(parte I)

Studiò il Risorgimento e pubblicò i suoi studi nei volumi:
Il risorgimento dello Spirito italiano :1725-1861 (1928), La Santa Fede : la spedizione del Cardinale Rufo 1799 ( 1936), Il genio d’Italia (1940)
Rielaborò questo suo interesse storico in alcuni romanzi tra cui il più noto è Mezzaluna grigioverde pubblicato nel 1956.
Alle esperienze adolescenziali e alla sua terra natia dedica Romanzetto del Tione pubblicato nel 1961 per le Edizioni Scientifiche di Napoli e Stagione al Sirente pubblicato a Firenze da Vellecchi nel 1933.

Discorsi scelti di Cavour, Milano, Bottega di Poesia, 1925
Il Risorgimento dello spirito italiano Milano, L’Esamo , 1928
La terra e il principio nazionale ,Roma ,Felsina, 1931
Stagioni al Sirente,Firenze Vallecchi , 1933
Poesia e forza delle nazioni ,Lanciano ,Barabba, 1933
La Santa Fede , Milano , Mondatori 1936
Ichnusa Milano Scheiwiller ,1937
Il genio dell’Italia, Milano, Bompiani, 1940
Torpediniere,Palermo Flacccvio, 1942
Via Gregoriana , Milano Bompiani ,1951
Carlo Barbieri , Milano, Quaderni d’arte Scheiwiller,1954
Mezzaluna Grigioverde, Milano Bompiani ,1936
Romanzetto del Tione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane
1961

Sicuramente Gadda ebbe occasione di contatto: certamente tra i suoi Alpini, negli anni di guerra e di prigionia, e successivamente (ma anche prima della Grande Guerra) a Milano, dove furono studenti il compositore Bonaventura Barattelli e il pittore Domenico Cifani, e dove autorevolmente agivano giornalisti-scrittori quali Giovanni Titta Rosa, alla cui non occasionale frequentazione Gadda accenna negli abbozzi della Meccanica (RR II 1187), Massimo Lelj, che era una delle penne eccellenti al Corriere della sera, Silvio Spaventa Filippi, fondatore del Corriere dei Piccoli e aquilano d’adozione.
Come pure fu coinvolto nell’avventura della firma del Manifesto della razza. Scritto da alcuni scienziati fu, subito sottoscritto da 330 personalità in vista (anno 1938) desiderose di rendere pubblica, coram populo, la loro adesione alle nobili tesi in esso contenute.


Allo zafferano dedicano alcune pagine sia Giovanni Titta Rosa che Massimo Lelj
LA FIERA DI SAN QUINTINO

Arrivavano carretti di merciai, di ramai, di calzolai, e piantavano le loro tende fra la chiesa e il municipio; i castagnari mettevano i loro focaracci vicino al ponte, scaricavano i sacchi, accendevano la carbonella. Un grato odore di fumo e di castagne arrosto intiepidiva l’aria, e il suono a festa delle campane dava allegrezza. I mercanti di zafferano giungevano soltanto la mattina della fiera: Ad essi era riservato lo spazio davanti le vetrine della farmacia e alla porta del circolo, che era il posto dei signori.
E veramente la fiera, se riusciva una bella fiera, con gran concorso di gente da tutti i paesi della vallata, si doveva a loro. I signori del circolo si mostravano ben disposti a prestare sedie e tavolini, collocavano le loro bilance di ottone, le cassettine con i pesi fino al milligrammo, monete d’oro e d’argento, piastre e marenghi. Le bilance luccicavano come quelle del farmacista; i marenghi somigliavano alle medagliette che portavano le ragazze sul seno, ma valevano di più. I contadini, avvolti nei loro cappotti d’azzurro scuro ci si incantavano; e forse per incantare i loro occhi diffidenti, quei marenghi erano stati collocati così in vista, sul lustro tavolinetto di noce. Seduti o in piedi davanti alle bilance, i mercanti di zafferano non battevano ciglio, non rivolgevano la parola a nessuno; attendevano.




da ”L’avellano”di Giovanni Titta Rosa

ALLA RACCOLTA DELLO ZAFFERANO
”Alla raccolta dello zafferano i paesi erano parati di fiori a mucchi a strapunti soffici e carnosi, malinconici come il viola lilla dei lunghi calici, il bianco intimo dei gambi senza sole, e ci si smorzavano le pedate a tradimento , le pedate coi chiodi, che morsicavano i sassi, personali, conosciute;erano infiorate le scalinate che uscivano a cascate di pietra nei vicoli, e i vicoli, larghi, di quei fiori senza odore, scarti, che non importava a nessuno tranne forse ai ragazzi, e finivano fango calpestati.

I bulbi s’avevano da riposare ogni tanto allo scuro delle cantine e venivano ripiantati in riga astrofe come le cipolle Buttavano foglie come agoni inguainati, fiorivano prima di buttare le foglie davano fiori e fiori da cogliere ogni giorno.
Tornavano le ragazze coi cesti infilati al braccio, i canestri in capo leggeri, era un divertimento, abituate a fare la costa con la conca in capo, e sedevano in cima alla scalinata,con il capistelo sulle ginocchia a sfiorare, la piu’ femminile di tutte le operazioni, che pure non impediva a un giovanotto d’avvicinarsi a far finta di sfiorare per pudore e segreto d’innamorato, quando una gente onesta, cacciata dalle sue case, era destinata a doversi ficcare in testa che tutto, anche l’amore è denaro.
Facevano roteare il gambo con l’indice e il pollice e aprivano così i petali e spogliavano i tre fili rossi fino a due inutili gocce di polpa gialla in fondo al calice, coglievano quei fili sanguigni, li posavano in una forma di vimini da cacio e buttavano il fiore violentato; aveva portato e cresciuto i sui fili odorosi senza pigliarsi ombra d’odore, s’era fatto bello per essere colto e adesso fornita l’opera, non aveva altro da fare a questo mondo come certi insettini dopo l’amore.

Quei fili corallini teneri ed aggrovigliati, fumavano, s’abbrustolivano un poco, odoravano in tutta la casa. Conservati in uno stipo a muro, la gente di casa se ne scordava, e lo stipo glieli ricordava. Il respiro odoroso dello stipo e a cap’inverno, la voce dell’anno osia il prezzo. La voce usciva da qualche fiera, e non c’era da scomodarsi, i compratori sarebbero venuti apposta alla fiera del tuo paese...”
da ”Alla raccolta dello zafferano”di Massimo Lelj
Del piccolo tesoro dello zafferano ecco la descrizione che ne dà Lelj
“…le donne preferivano gli orefici ed amavano di destinare lo zafferano all’acquisto degli ori, ori per le figliuole,ori per le spose. Allora la vendita diventava un baratto : le donne consegnavano i loro cartocci profumati e dopo una minuziosa scelta nelle urne piatte di quei gioiellieri ambulanti,dopo pesi, verifiche e riprove, se ne ritornavano a casa con uno spirito santo raggiante attaccato ad una collana nuova,o con un paio di orecchini a volute barocche,smaltate d’azzurro. Così lo zafferano formava piccoli tesori …. (Stagione al Sirente ,1933)
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