dispiacerebbe e forse non funzionerebbe più. Starà con me finchè non ce la farà più”.

Mario Giacomelli
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