E si vide roteare nel cielo
E si vide roteare nel cielo della sera un volo di allodole.
Quel sabato 3 ottobre 1126 roteavano felici nel cielo di Assisi. Era quasi l’ora dei vespri,anzi era già il 4 ottobre perché la Chiesa romana, fedele alle sue tradizioni ebraiche, fa cominciare il giorno dal tramonto. La sera del 3 ottobre dunque, era per la liturgia l’inizio del nuovo giorno il 4, Francesco chiudeva gli occhi a questa vita.
“Le allodole, amiche della luce del giorno e paurose delle ombre del crepuscolo, quella sera in cui san Francesco passò dal mondo a Cristo, si posarono sul tetto della casa e a lungo garrirono roteando attorno. Non sappiamo se abbiano voluto a modo loro dimostrare la gioia o la mestizia, cantando. Esse cantavano un gioioso pianto e una gioia dolorosa.”
Scrive la storica Milvia Bollati sulla rivista Francescana: “ Ha un che di miracoloso questo canto delle allodole all’arrivo della sera, loro che hanno paura delle ombre del crepuscolo. Un ultimo canto, quello delle allodole, chiude il racconto della vita di Francesco. Amava cantare, Francesco. Lo ricordiamo giovane per le vie di Assisi cantare in francese. O ancora duettare con sorella cicala...” E Francesco che amava cantare nel momento ultimo scrive proprio il Cantico delle Creature.
Sentendo la morte vicina chiede ai suoi di cantare quelle parole che aveva scritto a lode dell’Altissimo e vi aggiunge l’ultima lassa su sorella morte. Nudo sulla nuda terra, la mano destra a coprire il fianco, come ricordano Tommaso da Celano e Bonaventura. Nel racconto di Tommaso da Celano e di Bonaventura tante sono le immagini, i gesti e le parole. Il pianto dei compagni accompagna questo momento, quasi una liturgia, con la lettura di un passo del Vangelo di Giovanni (13,1) in cui Cristo si china a lavare i piedi ai suoi discepoli.
Le aveva sempre amate le allodole Francesco e aveva amato osservare i loro modi. Tanto che i frati a lui vicini ricordavano che soleva dire: “La sorella allodola ha il cappuccio come i religiosi . Ed è umile uccello che va volentieri per le vie in cerca di qualche chicco. Se anche lo trova nel letame, lo tira fuori e lo mangia. E volando loda il Signore , proprio come i buoni religiosi che avendo in spregio le cose mondane, vivono già in cielo. La veste dell’allodola, il suo piumaggio , è color terra. Così essa dà esempio ai religiosi a non cercare abiti eleganti e fini,ma di tinta smorta, come la terra”.
Gli anni in cui Francesco visse la sua avventura terrena tra la fine del XII secolo e i primi decenni del XIII sono ricordati dalla storia come anni prosperi per l’Occidente anche se le rese dei raccolti erano basse e la gente non amava lo spreco. Era considerato spreco, per esempio , le sementi divorate dagli uccelli che non aravano , non mietevano e non raccoglievano.
Così Francesco che aveva fatto suo il passo del Vangelo : “ Osservate gli uccelli dell’aria, i quali non seminano , né mietono, né raccolgono in granai: eppure il vostro Padre celeste li nutre.” non disdegnava di ricordare:
Se avrò occasione di parlare
“ Se avrò occasione di parlare con l’Imperatore , lo supplicherò che per amore di Dio e per istanza mia , emani un editto ,al fine che nessuno catturi le sorelle allodole e faccia loro del danno. E inoltre, che tutti i podestà delle città e i signori dei castelli e dei villaggi , siano tenuti ogni anno , il giorno della Natività del Signore , a incitare la gente che getti frumento e altre granaglie sulle strade ,fuori delle città e dei paesi,in modo che in un giorno tanto solenne gli uccelli, soprattutto le allodole , abbiano di che mangiare…”
Quel giocare dell’allodola tra i cieli e la terra , con il suo trillo solare, il suo volo roteante ha ispirato Dante che scrive :
Quale allodetta ch’n aere si spazia
Prima cantando, e poi tace contenta
Dell’ultima dolcezza che la sazia.
e un certo simbolismo . L’allodola ( Alauda arvensis) è uccello dell’alba. Nelle poesie medievali essa annuncia l’ora in cui gli amanti debbono prender commiato .”Era l’allodola, messaggera del mattino , non l’usignolo.” dice mesto a Giulietta Romeo al termine della loro notte d’amore nell’opera di Shakespeare che chiamò quindi l’allodola messaggera del mattino. Comincia a cantare alle prime luci dell’alba e canta fin dai primi giorni della primavera. Si solleva ascenzionalmente sino ad un’altezza in cui scompare: dall’alto , in questa posizione quasi invisibile lancia una cascata di suoni e poi riapparendo alla vita comincia a cantare.
Il simbolismo dell’allodola era tenuto in conto e conosciuto anche tra i Galli che la consideravano un uccello sacro. La prima legione romana reclutata presso i Galli dopo la conquista ad opera di Giulio Cesare volle portare il nome latino dell’allodola; Alauda. “Poter volare” commenta Mircea Eliade, “avere ali, diventa la forma simbolica della trascendenza oltre la condizione umana; la capacità di sollevarsi nell’aria indica l’accesso alle estreme verità” Uccello uranico per eccellenza è, secondo una felice definizione di Bechelard, “una pura immagine spirituale, che trova la vita soltanto nell’immaginazione aerea come centro di metafore dell’aria e dell’ascensione”.
Il suo nome in sanscrito, bharadvaja, è ispirato ai culti del sole e può significare, secondo il contesto, sia “colui che porta il nutrimento e i beni” (come il sole), sia “colui che produce dei suoni”, ovvero il cantore di inni, sia infine “colui che sacrifica”. Scrive Alfredo Cattabiani in Volario :”…Bharadvaja era il nome di un poeta celebre e uno dei mitici saggi o brahmana del Mahabharata e dei Purana, che secondo la leggenda fu nutrito da un’allodola. Nel Tattiriya-brahmana Bharadvaja, diventato vecchio, è ormai passato attraverso i tre gradi della vita di un penitente applicato allo studio delle sante scritture. Un giorno il dio Indra si avvicina al saggio domandandogli a quale scopo impiegherebbe la sua vita se gli restassero ancora molti anni da trascorrere sulla terra. Egli risponde che continuerebbe a vivere nella penitenza e nello studio. Nei primi tre gradi della vita brahmanica Bharadvaja si dedica allo studio dei tre Veda (l’Atharvaveda non era stato ancora composto o non era stato ancora ammesso fra i libri sacri). Nell’ultimo periodo della sua esistenza terrena il saggio apprende la scienza universale, diventa immortale e sale infine al cielo unito al sole. Nelle antiche mitologie dell’Europa del nord l’allodola venne considerata una delle incarnazioni dello Spirito del Grano perché ha l’abitudine di fare il nido nei campi di frumento, quando esso è ancora in erba, come ci ricorda fra gli altri La Fontaine in una sua fiaba, L’alouette e ses petits avec le maître d’un champ….”
“ ( il monaco )…trova nel silenzio e nella pace del chiostro la sicurezza e il riposo per la sua anima, che costituiscono il nutrimento sostanziale per essa e per il corpo; quando poi sale sul pulpito, egli sparge dall’alto sui fedeli le parole di fede, di speranza, di carità, di prudenza, di giustizia, di forza e di temperanza, se vogliamo usare la classificazione teologica delle virtù. Così fa innalzare verso Dio i cuori e gli spiriti degli uomini”.
Queste parole scritte da Charbonneau-Lassay è la descrizione medievale del monaco predicatore. Esse sono ispirate dall’allodola che nasce e cresce nel suo nido nel grano in erba e inizia a volare solo quando è sicura per innalzare anche lei un inno al suo Creatore lasciando cadere dall’alto la sua melodia.
La simbologia cristiana dell'allodola
Nella simbologia cristiana l’allodola evocò anche il Cristo grazie alla sua capacità di salire verticalmente nel cielo, immagine simbolica dell’Ascensione. “Io mi reco dal Padre mio e da lassù pregherò per voi”. Poi, come narrano gli atti degli Apostoli, “fu levato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi”. Afferma ancora Alfredo Cattabiani : “…il suo canto in onore della luce e il suo rapido salire nel cielo ispirò infine il simbolo della preghiera, poiché si sosteneva, con una spiegazione etimologica ingenua, che il suo nome latino, Alauda, fosse derivato da a lauda, che letteralmente significa “dalla lode”. Ma si potrebbe seguire anche un altro percorso simbolico suggerito da De Gubernatis, secondo il quale l’allodola con la cresta sarebbe identica al “sole crestato”, cioè al sole con i suoi raggi. Questa sua somiglianza spiegherebbe l’allegria con cui annuncia il mattino il sole di cui essa è un’immagine animale insieme con tante altre, come già s’è visto: un trillo il suo che è una solare preghiera in onore del Creatore.
E infine : “….Il suo amore per la luce fu ricordato da San Bonaventura di Bagnoregio che nella Leggenda maggiore così narrava la morte di Francesco d’Assisi: “Le allodole, che sono amiche della luce e hanno paura del buio della sera, al momento del transito del santo, pur essendo già imminente la notte, vennero a grandi stormi sopra il tetto della casa e roteando a lungo con non so quale insolito giubilo, rendevano testimonianza gioiosa e palese alla gloria del santo, che tante volte le aveva invitate a lodare Dio”. Quel canto straordinario, data l’ora inconsueta, celebrava la luce soprannaturale – direbbe un medievale – che esse vedevano intorno al corpo di Francesco, – luce riflessa dell’eterna Luce…"
Eremo di Via Vado di Sole ,L’Aquila ,martedì 26 gennaio 2010
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