venerdì 30 aprile 2010

HISTORICA. LUIGI DI RUSCIO : Le streghe s'arrotano la dentiera. - Prima parte -

HISTORICA . LUIGI DI RUSCIO : Le streghe s’arrotano la dentiera
- Prima parte –

Luigi Di Ruscio ha compiuto ottant’anni. Da molti, molti anni vive in Norvegia da emigrato “ secondo un senso geografico che appartiene ai viaggi perduti di tanti lavoratori della nostra penisola.”Operaio in Scandinavia non si è fatto confondere nemmeno dalla solitudine e se ha tradotto i versi di Ibsen:
“Vivere è la lotta con i mostri
nel profondo del cuore e del cervello
scrivere è tenere
giudizio finale contro se stessi”
ne ha scritto di suoi bellissimi, almeno a mio giudizio, contenuti in quella raccolta intitolata. “ Le streghe s’arrotano le dentiere” pubblicata da Alberto Marotta Editore nel 1966.
Luigi Di Ruscio è nato a Fermo nelle Marche nel 1930. Ha compiuto studi da autodidatta fin dall’elementari. Nel 1952 ha pubblicato a Milano un’altra raccolta dal titolo: “ Non possiamo abituarci a morire “ con prefazione di Franco Fortini.l
E’ poi emigrato in Norvegia dove ha lavorato come operaio metallurgico.
Scrive di lui Salvatore Quasimodo :” Le poesie di Luigi Di Ruscio seguono le soste dei lunghi soggiorni nei parks della miseria.Così per lui non possono avere importanza di locandine turistiche i colori dei paesi ,le pallide marine rugose… E ugualmente non ha valore toccare il reale poiché l’esatta espressione del Di Ruscio avviene proprio nelle indifferenze per la realtà cioè per tutto quello che è letteratura o censura perifrastico-sociale….”.

“…Di Ruscio inventa dunque nelle sue poesie ogni momento la sua esistenza.Egli sembra mettere assieme le parole con la metodica faticosa di come da operaio metteva assieme i mattoni. Va contro le leggi del discorso e le sue composizioni sono quasi dei maudits.E’ comunque una formica nel formicaio del nostro tempo,un’ape nell’alveare del nostro tempo , ma ha una richiesta irrinunciabile da fare . vuole sempre sapere, vuole essere messo al corrente del fine e del prezzo del suo lavoro. (…) Un salario affettivo che sia in accordo con la perfezione delle macchine (ma sono perfette le macchine?),una ricerca nella quale non si rincorrono finalità morali assolute ma solo le domande minime sul

senso di una esistenza da operaio. Domande che diventano quasi una valvola di sfogo , una spia rossa della resistenza organica alla fatica quotidiana ,il supporto perché ci si possa reggere ancora in piedi. Una vita tra le paure dell’adolescente , l’ansia del giovane per le paure della guerra ,la fatica da operaio nella maturità,l’esperienza di emigrante in Norvegia…”
“.. Non si distrae Di Ruscio nel raccontare queste cose nelle sue poesie e non crea la pagina da concerto da auditorium piuttosto il finito senso di una vita passata senza poter scegliere, nel senso sartiano della parola, rassegnato a vivere la vita passando gli anni con la partita a tresette ma anche con la voglia di viverla in un altro modo senza più speranza di riuscirci: “ a volte la vita la prendo in pugno,per poi ritornare ad essere questa controfigura di uomo”.

Da Le streghe si arrotano la dentiera

1.
Per la gatta in calore
le cavalcate dei gatti sopra i tetti
e l’allegria cancella le crepe delle case
la luna è insieme ai canti dei galli
il fischiare è questo voler ammutire i cani
che abbaiano e si agitano come volessero addentare
il vento di questa notte che porta l’odore della cagna
la luna passa tra le nubi e dà luce a occhiate
e cosa dovrei decidere in quest’ora di notte
che non giunge mai al suo termine
i pensieri s’attaccano ai muri e alle pietre
le streghe s’arrotano le dentiere sopra i tetti.

2.
Ha un numero di anni che non si contano
perché per il cantiere non si può passare
i sessant’anni
e lui deve aver falsificato le carte
ha fatto la guerra mondiale d’ardito
e racconta la vita degli assalti,
come prendere le donne e i fiaschi di vino
lasciando sui tavoli al posto dei soldi
le bombe a mano
e l’Africa ha avuto la sua fatica e la sua guerra
e tutto racconta del sole e del vento
e per ogni cosa dà la sua sentenza
parla con calma e il vino comincia a lasciarlo
da parte
perché dice che vuol fare la nuova guerra
e non prende pensione perché in guerra non si
mettono marchette
e per rimanere invalido occorre avere fortuna
trovare un proiettile savio che spacchi qualche osso
ma non è una fortuna che capiti a tutti
e la fortuna l’ha persa tutta nascendo.

3.
Mangia in estate pomidori in inverno patate
conosce la carne alle feste comandate o quando
mietono o battono
i porci li para tirando pietre precise sulle groppe
correndo sul campo di foraggi
scopre i nidi degli uccelli e delle serpi
mette i lacci sui fossi per gli uccelli assetati
alla sera sta silenzioso con gli occhi pieni di sonno
sente i discorsi dei grandi e certi pensieri li fissa
nel cervello
l’ulivo è come l’uomo
soffre il caldo in estate e in inverno la tramontana
e pensa metà del sonno all’uomo e all’ulivo
all’olio che sta tra le parti del pomodoro
in cui inzuppa la mollica del pane
scacciando le mosche stancamente perché è l’ora
del sonno
appoggia sulla coscia della madre la testa
dove ora le mosche possono fermarsi
non hanno più la mano veloce che le prende a volo
e gli stacca le ali per farle continuare a vivere
come un verme che la gallina becca.

4.
In questa strada ho cercato le prime parole
visto l’elmetto tedesco e lo scoppio delle bombe
case sventrate e notti sommerse nella paura
le immagini delle madonne trafitte
e cristi spaventosi gessi macchiati di sangue
le dure popolari di mio padre e brillava la marca
rossa
l’affanno che colpiva la mia gola la stretta nausea
sono cresciuto tra queste mura che s’alzano murate
con la terra
con l’erba murana che s’arrampica tra le screpolature
con i cardi sui cigli delle strade
dove camminava una morte tedesca o alleata
e non vi era neppure il tempo per piangerli i morti
e l’oscura fede che si faceva materiale
al fischio clandestino di bandiera rossa.

5.
La notte si chiude
con l’ultimo tram che fa tremare le case
e il miagolio dei gatti rimane nella memoria
tutte le immagini della giornata tornano
vorrei ancora goderli questi momenti
contemplare con calma tutte le immagini
le voci della strada hanno suoni inarticolati
forse è un uomo che traballa
e discute con nemici ignoti
e fa gesti con le mani per tutto avere
e non ha che l’aria
la luna impassibile
sembra che ascolti ogni nostra parola
che spii i sogni più intimi
quando sono liberati i nostri mostri
e dobbiamo correre.

6.
Oscillavano le cotte e le bandiere s’afflosciavano
i contadini che vanno alla confraternita
per avere la tomba
per non finire anche morti nella terra
intonavano gli inni dei riti
poi i cardinali e i nobili vestiti di nero
e la celere perché la folla non si confonda con loro
non si devono confondere dobbiamo vederli
sfilare soli
dobbiamo ancora soffrire in questa lotta
che ci fa impazzire

poi la madonna questo dolore che fa piangere ma
non ci ferma più
la folla che avanza se la porta come un fuscello
e la celere la folla che trabocca non la sostiene più
i cardinali se non vorranno essere pestati dovranno
correre
come un fuscello la folla porta la madonna
questo dolore che non pesa più.

7.
Ancora attendere con la fumata di tabacco puzzolente
il trinciato forte che arrotoli con calma
nella leggera cartina
nella strada dei sambuchi con gli odori dolci
della primavera
con i tulipani rossi che infioccano i campi di grano
tra la mosca e la zanzara petulante
in questa strada che diventa torrente quando disgela
all’acqua che sazia tutte le terre e i mattoni delle case
la gallina svolazza nell’aia sul primo fieno falciato
una volta d’uccelli tra i rami della quercia
che rinfoltito i rami e coperto i nidi scassati
dall’inverno
seduti sull’orlo di questa strada aspettiamo l’ultima fumata
aspettiamo di buttare l’ultima cicca.

8.
Passiamo gli anni con la partita a tressette alla sera
e le parole che si ripetono sempre sulle carte giocate
oppure camminare nella notte
dicendoci quello che abbiamo di più intimo
pensando al futuro come fanno i ladri con i loro piani
discutiamo il mondo cerchiamo la prova
dell’esistenza
ogni tanto qualcuno parte su piroscafi luminosi
qualcun altro va volontario o ad emigrare
nelle miniere belghe
e chi non ha migliaia di chilometri di mare
e la miniera neon l’avrà inghiottito
ritornerà come ritorna il militare con la valigia
piena di malinconia
qualche altro va a Roma con lettera a mano
si raccomanda al commendatore e al deputato
che cambiano una lettera con un’altra lettera
dorme in dormitori pubblici e mangia pane
e polvere
rincammina il giorno appresso su questa Roma
ubriacata
gli altri continuano a camminare per il paese
in tutti i sensi
ricordando i nomi delle costellazioni.

9.
Le ore sei sono l’inizio della nostra giornata
noi siamo l’inizio di tutti i giorni
inizia il giro delle ore
sulla trafilatrice che mi aspetta con la bocca
spalancata
inizia la mia danza e il mio spettacolo
in certe ore della giornata
entra nel reparto la chiarezza del sole
e per poco lo sporco nostro
è schiarito come nelle immagini dei santi
rubo il tempo per la fumata che raspa nella gola
spio come un ladro i minuti sul quadrante
dal grande occhio
pensieri dietro pensieri, una recita dietro una recita
poi calcolando gli istanti dentro un istante benedetto
ci scuote l’urlo della sirena
ci attende il riposo per la sveglia di domani
la suoneria che entra dentro i sogni esplodendoli
così per tutti i giorni della mia esistenza
con l’allegria fuori della mia ragione.

10.
Quando ho scoperto mio padre che guardava le formiche
il sole spaccava le pietre e intontiva i muratori
senza cappello di carta
una buca scura intorno granelli di terra impastata
e il brulicare delle formiche con troppo grandi

semi nella bocca trascinati
e mio padre con schifo ha strisciato il piede
sul nido
così ho imparato a guardare le formiche e ad avere
questo schifo
di umano in mio padre vi è solo questo astratto
schifo
questo assalto dei sensi della nullità che mio padre affoga
con la partita a stoppa contata con acini di fava
e ogni vittoria e ogni perduta salutarla di vino
e la sbornia gli porta una sorta di furore disperato
e scaraventa piatti e bicchieri contro il muro
e si condanna in questo furore e nel tacere
e nella fatica che è una battaglia già perduta
senza senso né scopo
mio padre ha scoperto nella formica la sua immagine
e la distrugge

il vino la fatica e il fumo alla notte gli scassano
il petto
con una tosse paurosa che è stata presente in tutti
i nostri sonni
distrugge ogni giorno la sua vita con una seire
lunga di anni
tropo forti per essere distrutti troppo presto
questo vizio di guardare la formica ha perduto
mio padre
vive sulla terra in perfetto rancore
la sua forza la sua terrestrità l’ha sdoppiato
e tutto a mio padre è divenuto perfettamente inutile
è rimasto il sapore della stoppa, il furore che attacca
il cervello
così anche a me la formica mi dispera
vivo in questo formicaio imparando a distruggere
me stesso con rabbia
perché di tante bandire mi è rimasto mio padre
che distrugge preso da schifo la laboriosa formica.

Eremo Via vado di sole L'Aquila. Venerdì 30 aprile 2010

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