mercoledì 26 maggio 2010

La festa di S. Domenico a Cocullo. Serpi e serpari : dai colori di Michetti al racconto di De Nino

La festa di S. Domenico a Cocullo. Serpi e serpari : dai colori di Michetti al racconto di De Nino


Ogni anno il primo giovedì di maggio si celebra a Cocullo in provincia di L’Aquila ,nell’alta Valle del Sagittario la festa di S. Domenico Abate. Il paese situato appunto nella Valle del Sagittario alla sinistra del torrente Pezzana , a chi proviene dall’autostrada appare raccolto e quasi avvitato attorno alla Chiesa della Madonna delle Grazie . In questo paese per la festa di S. Domenico si ripete l’antico rito dei Serpari che richiama pellegrini da molte regioni e in particolare dalla Ciociaria e dal Frusinate dove è vivo il culto nella religione popolare per questo santo.

Il rito dei serpari è antico e risale al culto della dea Angizia presso i Marsi , dea capace di incantare i serpenti e di usare le erbe magiche e velenose. Il folklore e il culto cristiano che hanno accolto queste credenze come pure i culti alle dee Circe, Medea , Angizia venerano e festeggiano S. Domenica l’eremita delle sorgenti del Sagittario come guaritore dai morsi dei serpenti. La mitologia ricorda come Angizia ponesse la propria dimora sulle sponde del lago Fucino ,insegnando ai sacerdoti la segreta arte di incantare i serpenti , la capacità di iniettare veleni ,la funzione oracolare e taumaturgica.

Un tempio consacrato alla dea sorgeva a Luco dei Marsi in un luogo circondato da un bosco sacro.
Anche il poeta Virgilio cantò “Tenemus Angitiae,vitrea te Fucinus unda - Te liquidi fklevere lacus..” La leggenda cristiana ha recepito la mitologia nel culto di S. Domenico Abate dell’ordine benedettino nato a Foligno nel 951 e morto a Sora il 22 gennaio del 1031 fondatore di conventi nelle contrade abruzzesi e in particolare a Cocullo dove soggiornò
Eremita in una grotta alle sorgenti del Sagittario , a Villalago, era appunto venerato per la sua fama
di guaritore dai morsi dei serpenti. Nella chiesa di Cocullo si conservano reliquie come uno zoccolo di mulo e un dente del santo .

Ogni primo giovedì del mese di maggio dunque a Cocullo si svolge una cerimonia durante la quale viene portata in processione per le strade del paese la statua del santo adornato da serpi. I serpari appunto catturano, nei giorni precedenti la festa , a Valle Marzia, alla Vrecciaria, a Valle Caluta dove non tira tramontana , serpi irritandoli con le falde del cappello e strappando loro quando le mordono i denti velenosi. I serpi vengono poi conservati in cassette di legno con crusca fino al giorno della processione. Gli antichi serpari le conservavano in giare di creta dove entravano una alla volta ,la prima con la testa e le altre dalla coda con un magico rituale. Le serpi dunque adornano la statua del santoattorcigliandosi al busto,al collo, alle braccia. Ogni tanto qualcuna cade tra la folla che segue la processione i serpari la rigettano sulla statua.

Nella raccolta delle Tradizioni popolari abruzzesi Antonio De Nino narra che Francesco Paolo Michetti , dopo la processione si fece regalare un cesto di serpi portandosele a Francavilla per dipingere una tempera capolavoro in cui suggestivamente si ritraggono donne uomini e fanciulli in preda a fanatismo religioso
Anche Gabriele D’Annunzio nella Fiaccola sotto il moggio ha messo in scena il serparo Edia che vanta la sua genia di serparo all’amata Gigliola.


Il prof.Alfonso Maria Di Nola,storico delle religioni, a lungo ha studiato questo rito dei serpi legato alla festa liturgica di S. Domenico Abate, alla sua agiografia, al racconto appunto della sua vita e dei suoi miracoli scrivendo in un suo saggio pagine memorabili per la bellezza delle descrizioni e per l’erudizione dello studio
In sostanza S. Domenico e il rito dei serpi per Di Nola:
“…è sentito come un personaggio che domina una salvazione non solo contro i serpenti, i morsi di animali velenosi o rabbiosi, ma che determina una salvazione di carattere universale contro i mali del mondo. Possiamo dire, in sintesi, che il nostro tipo di civiltà posto-industriale, ci lancia in un tipo di incertezza totale, di esposizione esistenziale, di mancanza di radici che determinano delle nevrosi e delle crisi esistenziali soprattutto nei giovani. Il ritorno alla festa, il ritorno ai culti dei grandi santi popolari del paese è un tentativo di recupero delle radici storiche che appartengono alla nostra storia perché, identificandosi in un modello, raggiungono quel tipo di sicurezza che la società nella quale viviamo non ci dà: la festa è una garanzia di uscita dalle crisi esistenziali ed è un mezzo attraverso il quale il cocullesi o l’abruzzese, disperso nelle grandi città anonime nelle quali non sa trovare il suo habitat esistenziale, ritrova invece un modo storico di essere;è un recupero della storia. Qui a Cocullo, ma in tanti paesi d’Italia, si verificano fenomeni di diretto rapporto tra le popolazioni peregrinanti e queste figure di santità, di potenza taumaturgica come San Domenico. Ora, quando noi studiamo i fatti di religione in Italia e li studiamo non soltanto a livello popolare ma, diciamo, secondo la vecchia terminologia gramsciana, a livello egemone, cioè la religione dei dotti, ci accorgiamo subito che vi sono delle differenze fondamentali e questa differenza è forse nel fatto che nella religione popolare la figura di Dio è estremamente distante. Vi è una gerarchia delle potenze il cui primo approccio è rappresentato proprio dal santo locale, dal santo protettore oppure dal santo patrono che ci difende dalle malattie o che difende dai terremoti. Il che non significa che queste popolazioni o altre popolazioni d’Italia vivono in un clima di irreligiosità, che negano Dio. Significa che loro realizzano il loro modo di essere religiosamente e di seguire certe valenze etiche forse più intense di quelle che non si vivono nelle città attraverso un rapporto diretto, carnale con il santo locale”.


Piace ricordare anche con lo scritto che segue di Antonio De Nino che il primo giovedì di maggio del 1889 Cocullo vide in veste di serpari improvvisati due illustri personaggi che parteciparono alla processione. Si trattava di Antonio De Nino e Francesco Paolo Michetti . Di quella esperienza i due colti amici lasciarono una testimonianza. Michetti dipinse le sue impressioni nella famosa tela sui serpari , De Nino scrisse un colorito articolo pubblicato sulla Rivista di Lettere e Arti con il titolo “ Le serpi di Cocullo e un nuovo quadro di Michetti”.

“ Alla fine di aprile ,quando il sole comincia a stiepidire piante ed animali, nell’Abruzzo montanino, sbuca tra le siepi la mammola; il mandorlo con la sua fioritura commemora le nevi testè scomparse; l’asino fa le prime prove del raglio; le serpi dopo la rigida stagione risalutano il nuovo tepore ,lingueggiando a scatti continui. I serpari di Cocullo cominciano la caccia alle serpi. Il serparo le cerca a Valle Marzia ,alla Vrecciaria, a In Vipone, a Valle cauta, All’Antera e a Scastielle:tutte contrade fertili di serpi. Ma non le cerca già alla montagna della Riola , perché ivi la famiglia delle vipere vince quella delle bisce. Il serparo, posto in agguato, sorprende le serpi, le afferra al collo e le irrita con le “ zinne de ggli scappiegli”, cioè con le falde del cappello.

Le povere bestie sono tradite dalla madre natura. La natura dice loro – Reagite!-Ed esse reagiscono addentando quelle istigatrici falde. Allora il serparo tira a sé , con violenza il cappello; e le serpi perdono i più robusti denti. Le bestie così sdentate si fanno entrare in grosse pentole di creta tra la crusca , si coperchiano, e si sotterrano in un luogo fresco. Ma nel farvele entrare ci vuole un po’ di accorgimento. Si fa un buco nel coperchio , ovvero si scansa un poco il coperchio , tanto che vi sia una breve apertura. Per quel buco o per quell’apertura ,la prima serpe può entrare dalla via della testa; le altre dalla coda , seno, non c’è caso che entrino. Forse chi entra prima si avventa a chi viene dopo : e questo perciò arretra. C’è poi delle serpi che non si seppelliscono , ma si chiudono in cassette o scatole e si alimentano con il latte. Queste prendono il colore lattino e si chiamano serpi bianche.

Il primo giovedì di maggio i serpari disseppelliscono le pentole ,tirano fuori le serpi ( un centinaio , più o meno in tutto) e le recano in giro per il paese a manate. In quel giorno ricorre la festa di S. Domenico da Foligno , che nelle sue sante peregrinazione, lasciò a Cocullo un prezioso ricordo d’un ferro del piede della sua mula . Il quale fatto si commemora ancora con la vendita di certi ferretti ,dalla forma di ferro di cavallo, aventi la sola appendice di una cuspide o assicella ritorta o acuminata , che si prolunga ad angolo retto da un’estremità del ferretto! La cuspide serve alle donne per forare la stoffa , quando vogliono fare occhielli ; la parte a modo di ferro di cavallo serve per devozione. Una volta questa parte di fero si faceva arroventare e si imprimeva sui polsi e sulle braccia e sul petto dei devoti , come “tatuaggio” preservativo dei dolori di denti e di morsi di anumali idrofobi. Oggi non si fa il “ tatuaggio”, ma si poggia il ferro sui denti guasti e sulle fericte venefiche. A proposito altra vendita che si fa per devozione e per piccola industria delle femminucce , è quella delle matassine di lacci lavorati con cotone bianco , a cui nella tessitura si innestano , per formare come nodi di canna, alcuni fiocchetti di cotone colorato in rosso, verde e turchino. Questi lacci, sempre per devozione , sono legati ai polsi , sono messi a ciocche nelle spalliere dalle donne o avvolti nei cappelli degli uomini o si serbano in borsette e scapolari. S’intende che ferretti9 e laccetti non hanno efficacia se non strusciano sulla reliquia o sulla statua del santo. Nello stesso modo si benedicono fazzoletti, cappelli , medaglie corone,chiavi, collane, anellini, ecc.

A San Domenico si ricorre in ogni evenienza di morsicature velenose. Chi è stato morso o chi è idrofobo , all’entrare nel territorio di Cocullo o guarisce o muore. Chi torna a casa guarito vuol dire che è vivo. La vigilia e anche la mattina della festa , giungono a Cocullo numerose carovane dai paesi vicini, ma più dalle limitrofe province di Caserta e di Roma cantando la “ Viva Maria “. I divoti si trascinano ginocchioni , con le ginocchia nude , dalla soglia della chiesa fino alla statua del santo ,battendosi africanamente il petto con i pugni . Poi scrostano il calcinaccio delle pareti e lo conservano per devozione. Prendono anche con i denti la fune della campanella della chiesa, e tirano per non più soffrire dolori di denti. Ma dico io, un vecchio sdentato perché si affanna a tirare? O tirava perchè ci aveva preso gusto o tirava per farsi indurire le gengive.

Siamo alle undici antimeridiane sempre del primo giovedì di maggio. I serpari continuano il giro del paese con i loro mazzi di bisce in mano e attorcigliate al collo , o alle braccia, torqui e armille di una bellezza senza pari. I pellegrini sbalordiscono: chi si fa indietro, chi vuol toccare: tutti del resto hanno fede viva che in quel giorno le serpi non sono velenose. Avrebbero però fede maggiore se sapessero che Domeneddio tolse loro il veleno fin dalla creazione mosaica . Quando, verso mezzogiorno, la processione sfila, tutte le serpi si raccolgono attorno alla statua. Del Santo: le si attorcigliano in ogni membra. Entrano nel cappuccio e riescono da di sotto la tunica. Se cadono per terra, i serpari tutti pronti a raccoglierle e restituirle alla statua. Se sovrabbondano si portano come candele , innanzi e indietro al santo. Portatori di serpi innanzi alla statua , nell’anno di grazia che corre , fummo anche l’amico Michetti e io. Con che voluttuosi meandri le nostre serpi salutano il Santo ! E non solo facemmo da torcieri, ma da protettori, non finendo masi di raccomandare ai serpari meno sevizie nel maneggio delle bestiole. E chi non sentiva le nostre raccomandazione, doveva sentirsi le nostre imprecazioni: - O che le volete strozzare? Così possano strozzare voi!-

La processione rientra.I serpari, o uno che fa da capo, portano tutte le serpi fuori dal pese presso “ il Ponte”. Là il festaiolo o l’arciprete fa contare tutte le serpi e le paga tre soldi l’una. C’è poi chi le fa “scapolare”, cioè le mette in libertà nella terra di “Marano”: ma per lo più si ammazzano. ! Il nostro Michetti prima dell’eccidio , ne comprò un canestro e se le riportò alla sua diletta Francavilla. Gli dovevano servire per il quadro di S. Domenico ?
Io non ressi alla vista della carneficina serparesca , anzi a quella seconda strage degli innocenti , e piansi in modo che dovetti far ridere. Ma come non piangere? Sono tanto graziose quelle bestie. Per me ( sarò di cattivo gusto, ma non me ne importa), per me, dopo la donna la più bella creatura è la serpe : basti vincere il tradizionale orrore che abbiamo per lei. Vinta la prima impressione ci si prende gusto: gusto ai modi ondulatori ; gusto ai raggetti neri che si riflettono dagli occhiolini simili ad acini di frutti maturi di rovo. E chi mai dopo la donna, ripete, ci mostra più affascinante la linea della bellezza e della grazia se non la serpe? Onde a me piace San Domenico di Cocullo perché si circonda di serpi. E poi mi piace per un’altra ragione: San Domenico deve aver ispirato a Michetti il nuovo e grandioso quadro. Auguriamoci che ispiri ai festaiuoli la compassione per le serpi ; che non ne facciano più quella tale carneficina e che, invece, le mandino a “scapolare” nella terra di “ Marano”,”


Eremo Via Vado di Sole , L’Aquila ,mercoledì 26 maggio 2010

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