domenica 4 dicembre 2011

LA LUNA DEI LUNATICI :La luna di Giacomo Leopardi

LA LUNA DEI LUNATICI  : La luna di Giacomo Leopardi

 ALLA LUNA
O graziosa luna io mi rammento
Che or volge l’anno , sovra  questo colle
Io venia pien d’angoscia r imirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai , che tutta la rischiari:
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio , alle mie luci
Il tuo volto  apparia, chè travaglliosa
Era mia vita : ed è, né cangia stile.
O mia diletta luna.E  pur mi giova
La ricordanza ,e il noverar l’etade
Del mio dolor . Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil , quando ancor lungo
La speme  e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose ,
Ancor che triste ,e che l’affanno duri!

IL TRAMONTO DELLA LUNA
Quale in notte solinga,
sovra campagne inargentate ed acque
là ‘ve zefiro aleggia,
e mille vaghi aspetti
e ingannevoli obbietti
fingon l’ombre lontane
infra l’onde tranquille
e rami e siepi e collinette e ville;
giunta al confin del cielo,
dietro Appennino od Alpe, o del Tirreno
nell’infinito seno
scende la luna; e si scolora il mondo;
spariscon l’ombre, ed una
oscurità la valle e il monte imbruna;
orba la notte resta,
e cantando , con mesta melodia,
l’estremo albor della fuggente luce,
che dianzi gli fu duce,
saluta il carrettier da la sua via;
tal si dilegua, e tale
lascia l’età mortale
la giovinezza.

CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE
ERRANTE DELL’ASIA
Che fai tu, Luna, in ciel’ dimmi, che fai
Silenziosa  Luna ?
Sorgi la sera,  e vai ,
Contemplando i deserti; indi ti posi
Ancor  non sei tu paga
Di riandar i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli ?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore ,
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi,fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera,,
Dimmi,  o Luna: a che vale
Al pastor la sua vita
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale ?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestitot e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti,  ed alta rena,  e fratte,
Al vento, alla tempesta, e a quando avvampa
L’ora, e quando poi gela
Corre via, corre, e anela ,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge,e più e più s’affretta
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva Coà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso ,
Ov’ei precipitando , il tutto oblia.
Vergine Luna, tale
E’ la vita mortale .
Nasce l’uomo a fatica ,
Ed è rischio di morte il nascimento .
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e3 in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato:
Poi che crescendo viene ,
L’uno e l’altro il sostiene , e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core, E consolarlo dell’umano stato:;
Altro ufficio più grato
Non si fa dai parenti alla lor prole:
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura, Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
E’ lo stato mortale,
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei , tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro , il sospirar che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante ,
E perir dalla terra e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito  andar del tempo .
Tu sai , tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera ,
A chi giovi l’ardore, e che procacci
Il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri ,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
Star così muta in sul deserto piano.
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano  a mano;
E quando miro in ciel arder le stelle ;
Dico fra me pensando:
A che tante favelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e dalla stanza
Smisurata e superba,
E dell’innumerabile famiglia ;
Poi di tanto adoprar,di tanti moti
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse :
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so.Ma tu per certo,
Giovinetta immortal , conosci il tutto:
Questo io conosco e sento ,
Che degli eterni giri ,
Che dell’esser mio frale ,
Qualche bene o contento
Avrà fors’altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata ,
Che la miseria tua, credo, non sai !
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d’affanno
Quasi libera vai;
Ch’ogni stento, ogni danno
Ogni estremo timor subito scordi ;
Ma più perché giammai tedio non provi ,
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
Tu se’ quieta e contenta,
E gran parte dell’anno
Senza noia consumi in quello stato .
Ed io pur seggio sovra l’erbe, all’ombra,
E un fastidio m’ingombra
La mente;ed uno spron quasi mi  punge
Sì che,  sedendo,  più che mai son lunge
Da trovar pace e loco.
E pur nulla non bramo ,
E non ho fino a qui cagion di pianto :
Quel che tu goda o quanto ,
Non so già dir ; ma fortuna sei
Ed io goodo ancor poco,
O greggia mia , né di ciò sol mi lagno .
Se tu parlar sapessi , io chiederei:
Dimmi : perché giacendo
A bell’agio,  ozioso,
S’appaga ogni animale,
Me, s’io giaccio in riposo , il tedio assale?
Forse s’avess’ io l’ale
Da volar su le nubi ,
E niverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei , dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero ,
Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma , in quale
Stato che sia , dentro covile o cuna,
E’ funesto a chi nasce il  dì  natale.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, domenica 4 dicembre 2011

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