LETTURE ORIGINALI : KANT PER LA PACE PERPETUA E IL COSMOPOLITISMO
L’accordo di Shenghen che viene ora messo in discussione ha rappresentato un presupposto ,in termini moderni, per quel diritto di visita che già Kant proponeva nel suo Trattato per la pace .
Scherzosamente Kant aveva preso questa affermazione Per la pace perpetua dall’insegna di un’osteria e a lungo aveva illustrato all’oste la possibilità che questa affermazione divenisse un progetto politico :
Kant stese il Progetto per una pace perpetua nel 1795, sull’onda dell’entusiasmo per un evento preciso. Nella primavera di quell’anno c’era stata la pace di Basilea: la Repubblica francese aveva raggiunto la pace con la Spagna, con l’Olanda, ma soprattutto con la Prussia. Quest’ultima aveva finalmente riconosciuto l’esistenza dello Stato rivoluzionario francese. Kant scrisse quest’opera confortato dalla pace di Basilea ed entusiasta del fatto che anche il suo paese, la Prussia, avesse riconosciuto la Francia rivoluzionaria, per la quale egli manifestava forti simpatie. Qual è la costruzione che cerca di edificare con questo progetto? Questa costruzione parte dalla sua Critica del giudizio, di cinque anni prima, ed è legata a una visione sostanzialmente ottimistica della storia. Il Progetto per una pace perpetua è un’opera di carattere fortemente illuministico.
L’Illuminismo era improntato all’ottimismo: secondo l’Illuminismo la storia finora è stata oscurata da ignoranza e superstizione, travagliata da lutti, da tragedie, da guerre di religione, da guerre fratricide tra i popoli, ma i lumi della ragione, diffondendosi, porteranno il progresso, promuoveranno una civiltà sempre più avanzata. Nella Critica del giudizio Kant delineava una convergenza della natura verso i fini umani, scorgeva un finalismo della natura: gli organismi biologici e le cose belle ci danno il senso del fine, soprattutto gli organismi biologici sembrano nel loro insieme favorire la vita dell’uomo, essere finalizzati al benessere dell’uomo, che è un ente morale in quanto si pone il fine del bene. La Critica del giudizio disegnava quindi questa situazione: la natura sembra presentare un fine supremo che è quello di favorire la vita dell’uomo, lo sviluppo delle attitudini umane; l’attitudine umana superiore è l’attitudine al bene, pertanto la natura pare favorire l’uomo nel suo tendere al bene. Proprio su questa base si sviluppa il discorso, ripeto, ottimistico, del Progetto per una pace perpetua, dove viene affermato che la natura sembra, al di là degli antagonismi, preparare il terreno per la realizzazione piena dell’umanità, di un’umanità che viva in pace sotto l’egida del diritto. La prima premessa di tale progetto è la visione per la quale la storia converge verso un punto finale: la creazione di una situazione in cui il bene si possa realizzare. La seconda premessa è questa: per arrivare a quel punto c’è un passaggio obbligato, che è la creazione dello Stato. Kant afferma che lo Stato è «un’organizzazione del diritto esterno», un’organizzazione che permette di regolare i rapporti tra gli uomini in maniera stabile, in maniera sicura, punto di passaggio obbligato perché gli uomini possano esprimere il meglio di loro stessi e in particolare anche la loro attitudine al bene, al bene morale.
La storia e la natura convergono verso la finalità morale dell’uomo, ma punto di passaggio obbligato è la creazione di un’istituzione che sorvegli la naturalità e faccia sviluppare, invece, la ragione. Questa istituzione è lo Stato .
Come nasce lo Stato? Lo Stato nasce dall’esigenza di porre freno all’egoismo, di porre fine alla situazione naturale di reciproca violenza fra gli uomini, introducendo un elemento di carattere coattivo, una forza superiore rispetto agli individui che li costringa, anche loro malgrado, a rispettarsi reciprocamente. Kant avanza la considerazione, sviluppata poi anche dall’idealismo, che il diritto riguarda solo la sfera esterna: gli uomini, spinti a seguire le norme del diritto imposto dallo Stato, sono costretti a comportarsi in maniera civile, ragionevole, al loro interno possono mantenere istinti aggressivi, tendenze a prevaricare gli uni rispetto agli altri, ma il diritto, almeno nella sfera esteriore, fa sì che gli egoismi non si sfrenino e che gli uomini vivano una vita civile, premessa per la finalità del bene.
Kant sostiene che bisogna vedere lo Stato come frutto di un patto fra gli individui, di un contratto. Gli individui, come già in Hobbes, per loro convenienza arrivano a stipulare tra loro un contratto e si mettono d’accordo di rispettarsi reciprocamente sulla base di leggi che accettano tutti perché lo trovano vantaggioso e ragionevole. In Kant viene sottolineato molto l’elemento della ragionevolezza: l’individuo si rende conto che gli conviene rispettare l’altro uomo per ottenere anche egli a sua volta rispetto e per poter svolgere i propri affari senza essere turbato. Il discorso di Kant è importante: il diritto non opprime l’individuo, in quanto esso costituisce un freno del suo arbitrio, del suo libito, dei suoi desideri, ma si tratta di un freno che gli conviene accettare, perché grazie a questo freno può estendere il raggio della propria azione e goderne con sicurezza i frutti, mentre altrimenti vivrebbe in una situazione di perenne insicurezza. Ripreso il discorso di Hobbes, Kant vi aggiunge la considerazione che il diritto è qualche cosa di esterno, che viene molto spesso avvertito come una coazione, ma che in effetti l’uomo ragionevole riconosce come cosa propria, utile anche a se stesso.
La pace perpetua cerca di riproporre questo stesso tipo di discorso al livello degli Stati: come gli individui si sono accordati fra di loro e hanno raggiunto la pace attraverso lo Stato, così gli Stati, quali «individui in grande», dovranno accordarsi fra loro in una federazione per raggiungere la pace.
Altri progetti di pace perpetua ce ne erano stati fino a qualche decennio prima: i più importanti sono quelli che risalgono a Erasmo da Rotterdam, il quale, di fronte alle guerre di religione che si cominciano a profilare in Europa, elabora l’ideale dell’irenismo, del pacifismo. Erasmo ha scritto una Querela pacis, un Antí pólemos, opere contro la guerra, e ha aperto la strada a tutta una letteratura che si propone di creare una piattaforma per la pace universale. Egli è stato poi seguito da tanti altri scrittori fino agli illuministi, fino al progetto elaborato da Charles-Irénée Castel, abate di Saint-Pierre, cui s’interessarono Leibniz e d’Alembert con qualche scetticismo e Rousseau, che manifestò il suo aperto consenso. Ma qual è il limite di questi scrittori che precedono Kant? I progetti di pace, a partire da Erasmo da Rotterdam, scorgono prevalentemente cause psicologiche delle guerre come l’aggressività, o la mania di espansione dei sovrani, e quindi quasi sempre culminano in un appello ai prìncipi. Kant, invece, è stato detto, ha completamente laicizzato e modernizzato la diagnosi della situazione di guerra: questa non dipende dal vizio, dal male, non dipende da cattiva inclinazione psicologica, ma è dovuta a cause iscritte nella struttura sociale: è la struttura sociale dell’Ancien Régime, dell’assolutismo, a essere matrice inesauribile di guerre. Kant sposta la diagnosi dalla cattiva inclinazione dell’uomo, dallo spirito di aggressività dei prìncipi, a qualche cosa che invece si annida all’interno della società stessa. Il suo libro parte da basi nuove, risente molto delle speranze della Rivoluzione francese.
Duccio Canestrini Angela Taraborelli
FONTE http://www.iisf.it/scuola/kant/kant_pace.htm
Eremo Via vado di sole , L’Aquila ,
sabato 28 maggio 2011
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