MEDITERRANEO : Incrocio di destini nel Mediterraneo
Il romanzo di Margaret MazzantiniIl Mediterraneo (Mare nostrum dei Romani e della retorica fascista) appare sempre più piccolo. È solo l’uso di barconi sgangherati che rende lunghissima, travagliata, pericolosa una traversata dall’Africa a Pantelleria, a Malta o alla Sicilia, che con mezzi adeguati si potrebbe compiere in un giorno o due. Questa è la rotta che africani del nord, e non solo del nord, percorrono in questi anni per cercare in Europa rifugio e possibilità di vita e di lavoro. La traversata, breve nelle illusioni dei profughi, diventa per loro enorme in un viaggio sotto il sole o le intemperie, ammucchiati inumanamente e senza viveri. Spesso i barconi, privi del carburante necessario, vanno giorni e giorni alla deriva; spesso affondano insieme con gli infelici viaggiatori.
Questi viaggi della speranza e della disperazione sono una presenza continua nell’ultimo libro di Margaret Mazzantini, Mare al mattino (Einaudi, pp. 128, € 12). Lo schema del libro è semplice. Ci sono due protagonisti: Farid e Vito, e a ognuno è dedicato un capitolo; il terzo conclude entrambe le vicende. L’ambiente è la Libia, patria di Farid, che è di origine beduina; mentre in Libia la madre di Vito ha vissuto a lungo, arabizzandosi, insieme con i genitori italiani incoraggiati dal regime a trasferirsi nell’allora colonia, e costretti dopo decenni dalla dittatura libica a tornare in Italia.
Attraverso le vicende di Farid e di Vito, ma soprattutto attraverso i ricordi delle loro famiglie, veniamo a contatto con la storia della Libia e dei suoi rapporti con l’Italia: dalla guerra italo-turca del 1911-1912, che ne fece una colonia italiana, alla scoperta dei pozzi petroliferi e al colpo di stato di Gheddafi (1969), infine alla morte del dittatore, quest’anno.
I viaggi nelle due direzioni, di Farid verso l’Italia, di Vito quando tornerà in Libia, sono colmi di nostalgia, forse il sentimento dominante nel libro.
Ma la grande storia serve soprattutto a sistemare nel tempo vicende narrate con frequenti flashback. E la storia è prevalentemente storia di tragedie, di epidemie e di crudeltà, cui gli umili possono partecipare solo come vittime. Lo sguardo della scrittrice si sofferma soprattutto, e con grande finezza, sui problemi di ambientazione e sui sogni dei personaggi, anche sulle loro decisioni spesso dolorose, come l’abbandono della Libia da parte di Farid e della madre. Il viaggio in barcone di Farid, la sua morte per disidratazione, mentre la madre gli accarezza la fronte e sogna un futuro che non ci sarà, sono indimenticabili. Il problema centrale per la scrittrice è l’estraneità, degli africani in Europa, degli italiani in Libia. L’idea, che può essere un auspicio, è che, mentre gli accadimenti politici possono scatenare avversioni e odi, la nostra umanità ci spinge, meglio che a tollerarci, a considerarci con curiosità, con una comprensione che può anche diventare affetto.
Questo libro è una novità nel percorso della Mazzantini. Il suo stile si è prosciugato mettendo in rilievo l’essenziale; le frasi, brevi o brevissime, spesso aforistiche, hanno un grande potenziale emotivo. Ognuna ci colpisce, e va ben meditata e assimilata. La narrazione, fotografando visioni di forte impatto simbolico, ci lascia immagini inconsuete e non dimenticabili. Meno apprezzabile a mio parere l’eccesso di comparazioni, che però vedo lodato dai recensori. Certo, la scrittrice riesce a cogliere implicazioni e simboli. Primi fra tutti, i simbolismi del mare, in cui i bambini del racconto trovano il senso della natura dominatrice e della vita portata, per gioco, sino a sfiorare la morte (che poi invece Farid incontrerà, ma non per gioco). E Vito, adulto, rifiuta di mangiare pesci, perché pensa che essi possono anche essersi nutriti dei cadaveri dei troppi fuggitivi affogati. Il mare, questo mare che sta diventando così piccolo, può anche diventare una liquida tomba.
Cesare Segre14 dicembre 2011 (modifica il 15 dicembre 2011)
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 9 gennaio 2012
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