
I versi come :” Pars me Sulmo tenet Paeligni termia ruris” ( da Elegia 2,16 di Amores) oppure “Sulmo mihi patria est gelidis uberrimus undis/Milia qui noviens distata b urbe decem “ (Tristia 4,10 3-4) sono la descrizione reale e concreta di luoghi, la campagna sulmonese ovvero la Valle Peligna ove il poeta alle falde del monte Morrone aveva un podere.
Ovidio non nomina in questi canti luoghi ma, per affinità e comunanze, si pensa subito all’attuale Fonte d’Amore e alla irruenza del torrente Vella che con le sue acqua gli impedisce l’attraversamento. Torrente Vella lungo il quale a cura dell’Amministrazione Comunale di Sulmona è stato realizzato oggi un parco fluviale.
Infatti scrive Giovanni Garuti in un altro saggio “ Ovidio esule e il paesaggio assente” pubblicato su Misura (Rassegna trimestrale di abruzzesistica Anno II ,Fasc. 2, 1978,n.2)
“…continuità con l’elegia 2,16 (Amores) si può riscontrare in Am. 3,1,1-5, mentre in altri due passi il semplice attributo aquosus accompagna due localizzazioni geografiche precise : 2,1,1 Paelignis…aquosis; 3,15,11 : Sulmonis acquosi.
Anche se negli scritti composti durante l’esilio raramente si fa menzione dei luoghi abruzzesi da un’attenta comparazione delle opere scritte prima e durante l’esilio viene in evidenza una nostalgia della campagna sulmonese e della Valle Peligna , luoghi che già presenti negli Amores saranno pianti come assenti, perduti per sempre. Sono i desolati lamenti dell’esule che costituiscono un catalogo di elementi che si esprime in versi e che parlano di abbondanza di acque, fonti sorgive,fiumi, erbe e fiori su prati tenui d’acqua, selve ed alberi ombrosi e rinfrescate dalle aure, canto degli uccelli , campi di frumento, vigne.
Così il paesaggio , come è stato, secondo uno studio del Segal ,elemento di unità nelle Metamorfosi, allo stesso modo costituisce uno dei trait d’union tra il momento inziale del poeta (Amores) e la sua triste conclusione finale. Riteniamo anche di veder riprodotta nelle opere dell’esilio, la dicotomia della funzione paesaggistica riscontrata sempre dal Segal nelle Metamorfosi stesse : a) condizioni esterne negative che influiscono sull’animo di chi vi si trova ( il poeta in persona nel freddo di Tomi e non più i personaggi delle leggende mitologiche)); b) stato di pace che improvvisamente si infrange: così doveva sentire ,Ovidio esule, quelle terre che negli Amores invece non avevano lasciato prevedere o presagire alcuna tragedia.”
Quando Ovidio tra il 25 e il 15 a.C. scriveva gli Amores, “frigidus e frigus”, nel loro significato di freddo , assumevano valenze poetiche come colui che non è riscaldato dalla persona amata, di fresco, specialmente in riferimento a fiumi e fonti. I termini hanno in sostanza una connotazione positiva. Al contrario nelle opere dell’esilio la “frigida aura” che deliziava le ombre dei boschi diventa similitudine di tremito d’angoscia.
Allo stesso modo ad un analogo esito perviene un altro tema poetico ovidiano studiato da S. Viarre (Ovide.Essai de lecture poetique.Paris 1976, pp. 47-50 riportate da Grulli ) che lo include tra le “images obsessionelles “ : quello dell’acqua del mare che specie nelle Heroides e nelle Metamorfosi, aveva assunto una certa alternanza di positività e di negatività ( naufragio, morte in mare).
Anche questo motivo, nell’ultimo Ovidio , finisce con il coinvolgere il poeta nell’implacabile sensazione di essere un naufrago, di aver tutto perduto, con la sola attesa della prossima fine.
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