MEDITERRANEO : Incrocio di destini nel Mediterraneo
Il romanzo di Margaret Mazzantini

Attraverso le vicende di Farid e di Vito, ma soprattutto attraverso i ricordi delle loro famiglie, veniamo a contatto con la storia della Libia e dei suoi rapporti con l’Italia: dalla guerra italo-turca del 1911-1912, che ne fece una colonia italiana, alla scoperta dei pozzi petroliferi e al colpo di stato di Gheddafi (1969), infine alla morte del dittatore, quest’anno.

Ma la grande storia serve soprattutto a sistemare nel tempo vicende narrate con frequenti flashback. E la storia è prevalentemente storia di tragedie, di epidemie e di crudeltà, cui gli umili possono partecipare solo come vittime. Lo sguardo della scrittrice si sofferma soprattutto, e con grande finezza, sui problemi di ambientazione e sui sogni dei personaggi, anche sulle loro decisioni spesso dolorose, come l’abbandono della Libia da parte di Farid e della madre. Il viaggio in barcone di Farid, la sua morte per disidratazione, mentre la madre gli accarezza la fronte e sogna un futuro che non ci sarà, sono indimenticabili. Il problema centrale per la scrittrice è l’estraneità, degli africani in Europa, degli italiani in Libia. L’idea, che può essere un auspicio, è che, mentre gli accadimenti politici possono scatenare avversioni e odi, la nostra umanità ci spinge, meglio che a tollerarci, a considerarci con curiosità, con una comprensione che può anche diventare affetto.
Questo libro è una novità nel percorso della Mazzantini. Il suo stile si è prosciugato mettendo in rilievo l’essenziale; le frasi, brevi o brevissime, spesso aforistiche, hanno un grande potenziale emotivo. Ognuna ci colpisce, e va ben meditata e assimilata. La narrazione, fotografando visioni di forte impatto simbolico, ci lascia immagini inconsuete e non dimenticabili. Meno apprezzabile a mio parere l’eccesso di comparazioni, che però vedo lodato dai recensori. Certo, la scrittrice riesce a cogliere implicazioni e simboli. Primi fra tutti, i simbolismi del mare, in cui i bambini del racconto trovano il senso della natura dominatrice e della vita portata, per gioco, sino a sfiorare la morte (che poi invece Farid incontrerà, ma non per gioco). E Vito, adulto, rifiuta di mangiare pesci, perché pensa che essi possono anche essersi nutriti dei cadaveri dei troppi fuggitivi affogati. Il mare, questo mare che sta diventando così piccolo, può anche diventare una liquida tomba.
Cesare Segre14 dicembre 2011 (modifica il 15 dicembre 2011)

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