LETTERE DALL’EREMO : ( 1 ) Dalla Dives in misericordia alla Deus Caritas est: il cammino della Chiesa di oggi all’insegna dell’Amore Misericordioso
Mi è stato chiesto di leggere il cammino della Chiesa di oggi all’insegna dell’Amore Misericordioso, alla luce delle encicliche Dives in misericordia [DM] di Giovanni Paolo II e Deus Caritas est [DCE] di Benedetto XVI. Il compito oggi è facilitato dalle «riflessioni» (così le definisce il Papa stesso) che Benedetto XVI ha svolte al Convegno ecclesiale di Verona il 19 ottobre 2006, con le quali Papa Ratzinger in certo senso completa il suo magistero sulla carità.
«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (I Gv, 4. 6). Queste parole dell’evangelista Giovanni – scrive Benedetto XVI nella DCE – esprimono con chiarezza «l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino». E aggiunge: «In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri»1.
Il Papa, cioè, ritiene che l’annunzio di Dio-Amore sia «di grande attualità e di significato molto concreto» in questo inizio del Terzo Millennio, segnato da profondi contrasti: da un lato, il terrorismo islamico insanguina il mondo in nome di Dio, gli Stati Uniti teorizzano e praticano la «guerra preventiva», il mondo è sull’orlo di un terribile scontro di civiltà, esplodono nuove tensioni sociali in seguito ai crescenti flussi migratori, le intelligenze e le coscienze sono disorientate dal relativismo morale e dall’ateismo pratico; d’altro lato, non mancano segni che annunziano che un mondo diverso è possibile: la riconciliazione e la collaborazione tra nazioni che si sono combattute ferocemente, una sensibilità nuova e generalizzata per il rispetto dei diritti umani, la domanda di una nuova qualità di vita specialmente da parte dei giovani, il bisogno crescente di pace e di giustizia, di dialogo e di comunicazione.
In un simile contesto culturalmente contraddittorio e socialmente incerto, Benedetto XVI richiama il dovere che abbiamo, come cristiani, di annunziare e di testimoniare che Dio è Amore. E definisce questo annunzio «un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto». È particolarmente significativo che noi oggi rilanciamo questo messaggio dal Santuario di Collevalenza, la Casa di Madre Speranza, alla quale il Signore ha affidato il carisma di far conoscere al mondo il suo Amore Misericordioso.
Il «messaggio» di Benedetto XVI – che egli stesso definisce «di grande attualità e di significato molto concreto» – si può enunciare così: 1) la Chiesa del XXI secolo è chiamata a promuovere la «civiltà dell’amore», essa pertanto sarà «la Chiesa dell’Amore Misericordioso»; 2) a questo fine, però, è necessaria la presenza di un «laicato maturo», pertanto la Chiesa del XXI secolo sarà la «Chiesa dei laici»; 3) infine il messaggio del Dio-Amore si concretizza nella «testimonianza della carità» nelle forme più alte, cioè nel servizio ai poveri e nella assunzione delle responsabilità civili e politiche da parte dei fedeli laici. Saranno queste le tre parti della mia relazione.
1. La «Chiesa dell’Amore Misericordioso»
Dopo il Concilio Vaticano II, Paolo VI fu il primo a insistere sulla necessità di promuovere la costruzione della Civiltà dell’Amore, cioè di una società rinnovata, dove la giustizia, che ne è il fondamento necessario, sia integrata e sublimata dalla carità: «Se al di là delle norme giuridiche – scrive nella Octogesima adveniens – manca un senso più profondo del rispetto e del servizio altrui, anche l’uguaglianza davanti alla legge potrà servire di alibi a evidenti discriminazioni, a sfruttamenti continuati, a disprezzi effettivi»2. Ciò – prosegue – è confermato dalle contraddizioni spesso drammatiche del mondo moderno: «I rapporti di forza non hanno mai garantito la giustizia in modo durevole e vero […]. L’uso della forza provoca l’intervento di forze contrarie, donde un clima di lotte che sfociano in situazioni estreme di violenza e in abusi»3. Senza amore – conclude –, non vi saranno né giustizia né pace: «L’amore dell’uomo, primo valore nell’ordine terreno, assicura le condizioni della pace, sia sociale sia internazionale, affermando la nostra fraternità universale»4. È giunto perciò il momento di costruire la «Civiltà dell’Amore».
Giovanni Paolo II sviluppa ulteriormente questo insegnamento di Paolo VI: «L’umanità è come a un bivio. […] Una domanda interpella la nostra responsabilità: quale civiltà si imporrà nel futuro del pianeta? Dipende infatti da noi se sarà la civiltà dell’amore, come amava chiamarla Paolo VI, oppure la civiltà – che più giustamente si dovrebbe chiamare "inciviltà" – dell’individualismo, dell’utilitarismo, degli interessi contrapposti, dei nazionalismi esasperati, degli egoismi eretti a sistema»; e conclude a sua volta: «La Chiesa sente il bisogno di invitare quanti hanno veramente a cuore le sorti dell’uomo e della civiltà a mettere insieme le proprie risorse e il proprio impegno, per la costruzione della civiltà dell’amore»5. Papa Woityla ritorna più volte su questo tema, chiarendo le ragioni che rendono necessaria una nuova civiltà, fondata sull’incontro tra giustizia e amore. Per costruire un mondo nuovo – spiega – non ci si può fermare alla giustizia, che Paolo VI definiva «la misura minima della carità»6; infatti l’uomo, oltre che di giustizia, ha bisogno di carità, anzi di perdono, che è il vertice dell’amore. La ragione è – continua Giovanni Paolo II – che «la giustizia umana è esposta alla fragilità e ai limiti degli egoismi individuali e di gruppo. Solo il perdono risana le ferite dei cuori e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati»7.
Nell’enciclica DM sviluppa più ampiamente il suo pensiero: «In nome di una presunta giustizia (ad esempio, storica o di classe), talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani. L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni»8.
Certo – commenta il Papa – la nostra generazione «avverte di essere privilegiata, perché il progresso le offre molte possibilità, appena qualche decennio fa insospettate. L’attività creatrice dell’uomo, la sua intelligenza e il suo lavoro hanno causato profondi cambiamenti sia nel campo della scienza e della tecnica, come nella vita sociale e culturale»9; nello stesso tempo, però, esiste tanto male fisico e morale da rendere il mondo contemporaneo un groviglio di contraddizioni e di tensioni, di minacce contro la libertà e la pace, generando un clima diffuso di inquietudine e di paura10. Ecco perché non basta fare giustizia, ma è necessario che la giustizia sia integrata dall’amore. In altre parole, il nostro tempo, affamato di giustizia, ha bisogno di riconciliazione e di perdono; che è quanto dire: ha bisogno di amore misericordioso, di agàpe. È giunta l’ora della «Civiltà dell’Amore», dell’Amore Misericordioso.
La Chiesa del XXI secolo non solo dovrà annunziarlo al mondo, ma anche dovrà mostrare con la vita e con le opere che il perdono e la misericordia perfezionano la giustizia, in quanto portano gli uomini a incontrarsi sul valore della loro uguale dignità, al di là della mera uguaglianza dei beni. «Un mondo, da cui si eliminasse il perdono [= la misericordia] – conclude l’enciclica DM – sarebbe soltanto un mondo di giustizia fredda e irrispettosa, nel nome della quale ognuno rivendicherebbe i propri diritti nei confronti dell’altro; così gli egoismi di vario genere, sonnecchianti nell’uomo, potrebbero trasformare la vita e la convivenza umana in un sistema di oppressione dei più deboli da parte dei più forti, oppure in un’arena di permanente lotta degli uni contro gli altri»11.
Infatti – spiega ancora Giovanni Paolo II –, «L’eguaglianza introdotta mediante la giustizia si limita, però, all’àmbito dei beni oggettivi ed estrinseci, mentre l’amore e la misericordia fanno sì che gli uomini s’incontrino tra loro in quel valore che è l’uomo stesso, con la dignità che gli è propria»12. Il perdono, quindi, non solo non annulla le esigenze obiettive della giustizia, ma le completa: poiché, se la giustizia dice «compensazione», l’amore misericordioso fa sì che la compensazione sia «degna dell’uomo».
Benedetto XVI, con l’enciclica DCE, va oltre, fino a cogliere la radice ultima dell’insegnamento di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sulla Civiltà dell’Amore. Papa Wojtyla, in particolare, aveva insistito sull’«agire» di Dio, cioè sul fatto che Dio agisce sempre per amore, Papa Ratzinger sposta l’accento sull’«essere» stesso di Dio: Dio agisce sempre per amore, perché è amore. Così, dopo aver distinto l’agàpe dall’eros (cioè l’amore primo, totalmente gratuito e disinteressato, dall’amore secondo, che non esclude la propria soddisfazione), mostra che l’Amore in Dio è un’unica realtà, in cui eros e agàpe si integrano.
La novità stravolgente del Nuovo Testamento sta nel fatto che questo Amore Misericordioso acquista una forma del tutto imprevedibile: quella del Figlio unigenito, che si incarna, cerca e insegue l’uomo peccatore, per abbracciarlo, perdonarlo e salvarlo, immolandosi sulla croce e perpetuando la sua oblazione e la sua presenza nell’Eucaristia. La Chiesa, che continua la missione di Cristo-Amore, non potrà mai fare a meno di annunziare la Carità, di incarnarsi con Lui nel mondo, assumendo su di sé le angosce e le speranze della umanità, dei poveri di tutti i tempi. Questa missione della Chiesa è resa più efficace anche dal fatto che la persona umana non è soltanto ragione e intelligenza, ma «porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta»13.
La rivelazione biblica, dunque, è sconvolgente: «il Creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere ama personalmente l’uomo, lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato da lui. […] il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita, drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi»14. Questo significa Amore Misericordioso.
Di conseguenza, l’annunzio e la testimonianza dell’Amore Misericordioso nel nostro tempo impongono – per usare l’immagine della parabola evangelica – che la Chiesa non si chiuda in sé, non viva ripiegata su se stessa; essa non può essere la Chiesa «clericale», del «levita» che tira diritto per la sua strada, ma deve essere la Chiesa «del samaritano», che fa proprie le sofferenze altrui e si prende cura dei problemi del prossimo, pagando di persona. In altre parole, la Chiesa del XXI secolo si impegnerà affinché amore dell’uomo e amore di Dio, filantropia e carità, eros e agàpe, ragione e fede, giustizia e perdono si incontrino e si integrino nella civiltà dell’amore. Sarà la Chiesa dell’Amore Misericordioso.
(Bartolomeo Sorge S.J.)
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 8 dicembre 2011
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