(Parte seconda . Leggi anche : Paesaggio costituzione cemento )
Si è spesso parlato dell’influenza del paesaggio sui sentimenti, ma non credo si sia mai parlato di quest’influenza su un atteggiamento morale.
(Jean Genêt, Diario del ladro)
A colmare la lacuna denunciata da Genêt arriva questo importante saggio di Salvatore Settis, già presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e accademico di vaglia.
“Paesaggio Costituzione Cemento”, pubblicato da Einaudi, ci mette di fronte ad uno scempio inimmaginabile, e ci costringe a misurarci con quella vocazione all’abuso che oggi è una macchia sull’identità civile di noi italiani e al tempo stesso un segno sicuro della nostra disaffezione alla cosa pubblica.
L’Italia ha costruito buona parte delle sue fortune storiche proprio sull’eterogeneità e sulle dolcezze del suo paesaggio, humus fertilissimo per l’attecchimento di mille attività dell’uomo, ma anche ispiratore di vicende artistiche la cui eco ancora perdura e fa da traino ad un’immagine di “Bel Paese” che forse sarebbe il caso di aggiornare definitivamente.
Ma la nozione stessa di paesaggio soffre, nella sua accezione comune, di un’approssimazione che le si sta rivelando fatale. Settis, infatti, spiega molto bene come “paesaggio” non sia solamente il declivio boscoso che osserviamo da una finestra, un elemento estetico del nostro orizzonte quotidiano e mentale, e quindi un’istanza sacrificabile allo sviluppo. Il paesaggio è invece condizione irrinunciabile a quello stesso sviluppo, inteso in senso fisico, culturale ed economico, ed è così strettamente propedeutico al patrimonio pubblico (ambientale, artistico, culturale, economico) da risultarne indistinguibile, in ultima analisi.
La storia recente del rapporto fra noi italiani e il nostro paesaggio, invece, è una storia di ingratitudine e irriconoscenza, ma è anche un esempio unico al mondo di cecità e autolesionismo. La colata di cemento con cui ogni giorno sigilliamo centinaia di ettari di suolo è un’ipoteca sicura sulla qualità della nostra vita, e un’eredità avvelenata per le generazioni a venire. I costruttori oggi in Italia comandano, e impongono a tutto il paese un’agenda folle di cementificazione, utile solo al loro profitto e dannosa per la nostra salute, i rapporti sociali, il tessuto civile.
L’Italia, com’è noto, è un paese che soffre di una grave stagnazione demografica. La bilancia fra nascite e morti è praticamente in pareggio da molto tempo, e nonostante questo, in Italia si continua a costruire senza posa, come se da un giorno all’altro dovessimo trasformarci in un paese da mezzo miliardo di abitanti.
Gli strumenti per contrastare – argomenta Settis – però li avremmo, sono tutti nella Costituzione; e anzi l’Italia è stato un paese pioniere nel dotarsi di strumenti giuridici per la tutela del proprio paesaggio.
Un interocapitolo del libro è dedicato proprio alla formazione e allo sviluppo del concetto di tutela, e lungo, avventuroso, appassionante è il repertorio di passaggi storici che in Italia hanno sancito l’affermarsi di una coscienza in tal senso, dal cinquecento fino ai giorni nostri.
Ma la riflessione sulla conservazione dei beni culturali e paesaggistici oggi subisce un impasse drammatica, soprattutto a causa dei conflitti di competenza fra Stato e Regioni, e di quello che Settis definisce il conflitto irrisolto fra urbanizzazione e tutela del paesaggio. Leggiamo. “Il contrasto fra le ragioni della tutela, cioè del pubblico bene, e quelle degli interessi privati, che nel sistema di età fascista aveva trovato un precario equilibrio sorretto solo dalla ferrea centralità di uno stato deciso a contenere l’urbanizzazione, esplose con le autonomie regionali”.
Ecco il nodo da sciogliere. Ecco “la chiave di lettura del labirinto normativo in cui il paesaggio è prigioniero, e i cittadini sono ostaggi: sotto le questioni […] che sembrano governare il conflitto Stato-Regioni si cela in realtà la loro lunga guerra per le competenze”. Con ogni legge, sostiene Settis, si sposta il perimetro delle competenze degli enti, contribuendo alla vanificazione della tutela, neutralizzando ogni possibile controllo e dando luogo ad uno stato di fatto in cui ogni abuso è legittimo.
Chi può spezzare questo circolo vizioso? Solamente noi, i cittadini. Rivendicando appieno le nostre prerogative, mettendo in campo una nuova pedagogia dell’ambiente e del paesaggio, reagendo allo spaesamento che ci deriva dal non riconoscere più il paesaggio in cui viviamo e che ci fa sentire fuori luogo; facendo mente locale, ovvero partendo "dalla propria personale e limitata esperienza come primo passo per una più vasta presa di coscienza"; promuovendo infine una azione popolare che abbia al suo centro la convinzione, moralmente e giuridicamente fondata, che "l'ambiente, il paesaggio, il territorio sono un bene comune sul quale tutti abbiamo, individualmente e collettivamente, non solo un passivo diritto di fruizione, ma un attivo diritto-dovere di protezione e di difesa".
Il compito è arduo, è vero. Ma non c’è alternativa.
Salvatore Settis .Tra i suoi libri recenti: Italia S.p.A. L’assalto del patrimonio culturale (Torino 2007); Artemidoro. Un papiro dal I secolo al XXI (Torino 2008); Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile (Torino 2010); Artisti e committenti fra Quattrocento e Cinquecento (Torino 2011).
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 24 ottobre 2011
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