MEDITERRANEO : Lascia la Siria Paolo Dall’Oglio gesuita , fondatore della comunità monastica di Deir Mar Musa,
Il gesuita Paolo Dall’Oglio, fondatore della comunità monastica di Deir Mar Musa, lascia la Siria dopo oltre trent’anni.
Mar Musa o, per esteso, Deir Mar Musa al-Habashi (ﺪﻴﺮ ﻤﺎﺮ ﻤﻭﺴﻰ ﺍﻠﺤﺒﺸﻲ, Daīr Mār Mūsa al-Ḥabaši, letteralmente Monastero di San Mosè l'Abissino) è una comunità monastica cattolica di rito siriaco, sita nei pressi della cittadina di Nabk, a circa 80 kilometri a nord di Damasco, in Siria.
Lo aveva comunicato già ieri mattina alla nostra redazione (dal 2007 padre Dall’Oglio cura una Già minacciato di espulsione dal governo siriano nel mese di novembre il gesuita era riuscito a restare nel Paese a patto di mantenere un «basso profilo», evitando dichiarazioni pubbliche contrarie al regime. Un impegno che Dall’Oglio ha mantenuto, pur non interrompendo la sua attività a favore della pace e la sua denuncia delle violenze perpetrate nel Paese. Significativa, in questo senso, la lettera aperta che il religioso aveva inviato lo scorso 23 maggio a Kofi Annan, inviato speciale dell’Onu in Siria.
La decisione di lasciare la Siria è stata ora presa in obbedienza alle autorità ecclesiastiche del Paese. Così, ad accompagnare il gesuita alla frontiera con il Libano, sabato prossimo, non saranno funzionari governativi, ma il nunzio apostolico a Damasco.
Il monastero di Deir Mar Musa è stato rifondato nel 1982 dal gesuita italiano padre Paolo Dall'Oglio, con il nome di comunità al-Khalil (l'amico di Dio, in arabo), per ospitare aderenti sia di confessione cattolica sia di confessione ortodossa. È dedicato principalmente al dialogo interreligioso con il mondo musulmano. La sorte della comunità è messa in forse dalla repressione messa in atto dal governo siriano per far fronte alla proteste popolari del 2011, che ha portato all'espulsione dal paese del fondatore.
«Questa decisione - spiega padre Dall’Oglio, che abbiamo raggiunto telefonicamente poco dopo il colloquio in nunziatura - è legata soprattutto alla mia lettera indirizzata all’ex Segretario generale dell’Onu, di cui mi assumo tranquillamente la responsabilità. Non c’è niente che mi meravigli: sono avvilito, ma non meravigliato. È un altro capitolo di una storia di pressioni e le autorità ecclesiastiche sono l’esecutore, anche se ufficialmente sono espulso per loro decisione».
Cosa farà adesso? La mia intenzione è di andare in Libano, poi in Kurdistan – dove abbiamo aperto una nuova comunità – e trascorrere poi in Italia i mesi di luglio e agosto. Poi si vedrà, ma sono comunque tutte idee che naturalmente devo sottoporre al mio superiore e che sono legate all’evoluzione della situazione complessiva in Medio Oriente.
Con quale stato d’animo lascia la comunità che ha fondato nel 1982? È una pagina che si chiude. Da tempo desideravo lasciare a qualcun altro la responsabilità del monastero di Deir Mar Musa, con tutto ciò che questo significa anche in termini di questioni pratiche e amministrative, per dedicarmi a un lavoro a più ampio raggio. Certo sono deluso, speravo di poter essere un attore utile al processo di dialogo e riconciliazione di cui la Siria ha estremo bisogno. Continuerò però con questo obiettivo dall’esterno.
Come hanno reagito gli altri componenti della comunità di Mar Musa? I confratelli e le consorelle del monastero sono coraggiosi, tranquilli, forti.
Questo il testo della lettera
Ecc.mo Signor Kofi Annan, Segretario Generale emerito dell’Onu,
Pace e bene. Con questa pubblica comunicazione vorrei esprimerle innanzi tutto gratitudine per aver accettato questo incarico delicatissimo per la salvezza della Siria e per la pace regionale. Ci aggrappiamo alla sua iniziativa come dei naufraghi a una zattera! Lei è riuscito a superare lo scoglio dell’opposizione russa a qualunque proposta che comportasse un autentico cambiamento democratico. In prospettiva, la Siria può e deve costituire un elemento di bilanciamento delle problematiche regionali e non un cancro corrosivo. Mi sembra che una maggioranza di siriani ragioni in termini di equilibrio multipolare e non in quelli d’una nuova guerra fredda. Il popolo siriano è tradizionalmente antimperialista, ma molto di più è a favore della creazione d’un polo arabo che ne rappresenti il diffuso desiderio di emancipazione e autodeterminazione. Un sentimento questo che implica l’aspirazione a vera democrazia e riconosciuta dignità delle componenti culturali e religiose di questa società e degli individui umani che la compongono.
La dinamica regionale è marcata oggi da una difficoltà reale di convivenza tra popolazioni sciite e sunnite e di concorrenza tra esse. Ciò provoca anche grave disagio alle altre minoranze, innanzitutto quelle cristiane. La primavera araba, caratterizzata inizialmente dalla richiesta, specie giovanile, dei diritti e delle libertà, rischia la deriva confessionale violenta specie quando l’irresponsabilità internazionale favorisce la radicalizzazione del conflitto.
Signor Annan, lei sa meglio di chiunque altro che il terrorismo internazionale islamista è uno dei mille rivoli dell’«illegalità-opacità» globale (mercato di droga, armi, organi, individui umani, finanza, materie prime …). La palude interconnessa dei diversi «servizi segreti» è contigua alla galassia della malavita anche caratterizzata ideologicamente e/o religiosamente. Meraviglia che pochissimi giorni siano bastati ad altissimi rappresentanti dell'Onu per accettare la tesi della matrice «qaedista» degli attentati «suicidi» in Siria. Una volta accettata mondialmente la tesi liberticida che in loco c’è solo un problema d’ordine pubblico, non rimane che aspettarsi il ritiro dei suoi caschi blu disarmati per lasciare alla repressione tutto lo spazio necessario a conseguire il «male minore». Che la potenza nucleare e confessionale israeliana abbia interesse in una guerra civile a bassa intensità e lunga durata è solo un corollario al teorema. Si aggiunga che «gli arabi» non sono culturalmente maturi per la democrazia «reale» e il gioco è fatto! Resta in alternativa l’opzione della frantumazione su base confessionale del Paese, magari ritagliando ai caschi blu un ruolo anti strage per evitare disdicevoli eccessi bosniaci.
A causa delle esperienze non sempre felici degli osservatori Onu, l’ottimismo resta condizionato all’emergenza d’una concreta volontà negoziale nel Consiglio di Sicurezza e all’interno del paese e a una larga assistenza da parte della società civile internazionale a quella locale. Tremila caschi blu e non trecento sono necessari a garantire il rispetto del cessate il fuoco e la protezione della popolazione civile dalla repressione per consentire una ripresa della vita sociale e economica. È urgente chiedere l’abolizione delle sanzioni non personalizzate che puniscono le parti più deboli e innocenti della popolazione.
C’è inoltre bisogno di trentamila «accompagnatori» nonviolenti della società civile globale che vengano ad aiutare sul terreno l’avvio capillare della vita democratica. Si tratta di favorire un’organizzazione statale basata sul principio di sussidiarietà e del consenso, eventualmente favorendo quella struttura federale più corrispondente alle principali particolarità geografiche (la federazione è l’esatto contrario della spartizione!). Solo dando fiducia all’autodeterminazione delle popolazioni sul piano locale si potrà riportare l’ordine e combattere ogni forma di terrorismo senza ricadere nella repressione generalizzata e settaria.
È opportuno e urgente creare delle commissioni locali di riconciliazione, protette dai caschi blu e in coordinazione con le agenzie Onu specializzate, anche in vista della ricerca dei detenuti, rapiti e scomparsi delle diverse parti in conflitto. Sarà anche necessario porre al più presto la questione della riabilitazione civile dei giovani coinvolti in organizzazioni terroriste e malavitose.
Lei ha ripetuto che per riappacificare occorre un processo politico negoziale. Ma si può immaginare questo senza un vero cambiamento nella struttura del potere, specie in una situazione come questa dove il governo è una facciata e anche il regime al potere obbedisce a un oscuro gruppo di supergerarchi? Bisogna salvare lo stato, certo. Esso è di proprietà del popolo. Ma prima è necessario liberarlo.
La sua iniziativa, caro Signor Annan, segna una tappa rivoluzionaria nel percorso dell’esercizio della responsabilità internazionale nella soluzione dei conflitti locali. La presenza disarmata dell’Onu oggi in Siria è una profezia gandhiana che vale ben oltre la crisi puntuale che si vuole così risolvere. La priorità sia allora quella di proteggere la libertà d’opinione e d’espressione della società civile siriana senza la quale è impossibile perseguire gli altri obiettivi essenziali alla pacificazione nazionale.
Con stima e gratitudine.
23/05/2012
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 16 giugno 2012
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