lunedì 15 novembre 2010

GRAFFITI : Popinas, ganas,lupanaria,ludos


GRAFFITI : Popinas, ganas,lupanaria, ludos


Sabato 6 novembre 2010 su la Repubblica nella rubrica di Augias il prof.. Fabrizio Tonellol del Dipartimento di studi storici e politici di Padova scrive la seguente lettera

“Caro Augias,a volte le letture di pamphlet del 1580 sono illuminanti. Suggerirei la lettura dell'opera «Vindiciae contra Tyrannos» (difese contro i tiranni). Vi si trova una definizione di «tiranno» che non sottoli­nea la crudeltà del personaggio, come aveva spiegato anche Hannah Arendt. Tiranno è colui che «toglie a molti per dare a due o tre favoriti, impoverisce tutti per elargire a quegli insolenti, rovina il bene pubblico per costruire la sua casa». Il tiranno «innalza gente volgare e sconosciuta affinché questi pezzenti, dipendendo to­talmente da lui, lo adulino e si pieghino a ogni sua passione». Non solo, egli «odia gli uomini dotti e saggi» e, «ri­tenendo che la sua sicurezza risieda nella corruzione e nella degenerazione», istituisce «popinas, ganas, lupanaria, ludos» ovvero «taverne, case da gioco, bordelli e giochi, come fece Ciro». Durevole saggezza dei classici an­che se, come in questo caso, di incerta attribuzione.

Aggiunge Augias :

“Visto che siamo sul piano delle citazioni cerco di adeguarmi. Al passo del “Vindiciae contra Ty­rannos” di ascendenza protestante per il quale ringrazio il prof Tonello, aggiungo un altro passo. Johannes Burchard, alsaziano di origine, fu protonotario apostolico e cerimoniere di vari papi tra i quali Alessandro VI (1492-1503). Cosi egli descrive una fe­stosa serata a corte alla quale: «Presero parte cinquan­ta meretrici oneste, di quelle che si chiamano corti­giane e non sono della feccia del popolo [oggi direm­mo Escort?]. Dopo la cena esse danzarono con i servi e con altri, da principio coi loro abiti indosso, poi nude. Terminata la cena, i candelieri che erano sulla mensa furono posati a terra, e tra i candelieri furono gettate delle castagne che le cortigiane nude raccoglievano muovendosi carponi, a quattro zampe. Il Papa, il du­ca e Lucrezia erano presenti e osservavano. Infine furono esposti mantelli di seta, calzature, berrette e altri oggetti, da assegnare in premio a coloro che avessero conosciuto carnalmente più volte le dette cortigiane, ed esse, nella medesima sala, furono pubblicamente godute». Ohibò, dirà qualcuno, ma allora sono cose consuete, si tratta di precedenti che non aggravano anzi alleggeriscono certe situazioni rendendole parte di una tradizione per così dire. È possibile che una cer­ta dose di trasgressione si accompagni sempre all'e­sercizio del potere anche se esistono numerosi esem­pi del contrario. Il punto è se «popinas, ganas, lupanaria, ludos» restano nella sfera privata del potente o se inquinano le istituzioni degradandole. Il che sempre accade quando si «innalza gente volgare e sconosciu­ta affinché questi pezzenti, dipendendo totalmente da lui, lo adulino e si pieghino a ogni sua passione .


Sono andato a cercare Alessandro VI e ho trovato quello che scrive mariapolamacioci in http.// historyblog .com

E’ risaputo che la condotta morale di Papa Alessandro VI non fu mai consona a quella che dovrebbe tenere un uomo religioso, ancor più se a capo della Chiesa Cattolica, ma desta ugualmente una certa impressione sapere che partecipasse addirittura a riti satanici, spesso in compagnia di altri membri della sua discutibile e singolare famiglia.

Si racconta che nella serata del lontano 31 Ottobre 1501, Alessandro VI e la figlia Lucrezia Borgia, abbiano preso parte ad un sabba satanico conosciuto con il nome di ballo delle castagne, ideato da Cesare Borgia, vera anima nera del casato; per ore giovani prostitute nude danzarono davanti agli ospiti alla luce soffusa delle candele, poi, strisciando per terra, raccolsero con la bocca le castagne che erano state sparpagliate sul pavimento.

Testimoni riferirono di aver visto scimmie nere a guardia della porta d’accesso alla stanza papale, nello stesso momento in cui il successore di Pietro firmava un insano patto con il diavolo.

Non a caso, all’inizio del XVI secolo, il diavolo veniva spesso raffigurato con le sembianze di un toro, simbolo dei Borgia.

Difficile stabilire quanto possa esserci di vero e quanto di leggendario in questo aneddoto, ma esso è tuttavia significativo per comprendere appieno quale fosse all’epoca la considerazione popolare sulla famiglia più potente (e crudele) di Roma.

Per me è soltanto una questione di ansia della morte e forse di carpe diem

Mi viene in mente Orazio e il carpe diem . Sembra che tutto debba ridursi appunto al tempo che fugge e la morte che si avvicina


Orazio viene considerato dalla critica come il poeta della serenità e dell’equilibrio in cui ruolo importantissimo è dovuto alla meditazione e alla cultura filosofica. In un certo senso le Odi iniziano laddove finiscono le Satire. Egli ha scritto frasi talmente all’avanguardia e aderenti alla realtà che sono diventate delle vere e proprie massime conosciute in tutto il mondo ancora oggi. Tra le tematiche più importanti troviamo:

1) la brevità della vita cui consegue la necessità di cogliere l’attimo, le gioie del momento senza perdersi in inutili paure e speranze:

“…SAPIAS, VINA LIQUES, ET SPATIO BREVI SPEM LONGAM RESECES. DUM LOQUIMUR, FUGERIT INVIDA AETAS: CARPE DIEM, QUAM MINIMUM CREDULA POSTERO”. (I, 11)

“…Sii saggia: e filtra il vino, e recidi la speranza lontana, perché breve è il nostro cammino, e ora, mentre si parla, il tempo è già in fuga, come se ci odiasse! Così cogli La giornata, non credere al domani”.

Ma il carpe diem non va frainteso come un semplice invito al godimento sfrenato del piacere in quanto in Orazio tale invito non è separato dalla consapevolezza della caducità del piacere stesso così come caduca è la vita dell’uomo. Di fronte all’incalzare della morte o della disgrazia, bisogna allora proteggere la felicità già vissuta:

“…ILLA POTENS SUI LAETUSQUE DEGET CUI LICET IN DIEM DIXISSE: : CRAS VEL ATRA NUBE POLUM PATER OCCUPATO

VEL SOLE PURO: NON TAMEN INRITUM, QUODCUMQUE RETRO EST, EFFICIET NEQUE DIFFINGET INFECTUMQUE REDDET QUOD FUGIENS SEMEL HORA VEXIT” (III, 29)

“…è signore di sè ed è felice Chi può dirsi ogni giorno: . Domani il Padre salirà al cielo Nel buio delle nubi o nel sereno,

ma non farà mai sterile nulla di ciò che resta dietro a noi, non scomporrà, non vanificherà ciò che ha portato l’ora fuggitiva”.

2) la faticosa conquista della saggezza. Il poeta-saggio vive una condizione di “autàrkeia” di serenità in quanto libero dai tormenti della follia umana e benedetto dagli dèi. E tuttavia neanche la saggezza, la serenità, l’equilibrio sono beni sicuri, acquisiti una volta per sempre. Orazio conosce bene i tormenti della passione e le debolezze dell’animo umano e ciò comporta una sorta di scontro tra saggezza e i dati immutabili della condizione umana come la fugacità del tempo, la vecchiaia, la morte. Nessuna saggezza può eliminare tante brutture ma contro di esse si può lottare per trasformare l’inquietudine in accettazione del proprio destino. 3) La poesia civile. Orazio celebra personaggi soprattutto legati al regime augusteo con una originalità basata sull’unione di spunti nazionali con elementi provenienti dall’epica e dalla storiografia e in cui Augusto viene visto come il massimo garante della pace e sul quale egli riversa tutte le proprie speranze frutto non di semplice propaganda dell’ideologia augustea ma di sincera gratitudine nei confronti del principe vincitore. 4) Il moralismo oraziano. 5) La poesia amorosa. A differenza di poeti come Catullo o gli elegiaci, Orazio mostra nei confronti del tema amoroso un distacco nutrito d’ironia la quale tuttavia non ignora la passione ma ne conosce la crudeltà e la rievoca con malinconia.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, Lunedì 15 novembre 2010

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