DIARIO DI UN TERREMOTO. Diario per certi versi in prosa e per certi versi in poesia 9 e 10 agosto 2009
L’Aquila, 9 Agosto 2009
- Ho sognato Gioconda una signora
di Catanzaro – dice Cristian
all’improvviso mentre noi da due ore
guardavamo le foto scattate da Stefania
nel suo soggiorno ospite della signora Gioconda
e per due ore lui aveva dormito sulla sedia
però questa volta in silenzio senza russare
e tutti comunque se n’erano accorti.
Queste le sere a Via Acquasanta
Nel grande gazebo a luci spente per paura
degli insetti
grossi come uccelli,gli insetti dei terremotati
sono enormi somigliano ai pipistrelli
mucche al pascolo, cavalli scalpitanti,
lupi tutti addosso ai terremotati :
- spegnere la luce signori _
dicono le istruzioni per sopravvivere.
Così non si vede. - Tapparsi le orecchie signori –
ripetono le istruzioni. Così non si sente che tanto
è la solita solfa, la solita cantilena
poveri appestati pardon terremotati
(e ci fa pure rima) sciagurati e sventurati
(e la rima continua) tutto va bene
la tivvù ha detto che tutti i problemi sono risolti
e noi a ripetere non ci credete,non ci credete
che qui i problemi
aumentano di giorno in giorno.
Discorsi nell’afa del pomeriggio di fine luglio
mentre la trama dell’agonia della città
cresce tutt’intorno
ed è un grande palcoscenico di finzioni
in una luce pungente,in un’afa insopportabile.
E fuori la porta dell’ufficio comunale
dove a giorni alterni lunedì, mercoledì
e venerdì e solo dalle undici alle tredici
puoi consegnare domande, chiedere informazioni
sapere un giorno si e uno no che fine
farà la tua casa
ho visto il pianto di una donna
dai suoi occhi scendevano lacrime
che imitavano il blu oltremare
per il rimmel che s’era messo e nonostante
ciò il suo sguardo
era limpido come il cielo
d’un mattino d’estate
pieno di dolore, pieno di rimmel
e di dolore.
L’Aquila, 10 Agosto 2009
Gli occhi che hanno visto la rovina
non riescono a risollevare lo sguardo
fino a voi
inchinatevi per favore inchinatevi un momento
monti di pietra
la città di pezza a valle piange la sua sciagura
anche se non è piegato il suo cuore sotto
la sventura.
io la guardavo sorridere nei giardini delle case
nei gerani dei balconi,
nel profumo dei suoi vicoli, nel tepore
dei suoi tetti al sole d’aprile,
io la guardavo sorridere perché mi
parlava di te
e mi donava a volte un rimpianto
a volte il volo d’un uccello, la sua
gioia
nel balzo di un gatto e a volte capitava
di scorgere in tutto questo la vita
come in quei cavalli di pezza lasciati
malconci da un bimbo
che annusano l’odore della steppa e dormono
alla luce delle lampadine elettriche.
Io talvolta mi chiedo davanti a questa
rovina
abbandonata anche dalle ombre
mi chiedo vedendo penzolare un lenzuolo
steso al balcone
è forse una bandiera di resa ?
che bandiera è e penso ad una terra
senza bandiere ad un mare alto alto
e calmo calmo
ma sono pensieri che non riesco a mettere
in fila
che se ne vanno per conto proprio .
Io a volte mi domando perché siamo
rimasti
in questa città anche se come ubriachi
torniamo a pensare al domani
a quale sorte sarà oscura o lieta
perché non ricordo di quello che è stato
noi speriamo, senza vendere la memoria,
di tornare ad addormentarci agli ultimi
piani
nei letti di ferro con i sogni i sogni
d’amore per questa città.
Via Acquasanta L'Aquila
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