giovedì 4 febbraio 2010

SILLABARI 2 FELICITA'



VERBA MOVENT,EXEMPLA TRAHUNT
In una bella notte d’estate,mentre l’aria era sì tranquilla che non si sentiva un alito di vento,e non si moveva una foglia,un uomo idiota seduto avanti alla sua casuccia posto su la cima di un colle godeasi la frescura notturna
e contemplava la bellezza delle stelle che nel cielo purissimo scintillavano. Una dolcezza di paradiso gli scendeva nell’anima,e rapito in estasi deliziosa benediceva tra sé il Fattore Supremo di tante bellezze.
Stato così alcun poco gli vennero a caso abbassati gli occhi e vide a breve distanza una fiammolina turchiniccia di vaga apparenza,che sembravagli spiccare dal suolo,e splendere di nuova singolar luce.
E subitamente il prese un grandissimo desiderio di esaminarla dappresso e di far prova se riscaldasse; levatosi quindi a quella rivolse i suoi passi.
Ma non sì tosto si fu mosso che la fiamma cominciò ad allontanarsi. Crebbe la sua meraviglia, e sentì più vivo il desiderio di avvicinarsele; e però si mise a seguirla giù per il declivio. E quella di mano in mano ch’egli s’ inoltrava s’andava scostando.
Allora fu punto di maggiore curiosità, e studiò il passo; e la fiammolina essa pure a lui dinanzi accellerò la sua fuga. Di ciò irritato l’uomo idiota,e risoluto a venire a capo del suo proposito,diessi ad inseguirla con precipitosa corsa. Ma fu invano,perché più veloce ei correva tanto più rapida la fiammolina s’involava da lui.
Finalmente anelava per la fatica,ed era per ismarrire le forze,quando pel correre violento non guardando alla via,giunto al torrente che radeva le falde del colle,precipitò in esso e perì.
La fiammella che l’idiota inseguiva non era che un fuoco fatuo.
Simile a quella vaga fiammolina è la terrena felicità; e l’idiota che corre dietro ad essa in luogo del rimanersi sul dilettoso colle, e seguitare a bearsi della vista delle stelle,rappresenta gli stolti,che adescati dagli allettamenti del mondo volgono le spalle alle cristiane virtù dimenticando la beatidune del cielo promessa a chi saprà dispregiare le vanità di questa vita; aspirano a contenti che loro si presentano con un falso aspetto di bene , e poi s’involano da loro e, fatti ciechi nell’insano ardore, precipitano nelle turpitudini dei vizii; e per tal modo ,senza aver conseguito il sospirato gaudio ,perdono per sempre le anime loro.
(da Zaccaria D, Antonio Tesoro di racconti istruttivi ed edificanti XII edizione riveduta Libreria Editrice Ecclesiastica Giovanni Galla,Vicenza
20 febbraio 1925)

Cos’è la felicità? E’ conseguibile in questo mondo (come volevano Platone, Aristotele, Teofrasto e Cicerone) o in un ultraterreno (come pensavano Lattanzio e Agostino)? Seguendo l’etica stoica e in contrapposizione con la filosofia epicurea, Seneca sostiene che la felicità risiede non nel piacere ma nella virtù, in una vita conforme alla nostra natura, cioè secondo ragione. Polemizzando poi con coloro che accusano i filosofi di vivere bene, in contrasto con i loro insegnamenti, dice che il saggio, pur possedendo la ricchezza, non se ne cura, come non si cura del piacere, del dolore e della salute, ma che comunque preferisce prendere il meglio dalla borsa della Fortuna. Forse, in un mondo di contraddizioni, in cui va bene tutto e anche il contrario di tutto, la vera saggezza sta nella pura contemplazione e la vera felicità nel non aver bisogno di felicità.
Leggiamo direttamente Seneca a proposito della felicità:
(…)Tutti aspiriamo alla felicità, ma, quanto a conoscerne la via, brancoliamo nel buio. E' infatti così difficile raggiungerla che più ci affanniamo a cercarla, più ce ne allontaniamo, se prendiamo una strada sbagliata e se questa, poi, conduce addirittura in una direzione contraria (...)
(...) Perciò dobbiamo avere innanzitutto ben chiaro ciò che vogliamo, dopodiché cercheremo la via per arrivarci, e lungo il viaggio stesso, se sarà quello giusto, dovremo misurare giorno per giorno la strada che ci lasciamo indietro e quanto si fa più vicino quel traguardo a cui il nostro impulso naturale ci porta. (...)

(...) Non c'è nulla di peggio che seguire, come fanno le pecore, il gregge di coloro che ci precedono, perché essi ci portano non dove dobbiamo arrivare, ma dove vanno tutti. Questa è la prima cosa da evitare. Niente c'invischia di più in mali peggiori che l'adeguarci al costume del volgo, ritenendo ottimo ciò che approva la maggioranza, e il copiare l'esempio dei molti, vivendo non secondo ragione ma secondo la corrente. (...)
(...) Di fronte alla felicità non possiamo comportarci come nelle votazioni, accodandoci alla maggioranza, perché questa proprio per il fatto di essere la maggioranza è peggiore. I nostri rapporti con le vicende umane non sono infatti così buoni da poterci indurre a ritenere che il meglio stia dalla parte dei più, perché la folla testimonia esattamente il contrario, che cioè il peggio, per l'appunto, sta lì. Sforziamoci dunque di vedere e di seguire non i comportamenti più comuni ma cosa sia meglio fare, non ciò che è approvato dal volgo, pessimo interprete della verità, ma ciò che possa condurci alla conquista e al possesso di una durevole felicità.
(Da “La Felicità” di Seneca – Newton & Compton versione di Mario Scaffidi Abbate)
E concludiamo ( si può dire : provvisoriamente ?) come lui nel “ De Previdentia" libro VI : "Intus omne posui bonum; non egere felicitate felicitas uestra est" “Ho riposto in voi ogni mio bene; la vostra felicità consta nel non aver bisogno di felicità" .

Eremo di Via Vado di sole, L’Aquila, lunedì 25 Gennaio 2010

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