La Libia del dopo Gheddafi affronta il primo non indifferente ostacolo. Il corpo del dittatore, congelato in una cella frigorifera, diventa il simbolo della battaglia politica che scuote il Consiglio nazionale transitorio (Cnt): c'è chi vorrebbe seppellirlo a Sirte in una tomba anonima, altri propongono di tumularlo a Misurata, la città martire assediata per mesi dai lealisti, la tribù di Gheddafi vorrebbe portarselo via, secondo le consolidate usanze beduine. Il Colonnello è già un cadavere ingombrante che sta scatenando reazioni contrastanti mentre scorrono sui siti Internet le immagini di un'esecuzione barbarica, profondamente diversa dalle versioni ufficiali accreditate a Tripoli.
Il tragico epilogo di Gheddafi fa affiorare, come forse era prevedibile, una Libia spaccata in due. Il Consiglio nazionale transitorio si prepara ad annunciare la completa liberazione del Paese, il passo che dovrebbe precedere le dimissioni del Governo provvisorio. Ma l'aspetto più inquietante è che l'annuncio avverrà a Bengasi, la capitale della Cirenaica che ormai si contrappone a Tripoli seguendo antiche divisioni che nessuna monarchia o dittatura hanno mai ricomposto.
Il dopo Gheddafi dovrebbe dare l'eccitazione ma anche la vertigine di una pagina bianca tutta da scrivere: l'inizio di trattative per formare un nuovo Governo, poi un'assemblea costituente ed elezioni, forse, entro un anno. Quello che stanno facendo in queste ore nella confinante Tunisia, domani alle urne per la costituente, dovrebbero ripeterlo i libici. Ma in questa atmosfera confusa e pesante, già incupita dopo l'euforia seguita all'uccisione del Qaid, sembra un'impresa quasi impossibile.
Seri dubbi ci sarebbero stati anche in una situazione meno tesa e per una semplice ragione: con Gheddafi è sparito lo Stato libico, un Paese che aveva tenuto in pugno per 42 anni.
In Libia non ci sono mai state elezioni ma neppure istituzioni, quelle che esistevano erano soltanto dei simulacri, un fantasma denominato Jamaihiriya, la repubblica delle masse. Che cosa fosse nessuno lo ha mai capito ma la gestione, anche quella burocratica, si riduceva al 'divide et impera' di Gheddafi che dominava distribuendo prebende e punizioni.
L'incertezza è massima perché insieme allo Stato si deve rifondare pure una nazione. La guerra è iniziata con l'intervento Nato in appoggio ai rivoltosi di Bengasi. Il Cnt nato in Cirenaica ha rappresentato in questi mesi la storica suddivisione della Libia: furono prima la colonizzazione italiana e poi la monarchia di re Idris, sostenuto dagli inglesi, a unire nel 1951 Tripoli e Bengasi. Queste contrapposizioni regionali sono affiorate con evidenza ed è stata pure avanzata l'ipotesi di uno Stato federale. Ma in questo caso sono forti i timori di disgregazione: la soluzione federale implica una spartizione del petrolio, difficile da accettare perché la maggior parte delle riserve è in Cirenaica.
L'altra incognita è quella etnica e tribale. Tripoli è stata conquistata anche dai berberi e questi non hanno intenzione di deporre le armi fino a quando non avranno il riconoscimento dei loro diritti. Pesano ovviamente pure le rivalità tribali. Le tribù sono 140, quelle che contano non più di una decina ma le vecchie fedeltà di clan resistono nonostante l'emancipazione dalle strutture tradizionali.
Poi c'è la questione islamica. Alla testa del Consiglio militare nella capitale c'è Abdel Hakim Belhaj: sono stati i suoi uomini che hanno conquistato Tripoli. È un 45enne con un passato nella Jihad e in rapporti con Al Qaida che ha conosciuto le duri carceri libiche. Nella nebulosa islamica, sostenuta dai finanziamenti dalle monarchie del Golfo, ci sono personaggi alla Belhaji, descritto come un pragmatico, ma anche altri meno inclini al compromesso. Una cosa è certa: la democrazia libica ancora prima di farla bisogna avere la forza di immaginarla. Questo è un Paese che deve riconciliarsi con se stesso e con i principi di umanità e legalità che negli ultimi decenni non ha mai conosciuto.
Il tragico epilogo lascia un Paese spaccato in due di Alberto Negri in Sole 24 ore 22/10/2011
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 26 ottobre 2011
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