domenica 14 agosto 2011

SETIMO GIORNO : Coraggio, sono io, non abbiate paura.




SETIMO GIORNO : Coraggio, sono io, non abbiate paura.

“Coraggio, sono io, non abbiate paura “ è l’esortazione del Signore ai suoi discepoli che dalla barca sul mare in tempesta mostrano tutta la loro paura. Una esortazione che contiene in sé il dono della misericordia di Dio che è poi in definitiva il dono di uno sguardo libero sul presente,uno sguardo fiducioso , per avanzare senza paura verso Cristo che ci chiama , ci attende e ci tende la mano.

Ho detto avanzare perché da una parte è così mentre dall’altra, va riconosciuto che non siamo noi ad avanzare ma è Cristo a venirci incontro. Camminando anche sulle acque di quel mare che per gli ebrei è simbolo di morte. Non si può vivere nel mare ed ecco perché Cristo ci muove incontro perché è colui che domina il mare, fonte di morte come il peccato ,che domina la morte causata dal male.

Matteo ( 14,22-339 ci mette in evidenza, è in definitiva l’esperienza di ciascuno di noi , di tutti noi che siamo in grado di camminare sulle acque fino ad un certo punto ,possiamo dire con “alti e bassi 2 e troppo spesso rischiamo di affondare in quel mare, di essere risucchiati. Quella di Pietro che sta per essere risucchiato dal mare ,appunto simbolo di morte, è l’esperienza di ciascuno di noi quando il dubbio ci assale. Quando la fragilità, l’incostanza, la paura, ci fanno perdere l’equilibrio, ci trascinano via.

E se come Pietro siamo in grado di sussurrare, dire, gridare, “Signore salvami”,allora forse abbiamo fatto il più grande atto di fede di cui siamo capaci. Ossia ci siamo messi nella stessa condizione di Pietro per il quale è sempre possibile andare oltre ossia cercare una ulteriore possibilità di perdono e quindi di salvezza. C’è sempre una possibilità ulteriore dunque.


Perché il Signore non viene nel vento “impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce “ , non viene nel terremoto o nel fuoco che sono attributi di altre divinità se negativi. Il Signore viene nel bene identificato con il sussurro di una leggera brezza. E allora Elia di cui al Primo libro dei Re leggiamo il viaggio , si copre il volto . Anche in questo caso il signore si rivela ad Elia in un momento drammatico della sua vita ,come spesso è avvenuto ed avviene nella nostra vita. Quell’Elia che compie un lungo viaggio ed ha come solo nutrimento un pane prefigurazione di quell’altro pane di vita che Cristo ci donerà con il suo corpo, quell’Elia che fa così esperienza di Dio in modo diverso da Pietro e altri discepoli e anche da noi stessi .

Una esperienza in cui la montagna assume un senso e un valore .

Scrive Gian Franco Scarpita :”Il monte Sinai è il luogo in cui Mosè riceve da Dio le famose Tavole della Legge; l'Oreb era stato per lo stesso Mosè il monte della divina vocazione ad essere intercessore per il popolo di Israele; il Tabor è la dimensione geografica nella quale Pietro, Giacomo e Giovanni fanno esperienza della divinità di Cristo nel fenomeno della trasfigurazione, mentre l'annuncio delle Beatitudini secondo la versione matteana (differente da quella di Luca, che lo fa' proferire in pianura) scaturisce dalla cima di una montagna. Il monte assume insomma nella Scrittura una chiara connotazione teologica come luogo in cui Dio rivela all'uomo se stesso, comunicandogli la sua presenza rassicurante e non di rado la sua Parola formativa.


Anche nella liturgia di oggi ,diciannovesima settimana del tempo ordinario, si fa esperienza del divino nella particolare dimensione geografica di altura: Elia, dopo aver trascorso una notte all'interno di una caverna ubicata nel monte da lui scalato (guarda caso ancora l'Oreb), è protagonista dell'incontro speciale con il Signore, mentre Gesù predilige lo spazio della montagna per vivere il suo allentamento dal mondo in quella dimensione di familiarità con Dio che è la preghiera. In ambedue le circostanze vi è il riferimento ad una località montana, nella quale si intravede la possibilità dell'intimità con Dio, ma possiamo soffermarci su una ulteriore caratteristica particolare che è l'episodio della chiamata diretta al monte, di cui è destinatario Elia: "Fermati sul monte, alla presenza del Signore".

Il profeta viene appositamente invitato a soffermarsi sul monte; qui non si verifica alcun evento eclatante di teofania (= manifestazione del divino) dal punto di vista cosmico e sovrannaturale quale potrebbe essere il fuoco (vedi Mosè) o la luce, o il tuono, ecc, bensì semplici eventi attraverso i quali la natura fa il suo legittimo corso: il vento, il terremoto e il fuoco. A dire il vero, chiunque avesse ricevuto un invito da parte del Signore a "fermarsi alla sua presenza" sarebbe stato immediatamente proclive ad individuare Dio proprio in questi elementi sconvolgenti: in simili circostanze chi non sarebbe tentato di pensare ad una manifestazione divina? Di fronte alla straordinaria potenza di un vento impetuoso capace di distruggere perfino le rocce, o di un terremoto improvviso, o ancora di un fuoco dirompente, chi non penserebbe immediatamente ad una manifestazione insolita da parte di Dio? Da aggiungersi peraltro che nella Scrittura fuoco, vento e terremoto sono elementi costitutivi della manifestazione straordinaria del divino (Cfr per esempio At 2, 1 -6) e pertanto per il nostro profeta sarebbe stato del tutto legittimo e comprensivo riscontrare il Signore in uno di questi fenomeni. Eppure Egli non si manifesta nel vento, nel fuoco o nel terremoto, bensì in una folata di vento leggero, vale a dire nella consuetudinarietà degli eventi naturali e per ciò stesso nell'ordinarietà delle cose. Commentare questo episodio del Primo Libro dei Re è molto facile e chissà quante conclusioni interessanti vengono tratte da parte nostra tutte le volte che ci si sofferma su questo passo biblico, vuoi attraverso la meditazione personale, vuoi nell'organico dei lavori di gruppo dei campi estivi; e certamente una delle considerazioni che più volte sono state apportate è la seguente: anche se potrebbe farlo attraverso eventi straordinari, Dio si manifesta sempre nell'ordinarietà del nostro quotidiano.

E tale intuizione è esatta: come nel caso del profeta Elia, ancora oggi avviene che, mentre da parte nostra si procaccia la Sua presenza "nel fuoco e nel terremoto", ossia nelle dimensioni di grandezza e di straordinarietà miracolistica, a volte pretendendo esternazioni di tangibile ineluttabilità da parte sua, questo Dio pur potendo assecondarci tranquillamente in siffatte pretestuosità ci rivolge continuamente l'invito a "fermarci sul monte", cioè a distanziarci dalle nostre abitudini e dai criteri puramente egocentrici della nostra fede presunta, e tuttavia a volerci allontanare dal clamore per poter riscontrare la sua presenza nelle dimensioni ordinarie della vita e in tutte le consuetudini che caratterizzano la nostra giornata quali il lavoro professionale o casalingo, la scuola, il divertimento, la malattia, la salute, il dolore... perfino nel lutto. Il nostro è insomma un Dio che ci si propone nella vita di tutti i giorni e che vuole entrare nella nostra storia di uomini singoli e collettivi

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, domenica 7 agosto 2011

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