SETTIMO GIORNO :Marta Marta tu ti affanni
“ Marta Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose ,ma di una cosa sola c’è bisogno.Maria ha scelto loa parte migliore,che non le sarà tolta” (Luca 10,38-429
A fermarci a queste espressioni si potrebbe pensare che l’ affermazione di Gesù Cristo nella casa di Marta e Maria voglia creare una netta separazione tra la vita attiva e la vita contemplativa, dando la preferenza a quest’ultima. In realtà il senso dell’esortazione di Cristo è diverso, anzi tende a legare indissolubilmente di due momenti della vita perché appunto l’azione, per avere un senso e per raggiungere l’obiettivo ,deve essere permeata proprio dall’ascolto della parola. Deve essere sorretta e indirizzata da quella disposizione dell’animo e del cuore che si mette in costante ascolto , che realizza attraverso questa disponibilità l’esperienza più alta della preghiera che è poi in definitiva questo costante colloquio con Dio. Pregare non è solo aprire la bocca per recitare le formule della liturgia ma è soprattutto quell’attento ascolto della parola del Signore che solo nel silenzio del cuore riesce a farsi ascoltare.
Mettere dunque assieme all’azione l’ascolto della parola permette di cercare meno le cose di Dio e più Dio stesso. Lo dirà Gesù Cristo :”Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la osservano ( Luca 11,28).
Scrive Enzo Bianchi priore di Bose :”Sì, Marta e Maria abitano in noi in modo quasi inseparabile. Spesso è Marta che prevale, che si affaccia per prima, spingendoci a correre incontro a Gesù – e agli altri, in cui egli è presente (cf. Mt 25,31-46) –, ad accoglierlo anche festosamente, ma ponendo in primo piano il nostro attivismo, senza metterci realmente al suo servizio… Maria invece sonnecchia nelle nostre profondità: per lasciarla emergere occorre morire al proprio egoismo e risorgere nell’atteggiamento di chi si pone ai piedi di Gesù per ascoltare con un cuore unificato la sua parola. Solo così potremo fare ogni cosa bene e saremo beati, secondo la promessa di Gesù: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 11,28). Non dimentichiamo dunque l’invito del Signore: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Ma è solo stando in ascolto della sua Parola possiamo divenire annunziatori del suo messaggio salvifico ed essere noi stessi presenza di Cristo per quanti incontriamo in modo che tutti divengano perfetti in lui.
Infatti dice l’apostolo Paolo ai Colossesi ( 1, 24-28) “fratelli sono lieto nelle sofferenze che sopporto per noi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. E lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.”
Il brano del Vangelo di Luca (!0,38-42) si lega al brano della Genesi (18,1-10) che narra la visita ad Abramo da parte di tre sconosciuti e dell’annuncio del sono di una conoscenza perché in entrambi i brani noi troviamo un Dio che cammina nella storia e si fa compagno di strada dell’uomo e allo stesso tempo pone anche la’ccento sull’accoglienza da parte dell’uomo di questo Dio pellegrino .
Scrive Don Marco Pratesi :“Il brano della Genesi ci racconta di un Dio che viene ad incontrarsi con l'uomo per portargli una buona notizia che trasfigura la sua vita, offrendoci una serie di spunti per riflettere sulle modalità dell'incontro tra Dio e l'uomo.
Prima di tutto, l'incontro è iniziativa di Dio. Abramo è semplicemente seduto all'ingresso della sua tenda, per di più nell'ora calda del giorno, quando le attività sono ridotte. Egli è seduto, e alzando gli occhi vede tre uomini in piedi davanti a lui: non ha potuto progettare niente, neanche accorgersi del loro arrivo, essi sono semplicemente lì.
A questo punto, però, è richiesta la sua risposta, che è fatta in primo luogo di sollecitudine. Il racconto, a partire dal fatto che non appena li vide corse loro incontro, presenta una serie di espressioni che sottolineano la prontezza e la premura di Abramo: quando Dio passa non si può rimandare, bisogna lasciar perdere il resto.
Inoltre Abramo prega, e con una preghiera molto bella, che ciascuno deve far propria: "Mio Signore, non passare oltre senza fermarti da me"! Egli invoca l'incontro, chiede un passaggio che non sia una semplice vicinanza esteriore, ma una profonda presa di contatto.
Abramo quindi si dà da fare per offrire ai tre una ricca ospitalità, mette a loro disposizione quanto ha; e una volta approntato il pasto, rimane in piedi in silenzio, in atteggiamento di servizio.
Finalmente Dio riprende l'iniziativa: annunzia la buona notizia della maternità di Sara alla quale, ardentemente desiderata, si era oramai rinunziato.
La nostra vita è luogo del passaggio di Dio. Un incontro che non possiamo costruirci, che non dobbiamo inventarci, al quale dobbiamo però disporci e che dobbiamo invocare con perseveranza.
Ogni visita di Dio ci apre il mistero della nostra esistenza, svelandoci ciò che è - oltre ogni ragionevole speranza - il nostro più intimo desiderio. Esso, che giace nascosto nel profondo del nostro essere, non riconosciuto e addirittura temuto, emerge adesso alla luce richiamato, come Lazzaro dal sepolcro, dalla promessa dei Tre. Al loro passaggio stilla l'abbondanza, la vita fiorisce, tutto canta e grida di gioia (cf. Sal 65,12-14). E come la gioia di Abramo e Sara non è per loro soli (moltitudini ne avranno benedizione), così la nostra realizzazione non è più in concorrenza ma in accordo con quella degli altri, non più antagonisti ma compagni.
Dobbiamo coltivare la consapevolezza della preziosità di questo dono: Dio non può manifestarsi laddove non c'è supremo interesse per lui, dove c'è distrazione e negligenza, dove non ci si affretta - come Zaccheo - ad accoglierlo (cf. Lc 19,6).
Dobbiamo mettere a disposizione di Dio quanto abbiamo, accoglierlo con un atteggiamento oblativo. Non perché egli abbia bisogno delle nostre cose: Dio non può visitarci laddove lo si cerca in modo egocentrico e strumentale, rimanendo centrati sul proprio io e chiusi al servizio. "Ci ha domandato di dare a lui, perché lui potesse dare a noi molto di più", dice Efrem il Siro.
Questa sia davvero la preghiera di ogni giorno, di ogni eucaristia: "Signore, non passare senza fermarti!".
Eremo Via vado di sole ,L’Aquila, lunedì 19 luglio 2010
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