OCCHIO DI GIUDA :Antigone, vent’anni dopo
Vent’anni non sono pochi. Abbastanza per diventare adulti, «poi ti volti a guardarli e non li trovi più». Ma i nostri vent’anni, invece, stanno lì: statuari, immobili, tetragoni, e coprono come una lunga ombra il nostro presente. Solo l’impossibilità della prova contraria (sarebbe andata meglio se non ci avessimo messo le mani?) ci mette al riparo dal prendere in prestito l’adagio del vecchio Bartali: “tutto sbagliato, tutto da rifare!”.
Vent’anni dopo la nascita di Antigone (“un’associazione per il diritto penale minimo”, sintetizzava un caro amico nei conciliaboli che la preparavano), la popolazione detenuta è raddoppiata, quella sottoposta a misure di controllo penale triplicata, mentre lì a fianco è cresciuto un mondo di privazione della libertà di persone incolpevoli (e neppure sospettate di esserlo), ma giudicate meritevoli di un simile trattamento per solo per il loro status, per la loro incerta (e sgradita) cittadinanza, per le loro lingue, culture e religioni, per il colore della loro pelle.
Tremebondi, vent’anni fa, in Parlamento si discuteva dell’introduzione di un regime di isolamento per i capi-mafia: rigorosamente individuale, temporaneo nell’applicazione, addirittura transitorio nella legislazione. Oggi, a ogni stormir di fronda, si invoca quel “carcere duro” di cui politici e giuristi avevano legittimamente timore vent’anni fa.
Vent’anni fa un nuovo codice di procedura penale ci introduceva al sistema accusatorio, a una auspicata parità tra accusa e difesa. Oggi (come cent’anni fa) di codici ne abbiamo almeno due, uno per i cafoni e uno per i signori, “uno per i garantiti e uno per i giustiziati” come ripete un altro nostro vecchio compagno di strada.
Vent’anni fa la caduta del muro di Berlino aveva illuso molti che lo stato socialeeuropeo ne sarebbe rimasto indenne. Invece la sicurezza sociale è stata soppiantata dalla prevenzione del rischio di vittimizzazione e la tolleranza zero è diventata il nostro pane quotidiano. Lo stato sociale ha lasciato il posto a quello penale e, nonostante galere e centri di detenzione pieni fino all’orlo, siamo tutti più soli e più insicuri.
Qui come altrove la destra ha soffiato sul fuoco della paura e della insicurezza, mietendo consensi e potere. Qui come altrove la sinistra ha subìto e condiviso, pensando di cavalcare la tigre ed essendone, invece, divorata ogni volta che al voto gli elettori hanno preferito l’originale alla sua pallida copia.
Avevamo ragione noi, quando dubitammo di manifestazioni popolari che invocavano più manette per tutti (o almeno per qualcuno). Avevamo ragione noi, quando denunciammo il piano inclinato del primo “pacchetto sicurezza” voluto dal centro-sinistra al governo. Avevamo ragione noi, quando denunciammo il pregiudizio nascosto nel nuovo diritto penale d’autore, contro i tossici, gli immigrati, i recidivi. Oggi si raccolgono i frutti di vent’anni di cinismo e miopia. Ma se la ragione postuma è la soddisfazione inutile che si dà ai fessi, mettiamola pure da parte e guardiamo avanti, all’insostenibilità del regime repressivo e poliziesco messo su nella crisi dello stato sociale e alla necessità di rispondere altrimenti alle domande e ai bisogni di sicurezza e coesione sociale.
Fonte :(Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella, il manifesto 19 maggio 2011)
Mentre ci si affannava a riformare la giustizia per evitare pene all’ex premier e alla sua banda, il sovraffollamento delle carceri _ problema vero, drammatico - ha raggiunto livelli senza precedenti. Secondo i dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il 31 gennaio 2011 i detenuti in Italia erano 67.634 (quasi il doppio di vent'anni fa), a fronte di una capienza regolamentare di 45.165.
Un tasso di sovraffollamento del 149 per cento, che ci pone al terzo posto in Europa, dopo la Bulgaria (155,6 per cento) e Cipro (152,7). Numeri mai registrati prima. E in seguito al ricorso di un detenuto, la Corte europea dei diritti dell 'uomo ha addirittura condannato l'Italia per reato di «tortura», considerando il sovraffollamento una pratica di per sé «inumana e degradante». Che acuisce i problemi endemici delle carceri, già aggravati dalla crescente penuria di fondi: peggiorando le condizioni sanitarie; riducendo le attività che consentono di uscire, durante il giorno, da celle gremite; accentuando i casi di autolesionismo ...
A battersi per i diritti nelle carceri c'è l'associazione Antigone, che gestisce un Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione e pubblica un rapporto annuale, con cui informa e fa lobbing. «L'Italia è incapace di affrontare il sovraffollamento se non con le amnistie», spiega Alessio Scandurra, coordinatore dell'Osservatorio. «Bisogna invece adottare più spesso sanzioni alternative al carcere - dagli arresti domiciliari ai soggiorni obbligati - che sono efficaci e costano meno». In mancanza di un garante dei detenuti (pur previsto dall'Onu), Antigone ha anche istituito un «difensore civico» che denuncia le carenze. Finora si è fatto tramite di 1200 casi, citando in giudizio lo Stato per trattamenti che violano la Convenzione dei diritti dell'uomo. Si può aderire ad Antigone (www.associazioneantigone.it) o destinarle il5 per mille delle nostre tasse (co¬dice fiscale: 97117840583)
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 7 marzo 2012
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