sabato 20 novembre 2010

SILLABARI : Spreco (III) Cibo e superficie agricola

SILLABARI : Spreco ( III )Cibo e superficie agricola

[Contributo tratto da www.blogeko!.it ]

Ogni anno nel mondo l’urbanizzazione, l’industrializzazione e il degrado del suolo inghiottono una superficie agricola pari a quella dell’Italia tutt’intera, città e boschi compresi.

Lo ha detto giovedì alle Nazioni Unite Olivier De Schutter, delegato per il diritto all’alimentazione, presentando gli ultimi aggiornamenti in materia.

E’ ovvio domandarsi come la Terra possa sfamare un numero crescente di bocche con un’estensione di campi più ridotta. E non solo. I piccoli contadini, ormai estinti in Italia, sono in difficoltà in tutto il mondo. Gente in grado di produrre da sè ciò che mangia(va). E’ un passo in avanti? Ciascuno si faccia la sua opinione.

Oggi 500 milioni di piccoli e medi contadini in tutto il mondo soffrono la fame anche perchè non riescono più a coltivare una sufficiente estensione di terra, ha detto Olivier De Schutter.

Patiscono la concorrenza vincente da parte delle grandi aziende agricole e del land grabbing - l’abitudine di trattare la terra come se fosse l’orto dei ricchi – e i loro campi sono sempre più confinati verso le zone aride o prive di irrigazione.

E non c’è solo il problema dei campi sottratti ai piccioli contadini. Ogni anno la Terra perde 30 milioni di ettari di terreno coltivabile. Cioè una superficie quasi esattamente pari a quella dell’Italia tutt’intera.

Sul sito delle Nazioni Unite l’intervento di Olivier De Shutter a proposito del terreno coltivabile. E’ a pagina 8, all’interno del resoconto delle attività svolte giovedì scorso

Produzione di cibo e ambiente sono due facce della stessa medaglia. Non ci può essere sicurezza alimentare senza sicurezza climatica.

Due giorni fa i grandi della Terra hanno deciso che dalla conferenza sul clima di Copenhagen non uscirà nessun accordo vincolante per ridurre le emissioni di gas serra.

E ora il vertice della Fao in corso a Roma non sta producendo alcun impegno preciso contrastare la fame. Che cresce vertiginosamente.

Le Nazioni Unite volevano dimezzare il numero degli affamati entro il 2015. Due anni fa non avevano abbastanza da mangiare 800.000.000 di persone. Ora sono oltre un miliardo. Il documento approvato nel summit di Roma non parla nè di soldi nè di scadenze per contrastare il fenomeno.

La ricetta della Fao sarebbe investire sull’agricoltura, diciamo, tecnologica. Che però dipende strettamente dalla disponibilità di energia – fino a quando sarà abbondante e a buon mercato? – e che finora ha partorito disastri ambientali: inquinamento, sfruttamento insostenibile delle falde acquifere, perdita dello strato fertile e superficiale del suolo.

Ma la produzione di cibo è minacciata anche da altri fattori ambientali. Innanzitutto l’effetto serra e l’aumento delle temperature: il vertice Fao di Roma ha semmai solo sfiorato il problema. In ogni caso, per vedere impegni concreti su questo versante il mondo dovrà aspettare minimo minimo un altro anno, visto che nulla uscirà da Copenhagen.

E poi, secondo me il vertice Fao ha tralasciato un altro aspetto cruciale. L’allevamento intensivo del bestiame. Tutti i giorni o quasi la bistecca approda sulle tavole occidentali, ma l’allevamento è fra le maggiori fonti di gas serra – addirittura la maggiore in assoluto, secondo alcuni studi – e gli animali da carne ingoiano molte, moltissime più sostanze nutritive e ce ne restituiscono poche una volta macellati.


Mi soffermo su questi aspetti perchè secondo me la produzione di cibo – la mancanza di cibo – è il maggior problema economico, ecologico e sociale verso il quale si intrecciano e convergono tutti i nodi del XXI secolo. Non che fosse lecito aspettarsi grandi soluzioni, e immediate, da un vertice Fao. Però almeno ragionare sulla complessità…

Aumentano scandalosamente gli affamati, come dice la Fao. Ma proprio adesso che bisognerebbe moltiplicare i raccolti, l’agricoltura si rivela un modello insostenibile per motivi legati all’inquinamento e alla disponibilità di energia.

Bel ginepraio, non vi pare? Mangiare è il bisogno fondamentale. Ma già ora il maggiore problema ecologico, economico e sociale è la mancanza di cibo, e le nuvole nere che si addensano sulla sua futura produzione non ricevono l’attenzione che meritano: o almeno, così mi pare.

Alla vigilia del summit mondiale per la sicurezza alimentare, la Fao ha reso noto che gli affamati nel mondo sono saliti ad oltre un miliardo (due anni fa erano calcolati in 800.000.000) e ha chiesto di moltiplicare per sei gli aiuti destinati all’agricoltura.

Bisognerebbe investire 44 miliardi di dollari nella produzione di cibo, dice, contro i 7,9 miliardi attuali: soldi da spendere in irrigazione, attrezzature al passo coi tempi, sementi, fertilizzanti, strade e ferrovie.

Sistemi produttivi moderni ed efficienti: in sostanza è questo che chiede la Fao. Ma la moderna agricoltura chimica, intensiva e industriale è insostenibile e ha partorito un disastro ambientale, si legge rapporto “Agriculture at a crossroad” pubblicato da Greenpeace International sempre in previsione del summit per la sicurezza alimentare.

Non è possibile andare avanti in questo modo, dice Greenpeace. L’unica via d’uscita passa per l’agricoltura ecologica dei piccoli produttori: è questa, sostiene l’organizzazione, che attualmente sta sfamando il maggior numero di persone, è questa che va supportata.


Ma non è solo una questione di distruzione delle foreste per far posto a campi e pascoli e di inquinamento che dai concimi di sintesi e dagli insetticidi si diffonde nell’ambiente. A mio parere, l’attuale modello di agricoltura andrà urgentemente abbandonato anche per motivi legati alla disponibilità di energia

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Siamo ormai al “picco del petrolio”, scriveva il Guardian solo l’altro giorno, e nessuno ha ancora messo a punto un’alternativa, dal momento che i dati sulla futura produzione petrolifera sono stati mascherati per non scatenare il panico.


Così l’agricoltura intensiva che ora la Fao chiede di aiutare dipende dal petrolio e dagli altri combustibili fossili. La maggior parte dei trattori funziona a benzina o gasolio. Le pompe d’irrigazione utilizzano gasolio, gas naturale o elettricità prodotta dal carbone.

Anche la produzione dei fertilizzanti è energeticamente dispendiosa. Il gas naturale viene impiegato per sintetizzare l’azoto che costituisce la base dei fertilizzanti azotati. L’estrazione, la lavorazione e il trasporto internazionale dei fosfati e del potassio dipendono interamente dal petrolio. Tutte cose scritte da Lester Brown nel secondo capitolo del suo penultimo libro, “Piano B 3.0″.

Aggiungeteci l’energia per lavorare industrialmente il cibo, conservarlo, impacchettarlo e farlo viaggiare per tutto il globo e avrete un quadro abbastanza esatto della situazione.

Sfamare il mondo è indispensabile e urgente. Ma è indispensabile e urgente anche slegare la produzione agricola dalla chimica e dall’impiego di altre quantità di energia. Bel ginepraio, non vi pare? Secondo me dirlo chiaro è il primo, indispensabile passo per trovare una via d’uscita.

L’Occidente spreca quasi la metà del cibo, in moltissimi casi anche prima che arrivi nei supermercati. Questo è il messaggio che vuole trasmettere il film documentario Taste the waste, di Valentin Thun che racconta l'enorme spreco di cibo di alcuni Paesi nel mondo. L’Unione Europea butta ogni anno 90 milioni di tonnellate di cibo. Europa e Nordamerica bruciano una quantità di cibo tre volte superiore a quella che servirebbe per dar da mangiare a tutti gli affamati del mon




Eremo Via vado di sole , L'Aquila, 20 novembre 2010

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