ARTE FACTUM :In vetrina. Breve storia del luogo dove gli oggetti si fanno desiderare
Le vetrine sono un’invenzione della fine dell’Ottocento. Per fare lastre di vetro di grandi dimensioni non bastava più il fiato: c’era bisogno del soffio dell’aria compressa, un’invenzione, nel 1870, della francese Saint-Gobain. Sappiamo che la loro prima collocazione è avvenuta nei passages coperti parigini, luoghi costruiti sempre a fine Ottocento per consentire un passeggio al riparo dalla pioggia, dal traffico delle carrozze e delle prime auto.
Qui le merci per la prima volta — crinoline, corsetti, cappelli — sono state messe in mostra come se si trattasse di un acquario o come se fossero su un palcoscenico traslucido. Quel che è meno noto è che contemporaneamente alle merci, negli stessi passages venivano messe in mostra le prostitute. Così la “fantasmagoria” delle merci, la stessa a cui oggi siamo abituati di fronte alle boutiques e negli shopping center, e che ci fa diventare tutti leche-vitrines, “lecca vetrine” come dicono i francesi, ha alla sua origine un erotismo dichiarato.
Le merci, gli oggetti, qualunque cosa venga messa in vetrina si “anima” e prende un aspetto che non è quello di tutti i giorni. Si “fa desiderare” e il nostro desiderio di avere quello che appare dietro lo schermo trasparente fa sì che spesso non è l’acquisto, ma anche il solo passare davanti le vetrine a farci sentire vivi e normali.
La ragazza piemontese che ha inventato in questi giorni uno stupro rom per non confessare un rapporto sessuale giustifica la propria normalità dichiarando: “Non sono una bigotta, mi piace Facebook, e uscire con le amiche e guardare le vetrine in centro”. Perché anche Facebook è una vetrina e le vetrine vere e proprie oggi costituiscono quello che dà un’identità di “consumatore libero” alle nuove classi medie cinesi, indiane, o russe.
La vetrina ha vinto sul socialismo perché ha colto nel bisogno di rapporto desiderante con gli oggetti qualcosa di molto più universale, una sensualità degli oggetti come sostituto o tramite della sensualità tra le persone.
La moda ha fatto diventare le vetrine il luogo dove attingere o cercare identità legate a un’immagine di sé come oggetto vivente da guardare. Così le ricche cinesi di Hong Kong vestono Prada per apparire non ricche, ma “distinte”, secondo un’idea di distinzione che ha a che fare con il gusto di chi fa la moda, il vero teatro mondiale delle nuove identità accettabili.
Per capire come siamo vicini ancora all’origine delle vetrine basta viaggiare un po’ e rendersi conto che a Pechino come a Varsavia, ad Hanoi come a Dubai, a Bombay o a Rio gli shopping center sono diventati il vero centro delle città, nuovi passages coperti, che rispondono alla stessa funzione di 150 anni fa, quella di sfuggire gli elementi climatici e l’impossibile traffico urbano (oggi sentito come 150 anni fa come nemico dei luoghi pubblici e della loro sensualità).
Il modo con cui la gente in tutto il mondo sciama accanto alle vetrine dovrebbe far riflettere sulla banalità delle tesi che vedono nel consumismo solo l’imitazione di una folla succube alla pubblicità. Nel rapporto con le cose, con gli oggetti, con le merci c’è per le società una relazione simbolica fondamentale. È vero che siamo feticisti nei confronti delle merci, ma proprio perché gli oggetti non sono mai solo funzionali, come non è una statuetta vudù o un rosario di preghiera.
Le cose sono vive come noi.
Franco La Cecla 16.11.2011
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, domenica 12 febbraio 2012
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