STORIE E VOCI DAL SILENZIO . Arpino Gerosolimo ricorda Tiziano Terzani
“Ormai mi incuriosisce di più morire. Mi rincresce solo che non potrò scriverne”Così Tiziano Terzani, scrittore e giornalista fiorentino morto nel luglio del 2004, si confidava in una delle sue ultime interviste. Lo scorso mese di aprile Sulmonacinema ha raccontato con un evento nell’evento la straordinaria avventura di un uomo e di un narratore qual è stato Terzani . Ha raccontato attraverso la voce di Arpino Gerosolimo la storia di una’micizia e la storia di una vita. L’amicizia tra Arpino e Tiziano, la storia di una vita quella di Tiziano . Alla proiezione del film a lui dedicato e ispirato, “La fine è il mio inizio”, si è aggiunto infatti i al Nuovo Cinema Pacifico, l’inaugurazione di una mostra: una raccolta storica di articoli da lui firmati su testate nazionali (L’Espresso, Left, Alisei) e di lettere che testimoniano la trentennale amicizia con il sulmonese Arpino Gerosolimo.
E quindi è stato proprio Gersolimo, tra un aperitivo nello spazio bar-cinema e la proiezione del documentario “Anam, il senzanome”, a ricordare la straordinaria figura di Terzani, un uomo, profondo conoscitore del mondo e della filosofia asiatica, che ebbe la forza di riscattare le sue umili origini e di affrontare con coraggio la sua lunga malattia. «Mi rilasciò nel corso dei trenta anni di amicizia – racconta Arpino Gerosolimo – due interviste che mi pregò di pubblicare dopo la sua morte».
Due interviste da pubblicare dopo la sua morte è quello che mi ha ricordato oggi ilmio amico Arpino Gerosolimo quando ci siamo sentiti per telefono. In quest’agosto assolato e assonnato ,in un pomeriggio di agosto sentire nel silenzio di una città come L’Aquila , ormai deserta e silenziosa da tanto tempo, la voce di Arpino mi ha quasi emozionato. E poi mi ha emozionato ancora di più quanto abbiamo ricordato Tiziano Terzani .In quest’eremo di Via vado di sole dove fortunosamente vivo dopo il terremoto con ogni umano e spirituale conforto , questa di oggi è un’avventura straordinaria.
Vado così a cercare una intervista rilasciata da Tiziano ad Arpino sul tema della montagna pubblicato sulla rivista Left
Ho trovato il testo del colloquio di Arpino con Tiziano su left35, 29 agosto 2008 http://www.avvenimentionline.it/pdf/35_29-08-2008.pdf
E’ un colloquio del 1992 mai pubblicato con il famoso inviato scomparso quattro anni fa. Il mestiere di cronista e la storia degli uomini,il Vietnam,la Cinae la caduta dell’impero russo.
Agosto ’91, ti ritrovi a essere l’unico testimone occidentale del crollo dell’Unione Sovietica, attraverso le regioni più remote. Da questa straordinaria esperienza è nato il tuo libro, BuonanotteSignor Lenin. Nel 1975 sei quasi l’unico giornalista a rimanere a Saigon, dopo la presa comunista della città. Da quest’ultima ed eccezionale esperienza scrivi Giai Phong! La Liberazione di Saigon, considerato uno dei testi più importanti per capire la questione vietnamita. Ecco, da queste esperienze “uniche”come ne sei uscito?
Con la convinzione che per essere puntuali agli appuntamenti con la storia bisogna avere due cose: fortuna e un sacco in spalla. Nell’estate del ’91 avevo l’una e l’altro. Ero partito per un viaggio che
avrebbe dovuto portarmi alla fine geografica dell’impero sovietico e d’un tratto mi trovai a viaggiare verso la fine storica, la fine di un’epoca. Ero partito per una spedizione lungo i 4.500 chilometri del fiume Amur, mi aspettavo due settimane senza drammi e al massimo speravo di scrivere un resoconto di viaggio; ne sono venuti fuori due mesi di avventure e un libro.
Tutto grazie alla fortuna, al fatto di essere là dove la storia faceva figli, e al fatto di avere un sacco in spalla con tutto il necessario per registrare, fotografare, tenere un diario ed essere libero. L’istintoaiuta anche. Quando sentii del colpo di Stato contro Gorbaciov automaticamente pensai di andare aMosca, poi l’istinto mi disse di rimanere dov’ero. A Mosca ci andavano tutti i giornalisti e io sarei finito per essere uno dei tanti. Là dov’ero, invece, nella periferia, nelle budella dell’impero, ero l’unico. Mi successe qualcosa di simile il 30 aprile 1975 a Saigon. Lì gli altri giornalisti scappavano,si facevano portare in salvo dagli elicotteri americani. Io, per istinto, sentii che dovevorestare, che non mi sarebbesuccesso nulla, tranne di essere testimone di uno degli eventi di svolta della mia generazione: la fine della guerra del Vietnam. Esperienze uniche? Si certo. Ma quel cheè importante è capire che ogni “oggi” diventa “ieri” e che quel che ora ti pare banale e senza senso, domani diventa storia e si colora di quella struggente nostalgia di ogni passato. Che cosa hanno fatto di me queste “unicità”? Mi hanno dato una grande coscienza del tempo e del suo trascorrere.
Fai parte di quella esigua schiera di giornalisti “al limite”, sempre nelle zone più a rischio.
Espulso dalla Cina e arrestato dalle autorità di questo Paese per la tua professione considerata “controrivoluzionaria”, come vivi la tua “occidentalità” in Asia?
Per me essere giornalista non è un mestiere, è un modo di vivere. E quel modo di vivere mi è stato più facile in Asia che altrove. Per questo ci sono rimasto. Mi pareva d’avere molto da scoprire, che c’era spazio per l’avventura. In questo senso sono rimasto sempre un “occidentale”, pur di volta in volta cercando, da camaleonte, di camuffarmi con la società in cui vivevo.
Non c’è modo migliore per sentire la zuppa che tuffarcisi dentro. Per capire una società bisogna immergersi, parlarne la lingua, avere rapporti il più naturale possibile con i locali. Ai cinesi questo mio travestimento da “cinese” non piacque, per questo infondo in fondo mi arrestarono e mi misero alla porta. Sono rimasto occidentale nel senso che non ho mai rinunciato a essere osservatore e che anche i travestimenti mi sono serviti a questo, non a diventare un asiatico,a pensare come tale.
Questo mi sarebbe impossibile. strano, ma son nato fiorentino, ho vissuto a Firenze fino all’età di 18 anni e poi mai più, eppure stranamente,dopo quasi un quarto di secolo in Asia, mi scopro sempre più fiorentino.
I tuoi colleghi vivono la propria professione “elettronizzata”, anche all’estero si muovono molto poco e hanno tutto a disposizione. Tu invece la vivi al contrario. Parti per poi non sapere del ritorno,in zone molto particolari. Cosa puoi dirmi su questo?
Per me ci sono come due mondi: quello delle immagini che vengono portate nella tua stanza da pranzo dall’elettronica e dalla televisione e il mondo vero, quello dove le cose hanno odori, la gente
passioni e il sangue di uno sgozzato non ha quell’aria fluorescente e accettabile che ha sullo schermo. La maggior parte della gente vive nel primo mondo e prende quello come la realtà e non come la sua rappresentazione. Ma è altrettanto vero che sempre più gente è stufa di quel che vede e cerca qualcosa d’altro.
Pensa all’idea del viaggiare. I più ormai, anche quando prendono un aereo per fare migliaia di chilometri, non fanno che andare in giro nel mondo fasullo delle immagini, vedono lo stesso mondo
che hanno già visto alla televisione e presto se ne stufano.
Hanno anche ragione. Come si può accettare di attraversare barriere ben più ardue che quella del suono - diciamo la barriera della cultura - in poche ore, senza grande preparazione, senza lasciare niente all’imprevisto? A viaggiare in quel modo si ha sempre di più la sensazione che il mondo è tutto uguale e che ogni Paese comincia con un free duty shop. I giornali? I più ormai non fanno che ri-raccontare quel che i lettori hanno già visto alla televisione. Finito dunque il ruolo dell’inviato? Secondo me, no. Anzi. Proprio perché le cose stanno come stanno, ci sarà prima o poi una grande richiesta di una diversa visione delle cose, di quelli che raccontano gli odori, le passioni e il loro senso. Non mi sentirò l’esemplare di una razza in estinzione finché mi parrà che ci sono dei giovani interessati a questo modo di guardare alla vita.
Ormai l’Asia è la tua patria: ritorneresti in Italia per la tua professione? Oppure vuoi ancora dal “di dentro” osservare come va il mondo?
Tornare in Italia? A Firenze? Ho una grande nostalgia. Ho bisogno di quella nostalgia, ma so anche chenon la debbo soddisfare. Se lo facessi finirei d’essere quel che sono: un viaggiatore
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 8 agosto 2011
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