Ci sono stati degli eroi civili, nel corteo romano di sabato, che hanno sfidato disarmati i vandali incappucciati. Eroi che non hanno avuto indulgenza per energumeni della violenza un tempo definiti «compagni che sbagliano». Chi, da posizioni più comode, ha apprezzato quei manifestanti coraggiosi, ora non può non auspicare che quei «compagni che sbagliano» siano individuati, scovati e assicurati alla giustizia. Se è vero che gli scassatori erano nemici del «movimento», chi sa parli, chi ha foto o filmati li metta in rete. Senza giustificazioni. E giustificazionismi.
Quest'estate, dopo i riots che hanno bruciato Londra, la polizia, sulla base di una quantità impressionante di testimonianze visive, è entrata nelle case dei devastatori per prelevarli e arrestarli. I tribunali, nelle settimane successive, hanno lavorato senza interruzioni per celebrare i (regolari, rispettosi delle norme dello Stato di diritto) processi contro i teppisti. Alcuni, la maggioranza, sono stati condannati. Ad altri è stata riconosciuta l'innocenza. Senza isterismi, ma con fermezza. Vogliamo forse dedurne che la Gran Bretagna si è comportata come un Paese autoritario? No, e allora non si vede perché non si possa sperare che in Italia succeda altrettanto: raccolta rapida della documentazione, con l'aiuto dei tanti testimoni pacifici, individuazione dei responsabili, processi regolari ma spediti e, con le prove, severe condanne. Cose da nazione democratica, ma sicura delle sue ragioni, rispettosa di ogni libertà di manifestazione, ma inflessibile e intransigente con chi si è permesso di massacrare una città, di colpire i beni di gente onesta e inerme, di ferire poliziotti e carabinieri che semplicemente difendevano il vivere civile dall'assalto di (purtroppo molto numerosi) squadristi.
A Londra, quest'estate, l'opinione pubblica non ha concesso attenuanti ai violenti. Sono scesi con le ramazze per strada per ripulire la città, per rinsaldare la coesione di una comunità violentata. Per elementare senso civico. La solidarietà nei confronti delle forze dell'ordine non si è esaurita in un giorno ma ne ha accompagnato l'azione repressiva anche in quelli successivi. Per aver definito «rivoltosi» i teppisti, la Bbc è stata messa pesantemente sotto accusa. Sarà-capace l'Italia di tener duro? Di, stare a fianco della polizia anche nei prossimi mesi? O il giustificazionismo prenderà il sopravvento? O la linea divisoria con i violenti, così clamorosamente tracciata nel giorno della guerra, si sbiadirà, si annacquerà, chiamerà in causa il «disagio sociale», la «gioventù senza futuro», eccetera eccetera per invocare un trattamento più indulgente con chi sabato è stato considerato un nemico, un delinquente, un provocatore, un sabotatore della giusta causa delle manifestazioni pacifiche?
In passato, purtroppo, la condanna diluita fino alla scomparsa è stata molto frequente in Italia. «Compagni che sbagliano» era appunto, nella tempesta degli anni Settanta, la definizione ammiccante e vagamente collusiva nei confronti non solo di chi aveva optato per la lotta armata ma di chi si presentava alle manifestazioni con tenuta guerrigliera da ordinanza: casco, fazzoletto o sciarpa a coprire il viso, occhialetti anti-lacrimogeni, bastone con piccolo drappo rosso ornamentale altrimenti definito «Stalin», tascapane per la custodia di fionde, bottiglie Molotov e altri oggetti contundenti. In tempi più recenti, nel 2001, la condanna per il comportamento della Polizia alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, cioè dopo e non durante la guerriglia che aveva devastato Genova, cancellò del tutto la violenza praticata metodicamente non dai cattivissimi «black bloc», ma da forze ingenti del corteo, incluso un ragazzo armato di estintore e coperto da un passamontagna, Carlo Giuliani, ucciso dopo aver tentato di assaltare con numerosi suoi compagni una jeep dei carabinieri e di linciare chi stava dentro. La guerriglia era la stessa di sabato scorso a Roma. Ma a Genova la colpevolizzazione delle forze dell'ordine fu tale che la condanna della violenza di piazza si smarrì con impressionante velocità, dirottando l'indignazione del «movimento» esclusivamente sui black bloc, i nuovi capri espiatori, eletti come depositari del male dai paladini dell'eterno giustificazionismo.
Stavolta potrebbe, dovrebbe, essere diversa. La reazione di una parte dei manifestanti (anche se non sempre pacifici, e non sempre giovanissimi, come si è visto con gli sputi e gli ululati indecenti che hanno accolto Marco Pannella) lascia sperare che la barriera contro i violenti non venga infranta, non appena ritornati alla normalità. Che non venga riesumato il solito, stucchevole ritornello sugli «agenti provocatori» («un compagno non può averlo fatto», le «sedicenti Brigate Rosse», eccetera), sugli infiltrati, sulle forze oscure della reazione in agguato. Come dovrebbe accadere in una democrazia e non nell'eterno psicodramma italiano, sempre diviso tra la tentazione del linciaggio e quella dell'indulgenza plenaria.
Articolo di Pierluigi Battista pubblicato su Corriere della Sera, il 17/10/11
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 17 ottobre 2011
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