BIBLIOFOLLIA : Furti d’autore

La prima regola di prudenza è copiare dagli stranieri :” prendere dai connazionali è fare
bottino, ma prendere dagli stranieri è fare conquiste” scriveva ragionevolmente nel Seicento il cavalier Marino. Meglio ancora, rubare dai classici: «ciò che è studio nel caso degli antichi è furto nel caso dei moderni», decreta poco dopo Georges de Scudéry, che non esitava a attribuirsi gli scritti della sorella. «Prendere dagli antichi è come fare i pirati al di là dell'Equatore, ma rubare nella propria epoca è come strappare mantelli di notte a Parigi sul Pont-Neuf", rincara il filosofo libertino La Mothe-le- Vayer.
Ma nella Repubblica delle Lettere chi si astiene dall'imitazione, dalla citazione non confessata? Nessuno, opina nel 1812 Charles Nodiér, in un piccolo saggio esilarante che è uscito per la prima volta in Italia da :due punti edizioni (pagg. 110, euro 9), nella cura di Andrea L. Carboni: Crimini letterari, Questioni di letteratura legale. Del plagio. Delle contraffazioni che riguardano i libri. .

Scrisse molto, romanzi e bei saggi sul fantastico e il sogno; adottò la squisita eleganza scapigliata dei primi romantici, e trasformò la biblioteca dell' Arsenal di Parigi, che dirigeva grazie al reazionario conte d'Artois - futuro CarIo X -, in un focolaio della nuova scuola. I giovani romantici conoscevano l'inglese: andavano a leggere Byrone Scott nella soffitta del pittore Délécluze. poi si trasferivano da Nòdier all'Arsenal, . dove ballavano il valzer e ascoltavano rapiti Victor Hugo.
A trent'anni, Nodier scrisse sul plagio, fingendo di denunciarne l'uso: ma per ammettere che, tra . imitazioni, allusioni, citazioni, interpolazìoni, pastiches, tradizioni, echi, riprese e filiazioni, tutta la Repubblica delle Lettere è un immenso campo di falsari," un furto ininterrotto". E non è detto, in questi crimini seriali commessi dalla letteratura, che il lettore sia la vittima.

Così, Nodier mostra Corneille mettere in rima Montaigne che copia Seneca, e è usato da Pascal “nessuno raggiunge Pascal nell'audacia del ladrocinio»,e poi da Voltaire(Alzire) e da Rousseau. Corneille "traduce servilmente" nel suo Héraclius (IV, 4) i versi, vecchi di vent'anni; di Calderon de la Barca (En esta vida todo es verdad, y todo mentirai: «O triste Phocas! O troppo felice Maurice!
Tu trovi due figli che muoiano dopo di te! I lo non posso trovarne uno che regni dopo di me».
Ma tra grandi, citarsi è un tributo di stima. «Guai però al plagiario», argomenta Nodier, «se è troppo grande la sproporzione tra quel che ruba e ciò a cui lo incolpa». Inutilmente perciò si doleva Voltaire dì un tal padre Barre, di cui nessuno si ricorda, che gli aveva rubato duecento pagine della sua Storia di Carlo XII; e invano l'abate Reynal, sempre nel Settecento, tentò di costruirsi una reputazione ai danni del disinteressato Diderot .
. L'Ottocento dell'Io irripetibile si occupa così, sorridendo, delI'autore e della proprietà dell'opera d'arte. Nel Novecento, il secolo di tutte le sperimentazioni, Cocteau teorizzò, nel 1926, il Ritorno all'ordine del classicismo. Citava l'amato Raymond Radiguet, scomparso ancora ragazzino da un lustro. Radiguet caldeggiava la ricerca della banalità: “bisogna scrivere come tutti gli altri”si deve «copiare».

Daria Galateria Furti d’autore la Repubblica 7 luglio 2010

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