Da un lato, scopriamo il valore delle diversità; dall'altro, denunciamo il peso delle diseguaglianze. Ma le due letture si intrecciano raramente
Da qualche tempo ha crescente spazio – in analisi, dibattiti, proposte – il riferimento alle diversità. Un aspetto che si affronta con dati statistici, in analisi comparative, in documenti ufficiali e pubblicazioni di varie impostazioni. È tema di ricerche ed iniziative avviate grazie a bandi e finanziamenti dell’Unione Europea. C’è un aspetto dinamico: si guarda a possibili processi di cambiamento, a percorsi, nella prospettiva, appunto, una futura (possibile?) “società delle diversità”.
Teniamo presente questo dato: la popolazione mondiale sta per raggiungere la cifra di sette miliardi. Chiaro che saremo – e siamo già – proprio tanti; e che non si può essere che diversi.
Qui, limitandomi al contesto europeo, rifletto su alcune iniziative, già avviate o che si terranno nei prossimi mesi, delle quali ho conoscenza diretta.
“Living in diversity” è il tema posto al centro del suo impegno da un gruppo (i “concerned citizens of Europe”, così si definiscono) che da due anni ormai ha aperto, al Centro di Cultura contemporanea di Barcellona, un percorso di analisi e interventi. Ci si propone di far crescere, rispetto ai dati delle diversità, attenzione e consapevolezza. Nessuna risposta facile, nessuna soluzione a breve: si agisce in una prospettiva di medio – lungo periodo, riferita agli anni che abbiano davanti. Cercando di far crescere consapevolezza, appunto, della complessità dei processi in atto, dei molteplici e plurali soggetti coinvolti, dei dati della cultura di destra e del “populismo” che si sono in questi anni consolidati in tanti paesi europei; e certo del peso della crisi economica e sociale che stiamo attraversando.
Un altro riferimento: il 7 e l'8 dicembre prossimi si terrà a Berlino un convegno internazionale su “Diversity in societies of immigration”: studi di “casi”, e di modelli e politiche, con attenzione alle vicende – di cambiamento, di “integrazione”, di conflitto – in varie città europee. La domanda: come definire le diversità nel contesto delle nostre società, “società dell’immigrazione”.
Dunque l’impegno a ripensare le categorie di analisi e le parole stesse che usiamo. Si porta l’attenzione su contesti e normative, su strategie e pratiche, sui diversi “attori”. Si mette a fuoco il fenomeno dei numeri altissimi – e saranno sempre più alti – di coloro che sono parte dei processi di mobilità (meglio che dire migrazioni, un termine che coglie una parte soltanto di un fenomeno che necessariamente, nel prossimo futuro, andrà ridefinito).
Qui una nota sul “genere”, categoria ormai largamente recepita (io preferisco i generi). Di questo dato di diversità ci si è resi conto. Siamo donne e uomini.
Però non basta. Le diverse generazioni (condizioni, esperienze, aspettative); quali le risorse (economiche, culturali), quali i contesti (normative, processi di apertura, o resistenze). E anche in questo caso, importanti i molteplici, dinamici percorsi.
Gli altri riferimenti: ci sono le persone definite come diversamente abili e i “soggetti” LGBT.
Esperienze di vita a lungo lasciate invisibili, che sono oggi nominate.
Si è passati a un linguaggio, e ad attenzione e riconoscimenti, che rendono possibile appunto riflettere sulle diversità. In una conferenza all’Università di Padova (8 ottobre) si è affrontata in questa prospettiva la questione dell’omofobia: letture delle molteplici esperienze, iniziative, prospettive. Diversi: nella vita quotidiana, nelle relazioni. Certo anche nell’esperienza di discriminazioni; situazioni pesanti in molti paesi dell’Europa dell’Est, e certo ancora in Italia.
Ma – questo è emerso anche nel dibattito – assistiamo a un processo di crescente visibilità.
E di “voce”.
Oggi parliamo di coloro che sono diversamente abili (e non più di disabili, handicappati).
Anche queste, situazioni di invisibilità, e di fatto di esclusione dal “vivere normale”. In iniziative (realizzate dalla Fondazione Adecco in collaborazione con enti locali, che l’estate scorsa sono state presentate in incontri in diverse città) si sperimentano modalità di immissione nel mondo del lavoro di persone – giovani e meno giovani, donne e uomini – appunto diversamente abili. Operatori sociali, amministratori, imprenditori, e gli stessi soggetti, hanno avuto modo di, e sono riusciti a, riconsiderare le loro diversità nella prospettiva di vite, appunto, normali.
Analisi e letture che contraddicono la (più consueta) pratica di sottolineare, di questa fase storica, soltanto gli aspetti negativi. Tutti gli ambiti a cui si riferiscono questi accenni sono segnati dall’emergere di soggetti attivi e da spinte e meccanismi che, in qualche misura, aprono alla prospettiva di cambiamenti, di possibili percorsi, nella società, nella cultura. E c’è la pressione che in vari modi viene da organismi e iniziative a livello europeo e internazionale.
Stiamo – forse – imparando a collocarci nel quadro delle molteplici, complesse diversità.
Che si incrociano, certo, con i meccanismi – molti assolutamente tradizionali, alcuni nuovi – delle disuguaglianze: disuguaglianze nel riconoscimento di diritti, nella disponibilità di risorse economiche e nell’accesso a sostegni e servizi, e nelle “capabilities” (di questo ci ha reso consapevoli Amartya Sen).
Sono sistemi di pesanti disuguaglianze quelli in cui siamo collocati. Le nostre società sono strutturate in gerarchie economiche e sociali; anche il sistema dei diritti è, a suo modo, gerarchico. Non facile modificare questo impianto. Di questo ha parlato Romano Prodi nel ciclo di trasmissioni che tiene su La7, con attenzione ai meccanismi e ai dati, e con una forte denuncia della gravità dei problemi. Richiamando i meccanismi positivi che hanno caratterizzato, nei decenni scorsi, il “modello” del welfare state si è interrogato, facendo anche riferimento alle diverse situazioni e aree geografiche che conosce bene, sul mondo che verrà.
Nelle letture che colgono contesti ed esperienze in cui – in qualche modo – ci si apre allo scenario del vivere nelle diversità, quasi mai si affrontano le disuguaglianze. O si può forse dirlo così: questo dato lo si lascia sullo sfondo.
E nelle articolate analisi proposte nel corso della trasmissione del 18 ottobre, la parola diversità non è stata pronunciata.
Voglio solo dire che è davvero complessa, la lettura del sociale. Queste difficoltà le troviamo in tutti i differenti approcci disciplinari che si occupano di queste questioni (sulla base di statistiche e di studi approfonditi, affrontati sia a livello europeo sia in una prospettiva “globale”).
Non facile, confrontarsi con i molteplici aspetti del mondo che verrà.
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Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 31 ottobre 2011
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