L’ANNUNCIATA di Antonello da Messina (1429-1479)
La dipinse nel 1475 e rivoluzionò la storia della pittura. Una tavola piccola di appena 45 x 34,5 centimetri ma immensa e per la prima volta l’evento dell’annunciazione si concentra solo su Maria escludendo l’angelo.
È curioso sapere che Antonello dipingeva su supporti lignei: le opere su tavole di noce le dipinse a Messina, quelle su legno di pioppo parte al Sud e parte a Venezia; i quadri su legno di frutto li eseguì tutti al Sud e quelli su tiglio a Venezia.
Le tavole di Antonello sono di una bellezza sovrumana. È curioso che Jacobello, figlio di Antonello e pittore anch’egli, si firmasse con riverenza: Filius non humani pictoris, «Figlio di un divino pittore». Le opere del grande messinese sono di una struggente bellezza e, viste dal vero, affascinano per la potenza dei contrasti di luce che effondono, e per quegli occhi «stregati» dei suoi ritratti che catturano l’osservatore e lo seguono con lo sguardo. Ritratti che, assieme ai soggetti sacri, hanno fatto di Antonello un grandissimo artista.
Apparentemente senza maestri né seguaci: «Dall’alto del suo genio – scrive Mauro Lucco, curatore della recente mostra di Roma – Antonello ha guardato a tutti e a nessuno».
L’ANNUNCIATA
L’Annunciata è un capolavoro assoluto nella storia dell’arte italiana ed europea. L’mmagine ha una straordinaria perfezione formale e si regge su un innovativo concetto di assolutezza spaziale rispettivamente compendiati nell’ovale del viso e nell’impercettibile rotazione della figura nello spazio .
La vergine è colta nel momento in cui l'angelo se n'è appena andato (oppure nel momento dell'interrogazione), dalla sagoma quasi piramidale del manto emerge il perfetto ovale del volto della vergine, l'asse della composizione è dato dalla verticale che va dalla piega dello scollo all'angolo leggio, al contrario il lento girare della figura e il gesto della mano danno movimento alla composizione. L'opera rappresenta uno dei traguardi fondamentali della pittura rinascimentale italiana. L'assolutezza formale, lo sguardo magnetico e la mano sospesa in una dimensione astratta ne fanno un capolavoro assoluto. La tela è custodita a Palermo, all'interno della Galleria regionale Palazzo Abatellis.
L'opera, tra le più rappresentative del Rinascimento europeo, secondo gli studi più recenti è datata 1475, e si contraddistingue per lo straordinario concetto di assolutezza spaziale, sviluppato dall’artista siciliano durante il soggiorno veneziano tra il 1475 e il 1476.
"L'opera è assoluta: è un'opera che guarda più alla vita che all'arte. - ha detto Vittorio Sgarbi .Si tratta di un'Annunciazione senza angelo che è dentro di lei: la mano che si spinge davanti sembra intercettare le parole dell'Angelo che non è corpo ma parola. L'altra mano chiude il velo quasi a significare che il Cristo è in grembo. Il manto è una corazza che incornicia questo bellissimo volto".
L’Annunciata oggi esposta a Palermo fu preceduta da una specie di prova generale ,un’altra Annunciata conservata oggi a Monaco
Scrive Marina Plasmati in “ L’immemorabile visitazione.L’annuncio a Maria in Antonello da Messina “ (Atti del Convegno Figure archetipali .Tracce sui sentieri dell’uomo. Bracciano 3-4 ottobre 2009)
Ne’ “…L’Annunziata di Monaco, datata in maniera molto incerta tra il 1473-75, cioè poco prima del viaggio a Venezia…. Antonello decide di stravolgere la raffigurazione tradizionale del tema. La Vergine, su uno sfondo scuro e del tutto privo di riferimenti spaziali, è rappresentata sola, a mezzo busto, completamente frontale rispetto allo spettatore che è separato da lei da un parapetto in legno pendente verso l’esterno, su cui si poggia il libro aperto. Il suo manto è blu e il vestito, appena accennato, rosso vino. La testa, circondata da un nimbo sottilissimo, è inclinata verso sinistra, come sottolinea la tensione del muscolo del collo, e rivolge lo sguardo nella stessa direzione da cui proviene la luce. L’angelo, assente, è entrato da sinistra e le ha dato il saluto. Lei, con la bocca aperta, in contraccambio dell’annuncio, sta per dire il suo sì, come le mani incrociate sul petto rivelano.
La trasgressione iconografica operata da Antonello in questo dipinto consiste soprattutto nella totale eliminazione della figura angelica. Qui Maria appare come fosse soggetto scelto di un ritratto e viene colta nell’istante stesso del suo fiat a un angelo invisibile ma presentissimo, in una scena “fortemente pneumatica” a cui noi spettatori assistiamo come fossimo capitati lì, quasi per caso, ospiti silenziosi ed inconsapevoli. . Antonello vuole coinvolgere emotivamente colui che guarda, eliminando ogni possibile fonte di distrazione. Lo spazio dell’evento viene annullato, così come il suo artefice divino; ciò comporta una nuova tappa nel percorso di interrogazione e comprensione di questo mistero spirituale: la distinzione tra personaggio/ambiente interno/ambiente esterno (carne, casa, cosmo) è superata perché
superflua. Dall’illusorietà plastica del reale che Antonello ha ereditato dalla pittura fiamminga nella ricerca della rappresentazione dei particolari più infinitesimali di una scena il pittore è passato a quello che la critica definisce, con termine oggi stereotipato, “incarnato”. In realtà l’incarnato di Antonello è un “farsi carne” della pittura, è il tentativo di svelare ciò che è velato e che non si può vedere, di rappresentare l’invisibile. Il sacro infatti non ha dettagli, né contorni, perché è germinato nel cuore di Maria, nel suo essere, e lì la luce, la sua figura e le sue mani attirano il nostro sguardo. Come ha egregiamente detto E. Corbin, “è nell’anima e non nelle cose che si compiono le ierofanie ed è l’accadimento dell’anima che situa, qualifica e rende sacro lo spazio in cui è immaginato”. Antonello ha osato dare immagine sensibile a questa Idea sovrasensibile.” (…)
Ma è nell’Annunciata di Palermo che Antonello realizza in pieno la sintesi della perfezione
Scrive Marina Plasmati:…“Partiamo dallo sfondo: il buio nero dello sfondo inghiotte ogni spazio reale e dona assoluta plasticità alla figura. Essa è chiusa in un severo manto azzurro dalle pieghe appiombate che si fissano al tavolo, formando una vera piramide. Entro la linea triangolare del manto si iscrive un altro triangolo con il vertice in basso: la profonda scollatura incastona come un gioiello di perfezione geometrica tre ovali assoluti: il volto, l’ombra e il velo. La stilizzazione geometrica della figura è accentuata dalla scomparsa dell’aureola, di ogni dettaglio di veste e soprattutto dalle linee rigorose degli occhi, del naso e della bocca, che ne fanno un volto ieratico e distante, quasi fosse distillato da ogni incidente terreno nella sua immacolata inarrivabile purezza. Gli occhi fanno scendere lo sguardo in basso a sinistra, da dove proviene la luce e forse l’angelo, che naturalmente è assente. La piega della stoffa nel mezzo del capo – Sciascia dice pare sia il vestito buono conservato nella cassapanca tra gli altri del corredo e tirato fuori nei giorni delle feste – determina l’asse della composizione che scende netto lungo la linea del naso diritto, prosegue seguendo il vertice della scollatura, giù per le nocchie delle dita della mano destra , fino alla prominenza dell’inginocchiatoio.
Tutto è perfettamente e rigorosamente calibrato per creare una sintesi di perfezione formale e strutturale, ma a ben guardare, aumentando il grado di stilizzazione, si accentua ancor di più la drammatica “profanazione” del tema che Antonello ha operato: e il segreto sta nello straordinario gioco prospettico che si muove sensibilmente in questo quadro. Vediamone alcuni dettagli significativi.
La figura di Maria sembra perfettamente frontale allo spettatore, ma non lo è. A ben guardare, rispetto alla Madonna di Monaco, è stato eliminata la balaustra perpendicolare allo spettatore da cui appariva la figura e che creava una separazione tra Vergine e Angelo-spettatore ed è stata sostituita da un leggio di legno disposto in obliquo il cui spigolo, raddoppiato dallo spigolo dell’inginocchiatoio, punta verso di noi e pare rompere la divisione tra spazio reale e spazio pittorico. Ma non solo. La Madonna non è affatto immobile sull’asse mediano, ma pare lievemente girare verso sinistra con la spalla e soprattutto con la mano sinistra che si offrono più vicine al nostro sguardo. Questa mano, la più bella mano della storia dell’arte, la definisce Roberto Longhi, o meglio il suo gesto che avanza deciso, fora letteralmente lo spazio e ne tenta cautamente il limite, costituisce uno degli esempi più eccellenti di eminentia, cioè di ricerca di un aggetto illusionistico che esca dal piano della tavola dipinta per proiettarsi sullo spettatore. Contrapposta è la mano destra, tesa a stirare il manto e a chiuderlo su di sé, con gesto modesto e moderato, mentre il libro spostato tutto a destra alza nell’aria il fendente affilato del suo foglio, quasi un soffio leggero di vento lo avesse appena scompaginato.
Questa immagine è quindi carica di una potenzialità drammatica che ci sorprende e ci interpella. Alcuni storici dell’arte vi hanno voluto vedere la sintesi architettonica-iconografica di tutta la storia dell’annunciazione nei suoi diversi momenti: Conturbatione, Cogitatione, Interrogatione Humiliatione, Meditatione, partendo dal gesto della mano fino al volto estatico di Maria. E questa è interessantenon solo sul piano artistico, ma anche su quello più profondamente simbolico, perché Antonello non ha voluto lasciarci il fotogramma di un istante, ma un vero e proprio itinerario, la narrazione visiva di un percorso.
Noi che guardiamo non siamo al posto dell’angelo, non siamo spettatori silenziosi, non siamo ospiti inconsapevoli di un evento, siamo i destinatari e, in quanto tali, i protagonisti.
Questo quadro è dunque in termini simbolici, ma anche in qualche modo teologici l’immagine di una visitazione; il divino visita l’umano e lo fa nel solo modo in cui può accadere, come una apostrofe muta, cioè nel paradosso della sua presenza assente o della sua assenza presente. Come ben suggerisce lo storico dell’arte Jean-Luc Nancy, sono i due movimenti, del corpo e dello spirito, che la mano di Antonello ha saputo così magistralmente sintetizzare, raccontandoci l’annunciazione: da una parte “l’eccomi, l’hoc est corpus meum, il farsi carne del verbo che pone l’accento appunto e una volta per sempre sul corpo, sulla sua presenza, sulla fisicità dell’essere presente: peso, dimensioni, materia con tutto l’invisibile che la cosa porte in sé, e dall’altra vi è la radicalità di un divino che non si può e non si deve vedere, è il ritirasi di Dio, il Deus absconditus”. Ecco che questo capolavoro di Antonello compie il prodigio non di rendere visibile, ma di mettere l’invisibile in luce, tendendo amorevolmente il nostro sguardo – la mano di Maria ne dà la direzione - a ciò che eccede ogni visione, ogni memoria, ogni oblio eppure ci è vicino, è dentro di noi, è noi. Troopo vicino e troppo lontano, il paradosso del Dio-uomo.
Qui sta l’annuncio che interpella, qui la risposta dell’interpellato: il parto umano del divino.
Sentite che cosa afferma Nadia Scardeoni in un intervista sul Bollettino Telematico dell’Arte (http://www.bta.it/)
“…qualche filo lucente di neri capelli”. É una descrizione che hai scovato in un libro di Venturi del 1915. Dal velo dell’Annunziata era un tempo possibile vedere dei capelli, qualche filo. Tu lo avevi sospettato e Venturi te ne ha dato conferma. Raccontaci qualcosa in più su questo aspetto interessante della tua ricerca …
É stato un lungo cammino a ritroso, condotto nel fastidio generale, per aver sollevato interrogativi e osservazioni che mettono a fuoco le carenze critiche dell’agire istituzionale meritatamente ai problemi di restituzione, tutela e conservazione delle opere d’arte. Ma attraverso l’analisi di un capolavoro autentico come l’ANNUNZIATA, e un metodo di ricerca totalmente nuovo, che ho denominato “restauro virtuale”, ho avuto la felice avventura di poter ricostruire tutti gli elementi che provano la maldestra censura di quei fili lucenti di neri capelli… nonché gli atti successivi. La mia ricerca riguarda dunque la restituzione del volto della Vergine Annunziata, così come il suo autore l’ha ideato, documentando una visione anticanonica e in sé rivoluzionaria che è stata stroncata, per un approccio banale e irrispettoso, nel privato e nel pubblico.
Prima del 1903 l’Annunziata era di proprietà di Mons. Vicenzo di Giovanni di Salaparuta. Fu a quell’epoca che il ritratto di Maria di Nazareth, prestato da una giovane fanciulla siciliana avvolta nella mantellina azzurra … con il suo piccolo ricciolo sfuggito alla compostezza del velo, risultò troppo anticanonico o inquietante per la devozione privata. Il ritratto venne opportunamente santificato: il ricciolo fu ricoperto da pesanti pennellate e venne aggiunta una aureola .
Il successivo restauro (… del 42 ?) nel rimuovere la patacca di colore causò lo svelamento, ancora oggi visibile, che ha dato origine alla mia tesi fondata sull’ipotesi di un’abrasione volontaria, a bisturi, sul lato destro (per l'osservatore) del volto dell'ANNUNCIATA, frutto a sua volta di una errata interpretazione della struttura del manto. É stato l’importantissimo il ritrovamento critico della descrizione di Adolfo Venturi che ha consentito la ricostruzione degli atti precedenti la mia prima tesi.
Si è confortata la presenza dell’ombra ma anche – fatto inatteso ed eclatante - di …”qualche filo lucente di neri capelli” , poi ulteriormente confermata da un’immagine Alinari della fine dell’ottocento . Questa sequenza di dati abbracciano dieci anni di ricerca e sono raccolti nell’opera multimediale: “Maria di Antonello” che, su sollecitazione di amici studiosi, è in procinto di diventare un libro.
Antonello Ventura nel suo libro citato diceva:
“La pensosa fanciulla siciliana si avvolge come un'araba nell'ampio manto che ombreggia la fronte e inquadra il viso marmoreo; gli occhi vellutati, di un nero profondo, si velano di languore sotto le seriche palpebre percosse da un guizzo di luce; una piega agli angoli del naso e alle estremità delle labbra accompagna il lieve stringersi degli occhi come sorpresi da luce improvvisa.
L'ombra, che cade a taglio sulla fronte e si proietta sulla guancia sinistra, ottenebra il collo, staccandone il contorno luminoso del mento e della guancia destra e lasciando intravedere qualche filo lucente dei neri capelli ...».
E Roberto Longhi (1890-1970) ha definito il quadro “la piramide umana “ e la mano protesa la “ più bella che io conosca nell’arte.”
Eremo di Via Vado di sole L’Aquila, mercoledì 10 Febbraio 2010
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