VISIONI : I suonatori d’ottoni
“C'è un legame misterioso fra il suono degli ottoni e il tempo dei funerali. Sarà forse per la solennità pensosa che evocano, nel loro ritmo grave, però temperata da una pulsione festosa. Non hanno, gli ottoni, l'eleganza degli archi. Non sono lì per farsi guardare. Non sopportano di stare da soli. Sono fatti per andare per le strade, per stare in mezzo alla gente. “
Sembra l’incipit della prima scena di uno spettacolo teatrale che si svolge in ambienti consumati, minuziosamente ricostruiti fra pitture scolorite e brandelli di antiche tappezzerie, popolati di figure ai margini del tempo presente, ai margini di stanze che odorano di passato .
Quei suonatori di tromboni tutti con il proprio strumento sotto il braccio, trombe e tromboni e corni e sassofoni. E’ un'altra cerimonia che comincia. Un'altra geografia. Quella della memoria, così connessa del resto a questo luogo. Chiacchierano, raccontano storielle. Tirano fuori ricordi personali. Qualcuno più nostalgico azzarda un confronto con «prima del 6 aprile 2009, l'anno del terremoto . Il terremoto questo sconosciuto , che arriva all’improvviso e ti lascia un biglietto da visita che è come un marchio: quello della paura, dello stravolgimento, del dolore.
E quando questo terremoto non viene una sola volta anche se di soppiatto e quasi sempre di notte ma arriva frequentemente ? Non riesci a farci l’abitudine , di sicuro. E accade per esempio il lunedì mattina :
Lunedì mattina
torna ancora il terremoto.
Ricevere nuove istruzioni
da quell’istigatore alla distruzione
è come correre al gabinetto
per la paura
“ due parole con lo spirito santo
e amen”
come dice Pedro Pietri ricordando
un altro suo lunedì.
E poi i lunedì sono tutti uguali
per i poveracci come noi e come lui.
Uomini e donne con la mezzanotte
in bocca ora non riusciamo
più a dormire. Ci batte forte
il cuore in petto ed è come
sentire dentro il cuore
un martello, un trapano, un vento,
tutto confuso, com’è confusa la morte.
Ma poi, a pensarci bene,essere vivi,
sentirsi ancora vivi
è sperare di imparare di nuovo
a sorridere,
come quando ti ricordi un fiore,
il volto di un bambino,
le carezze di un innamorato,
come quando ti viene la nostalgia
di quelle cose che non sono
più avvenute e capisci
che è inutile chiederti il perché.
(3 giugno 2009)
Il perché di un terremoto. Il terremoto non ha un perché.
Eremo Via vado di sole, L’Aquila, sabato 19 novembre 2011
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