CANZONIERE : Stornelli d’Italia
Leggere le canzoni è una questione d'accento. Perché a renderle leggere è la musica che le accompagna. Quella che fa cantare ai Baustelle «io vi amò / vi odio ma vi amo però» e ai Prozac+ «acidò acidà»; quella che porta Tiziano Ferro a spezzare la parola rima-nere con lo stesso stacco musicale che c'è tra sere e nere. Perché scrivere canzoni è una questione di ritmo, di ritmo e di rima: «è la più bella di tutte / si stacca piano dal cuore / è la più bella di tutte / ecco la rima: amore» (Stadio, Canzoni alla radio).
È per questo che i testi di canzone sono stati scritti a lungo in una lingua a parte, lirica in senso deteriore («lingua dell'opera, lingua del bel canto, che canta coi violini e gioca col suo accento», Cocciante, La nostra lingua italiana). E ancora oggi godono di una licenziosità poetica che alla poesia non è più permessa da almeno un secolo: «parla in fretta e non pensar / se quel che dici può far male / ... / tanto poi - tu lo sai - si scioglierà / come fosse neve al sol» (Negramaro, Mentre tutto scorre).
Eppure, almeno nella tradizione italiana, il cuore della canzone restano proprio le parole: «una nazione è fatta dai ritornelli che sceglie di canticchiare all'infinito», scriveva qualche anno fa Tiziano Scarpa. C'è chi dice che nell'amor le parole non contano, conta la musica; ma proprio quando pensi che sian troppe le parole, ti accorgi che sono gocce di memoria: parole, parole, parole per questo amore fatto solo di poesia (la citazione è il sintomo d'amore al quale non sappiamo rinunciare). Più che poesia popolare, i testi di canzone sono uno strano caso di poesia pop-orale. Anche messi su carta, si portano dietro la musica per cui sono nati, la loro intrinseca vocalità (mai come in questo caso, carta canta). Si portano dietro, come un codice genetico, la loro natura pop - cioè facile, diretta, leggera - di parole che spesso portiamo dentro di noi; parole che restano così, nel cuore della gente.
E Leggera è, non a caso, il titolo che Leonardo Colombati ha scelto per l'ultima sezione della sua monumentale antologia dedicata alla Canzone italiana. Storie e testi. Per chiudere quel canone (in origine una metafora musicale) che va da Salvatore Di Giacomo ad Alessandra Amoroso, e ha il suo centro nel capitolo dedicato a Fabrizio De André e Lucio Battisti. La strana coppia di cui si sottolinea la complementarità, in un parallelismo insistito che ne fa l'yin e lo yang della canzone italiana: uno «l'oracolo della sinistra», l'altro «il mito della destra»; uno autore soprattutto di testi, l'altro solo di musiche; uno che sceglie tardi di diventare un personaggio pubblico, l'altro che decide presto di non esserlo più; la morte che li coglie a pochi mesi di distanza uno dall'altro.
Fonte Il Sole 24 Ore Domenica 18 dicembre 2011
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 21 dicembre 2011
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