Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera mercoledì 19 ottobre con l’articolo “Una bandiera primitiva” tenta di definire gli indignados. Chi sono ? Che vogliono? Martedì 18 su Libero e su Il Giornale Rondolino e Buttafuoco tentano a loro volta una fotografia di una certa tinta..Qualcuno ha affermato che queste analisi sono un atteggiamento snobistico sollecitato da una società di squali Ma sono veramente confusi ed emotivi, poco lucidi per il mondo attuale gli indignati che stanno manifestando in tutto il mondo ? Da chi sono formati gli indignati italiani: Movimenti spontanei nati sul web e sui social network Movimenti studenteschi come Unicommon e Link Sindacati come FIOM e Cobas Antagonisti e movimenti dei centri sociali italiani Ricercatori universitari come quelli raccolti da Rete 29 aprile e Coordinamento Precari Varie associazioni come quella del Popolo Viola.I punti fondamentali su cui vogliono delle risposte certe dai governanti : Un sapere pubblico: investire nel futuro finanziando oggi l’Istruzione Pubblica ;La Tobin Tax: una tassa sulle transazioni finanziarie ; L’acqua pubblica: no alla privatizzazione o liberalizzazione neppure della gestione di beni di primissima utilità;Default selettivo: se lo stato fallisce a pagare devono essere le banche, non i cittadini.Gli Indignados Italiani hanno anche dei leader: Francesco Raparelli di Unicommon; Giuseppe De Marzo di Coordinamento 15 ottobre ;Claudio Riccio di Link
Ecco il testo dell’articolo di Galli della Loggia : “L'indignazione è all'ordine del giorno. È di gran moda, anzi, visto che parti significative delle classi dirigenti europee e americane che fino a ieri sembravano del tutto a loro agio nel «sistema», adesso arrivano a dirsi, se non «indignate» anch'esse, perlomeno solidali con chi lo è.
«L'indignazione» all'ordine del giorno è l'ennesima manifestazione dell'antipolitica che cresce, della progressiva cancellazione dall'esperienza di masse crescenti di cittadini di che cosa voglia dire la politica e di che cosa sia il mondo. Infatti, chi cerca di capire come funziona la società, e insieme ha qualche rudimento di economia, e dunque qualche idea di che cosa siano la polis e il suo governo, di che cosa sia e di come sia organizzato il potere, non si indigna. Propone qualcosa, sciopera, fa la rivoluzione, vota per l'opposizione o ne crea una: ma non si indigna. Soprattutto non sta lì a «proclamarsi indignato». Marx non si indignava. E neppure Turati, per dire qualcuno di tutt'altra pasta. Robespierre lui sì, amava dirsi indignato, ma forse è passato alla storia per aver fatto anche qualcos'altro.
L'indignazione in politica, quando è autentica, è una reazione immediata ed elementare. Se diviene permanente, se diviene una bandiera, allora testimonia di una concezione delle cose più che semplificata: primitiva. È la concezione per cui il mondo dovrebbe essere buono e potrebbe esserlo se non fosse per qualche sciagurato che viola le regole senza che nessuno pensi a impedirglielo rimettendo le cose a posto. Non basta l'ingiustizia, infatti, per suscitare l'indignazione: è necessaria l'impunità dei colpevoli veri o presunti. L'indignazione - lo si vede e lo si sente bene nelle agitazioni odierne - è sempre una denuncia della protervia degli impuniti. Essa è animata da questo tratto elementare come testimonia del resto il carattere altrettanto elementare del rimedio che la piazza «indignata» propone per gli attuali problemi del mondo: il debito, i debiti? Non li si paghi! Un occhio per occhio finanziario, insomma: come non averci pensato prima.
Proprio per il suo tratto radicalmente (ed elementarmente) etico, l'indignazione ha successo innanzitutto fra i giovani ma più in generale in tutta una società come la nostra dove, come ho detto, sta scomparendo la politica con la sua noiosa complessità e dove tutte le spiegazioni del mondo fornite dalle ideologie di un tempo non hanno più corso.
Guai però, terribili guai, a sottovalutare la portata dei sentimenti elementari. Specie se scelgono come nemico un nemico già di per sé - per sua natura, a prescindere da ogni malefatta - impopolare come la finanza e le banche. È, questa, l'impopolarità tipica di ciò che risulta astratto, immateriale, lontano, per giunta transnazionale senza patria, incomprensibile (nessun gergo come quello finanziario è interamente dominato dall'inglese); come apparentemente incomprensibile è la magica capacità del denaro di crescere su se stesso. La finanza è il volto cattivo del capitalismo industriale che, almeno lui, si tocca con mano e più o meno si capisce cosa fa e come funziona.
Nulla come la finanza si presta a meraviglia a divenire il simbolo negativo dell'intero capitalismo, dell'intera dimensione economica quando questa non riesce più a darci le cose necessarie alla vita (innanzitutto il lavoro). Ma anzi, come sta accadendo in questi anni minaccia con le sue dure leggi di occupare ogni territorio sociale, di sterilizzare e cancellare ogni ideale collettivo, ogni progetto, ogni speranza. Quando accade cioè, come ora, che l'economia si trasformi in un economicismo asfissiante: vale a dire che essa diviene l'alfa e l'omega di tutto, il vincolo assoluto di ogni decisione.
C'è una sola barriera capace di tenere separata l'economia dall'economicismo. C'è una sola arma per impedire che le nostre società diventino altrettante succursali delle banche (magari della Bank of China): ma non è quella di indignarci e tanto meno di non pagare i debiti. È la politica. A tutti i costi, discutendo e dividendoci, ma questo solo ci può tirare fuori dai guai: tornare a una grande politica “
Dunque ?
Eremo Via vado di sole, L'Aquila,giovedì 27 ottobre 2011
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