ET TERRA MOTA EST : Lettera agli amici dell’Aquila

Da Antonio Moresco Il primo amore è un blog attivo dal 2006 . Dal 2007 è diventato anche una rivista cartacea
Cari amici dell’Aquila,
prima di tutto grazie per come avete accolto noi e la nostra proposta di fare della vostra città il centro della Stella che vogliamo mettere al mondo l’anno prossimo.
Grazie alle persone e alle associazioni che abbiamo incontrato, a chi ci ha ospitato durante la notte, a chi ci ha accompagnato per le strade della vostra città così duramente ferita, a chi ci ha dato da mangiare in una casa di paglia.
Sono sicuro che il nostro incontro ha messo in movimento in tutti noi delle forze, dei sentimenti e delle passioni che daranno frutto.
Ci siamo lasciati con la convinzione che dovevamo inventarci qualcosa di significativo e forte per l’arrivo all’Aquila della Stella e io adesso vi scrivo per farvi una proposta.
Ma prima vorrei esprimervi l’emozione che ho provato camminando per le strade della vostra città. Parlerò con sincerità e senza censurare nulla di quando ho provato e pensato vedendo con occhio esterno tutta quella desolazione, perciò vi chiedo in anticipo di perdonarmi se qualcosa di quanto dirò andrà a ferire la vostra sensibilità, acuita in voi dal terribile trauma che avete vissuto.

Continuavamo a camminare in questo tremendo silenzio. Era domenica mattina e forse per questo non c’era nessun altro in giro. Abbiamo incontrato solo un paio di camionette con giovani soldati e soldatesse in divisa mimetica, che ci hanno detto che era proibito l’accesso in quella parte transennata della città. Ma noi abbiamo continuato a camminare addentrandoci sempre più nel suo cuore. Nessuno di noi aveva voglia di parlare perché quello che stavamo vedendo chiedeva silenzio. Io ero scosso dalla vista di un’intera città flagellata, con le case e i palazzi attraversati da parte a parte da crepe, eppure ripulita, spettrale, con pezzi di chiese e di case che non c’erano più, con le piastrelle delle cucine in vista, e anche da quella sorta di seconda città sovrapposta alla prima. Ogni casa, ogni facciata, ogni finestra, ogni porta erano puntellate da strutture di tubi neri su cui luccicavano i morsetti dorati, da migliaia e migliaia di assi e di travi ancora fresche, vere e proprie foreste di legno che tenevano in piedi questa città creando quasi una straziante unità architettonica aggiunta. Attorno a finestre e porte le assi erano in molti casi sagomate e tagliate in modo da formare degli archi, delle inutili prese di luce, dei rosoni, delle raggiere. I tubi erano in molti casi così numerosi e a strati così sovrapposti da dare a case, chiese e palazzi l’allucinante aspetto di sperimentazioni moderniste o di un’immensa istallazione a cielo aperto. Ormai sappiamo bene quale enorme operazione speculativa ci sia dietro questa immobilizzazione e spettralizzazione di un’intera città, e alcuni di voi stanno conducendo delle battaglie coraggiose, nobili e giuste per sollevare questo velo e pretendere verità e giustizia.

Ero già stato una decina di anni fa nella vostra città. Eppure, adesso che la vedevo così annichilita, che la ritrovavo architettonicamente unificata da quelle allucinanti protesi di metallo e di legno -scusate l’enormità di quello che sto per dire- mi sembrava ancora più commovente e più bella. Mi pareva che, anche se era imbavagliata e non poteva parlare, ci stesse dicendo qualcosa di molto forte che noi dovevamo riuscire a comprendere. “Bisognerebbe fare qualcosa qui, proprio qui!” mi ha detto a un certo punto Fabiola, che camminava anche lei in silenzio “E’ da qui che bisognerebbe partire!” E Giovanni mi ha detto: “Sembra che questa città non voglia crollare, che se ne stia ancora rigida, come una persona dalle ossa rotte che però si tiene diritta sulle stampelle e che intanto ci dice che è ancora in piedi, che è ancora viva.”


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