domenica 3 luglio 2011

DIARIO DI UN TERREMOTO . Diario per certi versi in poesia e per certi versi in prosa 14,15 e 16 agosto 2009

DIARIO DI UN TERREMOTO . Diario per certi versi in poesia e per certi versi in prosa 14,15 e 16 agosto 2009

L’Aquila, 14 Agosto 2009

Al risveglio dopo quattro mesi dal terremoto

che nessuno ha smosso una pietra

che solo i vigili del fuoco hanno fatto

qualcosa e il Governo nazionale

li ha presi a sassate

è stato come battere il culo

per terra

addio osso sacro per il dolore

che mazzata tra capo e collo

la più gran mazzata che ci sia

ma non me ne frega niente lo stesso

che tanto il loculo al cimitero

me lo sono comprato quando è morta

Annamaria

e per giunta pure a Sulmona che pure

il cimitero a L’Aquila a momenti

è inagibile tombe classificate a bi e ci

e così resteranno per i prossimi venti

anni

e che ci campo ancora vent’anni

che sarei stato senza casa e senza tomba;

la durezza e la tenerezza

di quella casa piena di ansiosi piaceri

e di piacevoli ansietà

le lacrime mute di una intera generazione

le lacrime per questa città

deposte in una tazzina di caffè

evaporate presto presto

in questo mutevole sogno di vivere

sprecato .

Penso a tutte le cose che ho pensato

in questi giorni

e divento matto

io lo sapevo che questo era amore

amore per una città

anche se sulle cartoline con i sorrisi

i baci e i bronci

era amore per il quale chiedere perdono

in giro per i borghi ,per le case

sotto i portici nei giardini

e dire al vento e dire al sole di questa

città

ti mancherò ma va bene così

e da te che me ne devo andare

io lo so che il sole non deve tramontare

a volte solo scompare

ma non la pensano tutti così

non la pensano tutti allo stesso modo

ed è un bene, ed è proprio bene

che ognuno la pensi a modo proprio

e non la pensi come la tivvù

che allora tutti la pensano allo stesso modo

ed è un male, è proprio un male.

L’Aquila, 15 Agosto 2009

Molte solitudini esistono

quella del blu profondo e del giallo lontano

ora esiste la solitudine

di questa città dalle insegne spente

dai negozi chiusi, delle strade silenziose

questa è la solitudine della luce

bianca e vuota

che ogni riflesso di colore è spento.

Da anni in questa città non

dimorano i poeti

ora sono tornati ma anche loro

camminano

a piedi nudi e braccia conserte

in attesa delle parole delle parole

da far esplodere

quasi sconsolati.

Ora riaffileranno le loro parole

alle tarme ai topo alle stelle

alla rabbia dei cani, alle pene degli

uomini

al dolore degli assenti .

A chi affideranno dunque

le loro parole se non c’è più

nessuno ?

A nessuno ? E le loro parole

li rincorreranno mentre camminano

a piedi scalzi e a braccia conserte

per vendicarsi di averle affidate

solo a nessuno, nessuno che sappia

ripeterle

nessuno che sappia donarle,

nessuno che sappia sconvolgerle

di nuovo

e di nuovo e di nuovo

e poi restituirle a quei poeti che

da anni non dimorano più

in questa città.

L’Aquila, 16 Agosto 2009

Noi aspettavamo la pandemia

così dopo il terremoto avevamo un altro

motivo

per passare le serate chiacchierando

al caldo di fine luglio

ogni tanto spunta una faccia nel gazebo

qualcuno con la cicca in bocca

sono gli amici di Grazia e Cristian

e si fa tardi e anche se ti scoppia la vescica

resti a parlare anche se a me non mi ispira

per niente tutto quel discorso che ne ho piene

le palle del terremoto e della pandemia

e preferirei andare a dormire.

E poi quando vado a dormire non basta a farmi

sorridere

le battute in estrermis sulla gente

che circola in questo posto perché sono

arrivati loro

e a noi tra poco tocca sloggiare dai minorenni

a noi che siamo i veri santi,qualcuno però

con la pistola

che abbiamo accolto tutti , siamo come i monaci

del Tibet ( a proposito il Tibet è nella Cina ?)

noi dobbiamo sloggiare

che quattro gatti sono meno di otto gatti

e il conto della sopravvivenza e della stupidità

si fa contando i gatti e sul costo e sul voto

di ogni operazione “dopo terremoto”

che se a respirare costava solo un centesimo

allora potevi morire

ma morire asfissiato ( e non d’amore anche se

quest’amore – a volte – è una camera gas)

che un centesimo non te lo davano .

Ora dov’è il vertice, dove sono chiari tutti

i fini prefissati (oh parlo come un film)

io non lo so e non vedo niente (parlo tendneo

i piedi per terra).

Ma lasciamo stare tutto questo :

qualche volta vorrei cominciare una poesia

con un allegro e però adesso

dovrei ricominciare il concertino ma

non me ne tiene

a questo universo stabile permetto

ogni altra rovina che il terremoto non basta

basterebbe un po’ di attenzione

qualche ora di lavoro in più e fissare

i fini e tutto andrebbe a posto .

Non lo so, non lo so se è così e quando

dico non lo so , non lo so

e che posso fare allora

immagino solo l’andante sostenuto

potrebbe ricominciare così il concertino?

Tenda n. 2 del Complesso "L. Ferrari " Via Acquasanta L'Aquila

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