Quello di zio Francesco era il grande theatrum mundi ,la piazza che evocava il teatro della vita dove, allo stesso tempo, tutti sono tutti: attori e spettatori.
Fuori dal casotto mobile mio zio Francesco raccontava le imprese che evocavano “lu cuntu” che arricchiva sempre, pur sorprendendola qualche volta, la memoria dello spettatore quasi sempre analfabeta.

Lo so che quel suo sentimento epico popolare nel narrare le storie aveva influenzato mio padre Mimmo, che era il fratello più piccolo ,l’amato Mimmo come lui lo chiamava ,”lu picciriddu “ in vecchiaia quando non poteva più girare per le piazze perché senza più forze.
L’amato Mimmo un bel giorno nel bel mezzo della performance de “lu cuntu” aveva invitato quel pubblico a guardare sulla buca palcoscenico di quel suo casotto messo sulla piazza in attesa . Da quel palcoscenico comparve una splendente armata di pupi che raccontavano la grande storia di re e paladini .
DA SETTE ANNI CARLO MAGNO COMBATTE….
Nel corso dei secoli i “ cantàri” locali avevano costruito storie dal sentimento epico-popolare . E quegli spettatori non erano più gli stessi ogni volta che insieme al puparo, lungo tutta la rappresentazione, si reinventavano le caratteristiche delle storie prescegliendole per se e per le storie stesse.
Mio padre poi sul più bello chiudeva anche lui il sipario. La storia continuava. Quando ? La sera successiva,il prossimo giorno di festa, il prossimo anno.
GANO E’ FORTEMENTE RISENTITO…

Intanto Carlo si sposta a Valterne e lì viene raggiunto da Gano con i doni e gli ostaggi inviati da Marsilio. Nonostante i cattivi presagi (due sogni dal significato sinistro), Carlo muove il suo esercito da Saragozza. Rolando, eletto capo della retroguardia su proposta di Gano, rifiuta metà dell'esercito offertogli da Carlo chiedendo solo ventimila uomini più i dodici Pari…”
Si davano appuntamento ai confini dell’immaginario mio padre, mio zio e quel loro popolo facendo attenzione che in definitiva a ciascun personaggio delle loro storie il “vestito popolare” cadesse a pennello.
I FRANCESI DI RITORNO IN PATRIA :
Nel frattempo la retroguardia francese ridotta a soli tre uomini viene sopraffatta. Rolando colpito a morte tenta di spezzare la sua spada Durlindana non riuscendoci ed estenuato si accascia sul terreno con le mani conserte al petto. Giunto Carlo, sbaraglia gli avversari i quali inseguiti si danno alla fuga e annegano nel fiume Ebro.
Carlo, ormai bicentenario, in seguito all'apparizione in sogno dell'Arcangelo Gabriele parte per dare aiuto al re Viviano in Infa dove hanno posto l'assedio i Saraceni. E «Qui finisce la storia che Turoldo mette in poesia».”
Mentre per gli altri spettacoli i pupari rispettavano la trama classica per “Roncisvalle” esistono numerose versioni. Infatti di questo episodio del ciclo delle gesta di Carlo Magno esistono le versioni del Pulci, del Morgante , del Turoldo nella Chanson de Roland, del Turpino nella Cronaca.
Orlando sente che la morte lo invade,
dalla testa al cuore gli discende.
Sotto un pino se ne va correndo,
sull’erba verde s’è coricato prono,
sotto di sé mette la spada e il corno.
Ha rivolto il capo verso la pagana gente:
l’ha fatto perché in verità desidera
che Carlo dica a tutta la sua gente
che da vincitore è morto il nobile conte:
Confessa la sua colpa rapido e sovente,
per i suoi peccati tende il guanto a Dio.
Sta sopra un poggio scosceso, verso Spagna;
con una mano s’è battuto il petto:

“Dio! Mea culpa, per la grazia tua,
dei miei peccati, dei piccoli e dei grandi,
che ho commesso dal giorno che son nato
fino a questo giorno in cui sono abbattuto!”.
Il guanto destro ha teso verso Dio.
Angeli dal cielo sino a lui discendono.

verso la Spagna ha rivolto il viso.
Di molte cose comincia a ricordarsi,
di tante terre che ha conquistato, il prode,
della dolce Francia, della sua stirpe,
di Carlomagno, suo re, che lo nutrì;
non può frenare lacrime e sospiri:
Ma non vuol dimenticare se stesso,
proclama la sua colpa, chiede pietà a Dio:
“O padre vero, che giammai mentisci,
tu che resuscitasti Lazzaro da morte
e Daniele salvasti dai leoni,
salva l’anima mia da tutti i pericoli
per i peccati che in vita mia commisi!”.
A Dio ha offerto il guanto destro:
san Gabriele con la sua mano l’ha preso.
Sotto il braccio teneva il capo chino;
con le mani giunte è andato alla sua fine.
Dio gli manda l’angelo Cherubino
e san Michele del pericolo del mare;
insieme a loro venne san Gabriele:
portano in paradiso l’anima del conte.
Ma le domande che si rincorrono nella storia sono: “ era presente il Turpino? Giunsero in tempo Rinaldo e Ricciardetto? Chi fu il paladino che fuggì? Tornò indietro Carlo Magno a compiere vendetta? Come morì Orlando? Che fine fece la Durlindana?”
Cantavo spesso da ragazzo :“or si ferma ,or volteggia, or si ritira/e con la man spesso accompagna il piede ./Porge or lo scudo ,ed or la spada gira/Ove girar la mano nimica vede…” disteso sulla paglia, giù al buio sotto le assi del casotto mentre mio padre batteva ancora una volta lo scudo di un’armatura arabescata e dalle pitture ricercate.
Laggiù nell’ombra stavo in mezzo a tutti quei corpi. Corpi, teste, forme di animali di legni di faggio,noce, tiglio e cipresso. Mio padre li sceglie con cura. Un legno che dà corpo a nove sezioni: due piedi,due gambe, due cosce, un busto, mano e pugno
doppie mani. La loro anima è un filo di ferro. 45 centimetri di filo per i ragazzi e gli angeli, 56 centimetri per i cavalieri, 62-63 centimetri per i paggi mosti a soldati fino a 70 centimetri per i giganti. E poi l’alpacca e l’ottone per le armature a sbalzo con motivi arabeschi in rame. Le bacchette di ferro buttate sul pavimento pronte ad intervenire nelle sostituzioni ma anche anime in silenziosa veglia ed attesa.
Mi ricordo quella volta pensavo :” Stasera per la prima volta potrò trasformare in polvere la pece nera greca per ottenere l’effetto del fuoco per l’uscita sul piccolo palcoscenico dei diavoli e per l’incendio dopo versa la fine della rappresentazione di città e castelli.” Ma quelle storie non mi piacevano.
La nostra abitazione era la casa-teatro,dove durante il giorno ciascuno di noi aveva un ruolo preciso : chi lucidava le armature ,chi spolverava i visi dei pupi, ,chi preparava l’occorrente per riparare le marionette che si erano rotte durante i combattimenti,. Anche durante la recita serale ciascuno di noi aveva un suo compito. C’era chi suonava il pianino a cilindro e chi cominciava a svolgere le prime mansioni sul palcoscenico : porgere un pupo, dare la voce all’angioletto ,fare entrare un soldatino dall’ultima quinta ,ora dalla parte dei pagani ora dalla parte dei cristiani , tutto secondo il mestiere a cui mio padre teneva sommamente.
Eravamo sette figli . Mio padre tra un paesino e l’altro impiantava case-teatro nelle quali nascevano figli e pupi .
Gli occhi la sera, oltre che al palcoscenico erano rivolti all’ingresso della sala dove si svolgeva uno scambio : formaggi, uova, olive e frutta compensavano l’ingresso di diverse serate
Mi piacciono ancora oggi invece le rappresentazioni dei racconti cavallereschi derivati dalla Chanson de geste. Gli eroi di Carlo Magno celebrati dalla Chanson de Roland prendevano corpo nei pupi di mio padre e vivono ancora oggi in quei pupi che io ho conservato.
Da ragazzo disteso sulla paglia sognavo quelle avventure .Sera dopo sera intanto mio padre fin dal 1969 gira i paesini dell’entroterra della Sicilia e continua a rappresentare il lungo ciclo delle storie dei paladini di Francia.
Sono anni durissimi. La necessità di pane e lavoro dopo la prima crisi del Teatro dei Pupi degli anni Trenta lo ha portato a difendere questo mestiere coinvolgendo tutti noi di famiglia.
Ora le battaglie e i duelli della vita assumono la fisionomia di una danza armata, cadenzata dallo scontro delle spade e dell’impatto rumoroso dei corpi e delle armature. Tutta quella gente che assiste alle rappresentazioni non dimentica la vita quotidiana e in quelle rappresentazioni sente di essere un paladino in lotta contro il proprio datore di lavoro, contro un’ingiustizia della politica, contro i padroni.
Occorre allestire i fondali , le quinte, i teloni ma soprattutto i cartelloni , grandi manifesti di carta e di tela istoriati con scene che riproducono i momenti più eroici ed emozionanti dello spettacolo. Affossare dunque le telenovela, i seriali, i talk show , spegnere gli apparecchi tivvu.
Ecco la nostra vita come la rappresentazione del puparo: si può attraversare longitudinalmente tutto lo spazio scenico perché mio padre si muove parallelamente dietro il fondale, ma non si può avanzare sul proscenio perché limitati dall’estensione delle braccia. Ecco dunque la verità della rappresentazione e della vita: la limitazione. Nel caso del puparo l’estensione delle braccia. E scusate se è poco.
Oltre al lavoro con mio padre , alla partecipazione al festival di Spoleto il mio apprendistato si svolge sotto l’occhio vigile di Peppino Celano .Alla morte di questo maestro il 28 luglio 1973 apro il mio primo Teatro di Via Bara, all’Olivella.. Nel 1997 apro una scuola per pupari e nel 1977 avevo fondato l’Associazione “Figli d’Arte Cuticchio”
La “Macchina dei sogni” è un evento teatrale che ho pensato negli anni ed è arrivato alla XXII edizione. L’Unesco ha riconosciuto l’opera dei pupi “opera immateriale dell’Umanità”
E,ora che sono vecchio qualche giorno mi viene ancora voglia di cantare :”Or si ferma or volteggia, or si ritira/Deo mea culpa per la grazia tua / perdono dei miei peccati, dei piccoli e dei grandi / che ho commesso dal giorno che son nato/porgi lo scudo e or la mano gira…”
Complimenti!
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