ARTE FACTUM :In vetrina. Breve storia del luogo dove gli oggetti si fanno desiderare

Qui le merci per la prima volta — crinoline, corsetti, cappelli — sono state messe in mostra come se si trattasse di un acquario o come se fossero su un palcoscenico traslucido. Quel che è meno noto è che contemporaneamente alle merci, negli stessi passages venivano messe in mostra le prostitute. Così la “fantasmagoria” delle merci, la stessa a cui oggi siamo abituati di fronte alle boutiques e negli shopping center, e che ci fa diventare tutti leche-vitrines, “lecca vetrine” come dicono i francesi, ha alla sua origine un erotismo dichiarato.

La ragazza piemontese che ha inventato in questi giorni uno stupro rom per non confessare un rapporto sessuale giustifica la propria normalità dichiarando: “Non sono una bigotta, mi piace Facebook, e uscire con le amiche e guardare le vetrine in centro”. Perché anche Facebook è una vetrina e le vetrine vere e proprie oggi costituiscono quello che dà un’identità di “consumatore libero” alle nuove classi medie cinesi, indiane, o russe.

La moda ha fatto diventare le vetrine il luogo dove attingere o cercare identità legate a un’immagine di sé come oggetto vivente da guardare. Così le ricche cinesi di Hong Kong vestono Prada per apparire non ricche, ma “distinte”, secondo un’idea di distinzione che ha a che fare con il gusto di chi fa la moda, il vero teatro mondiale delle nuove identità accettabili.

Il modo con cui la gente in tutto il mondo sciama accanto alle vetrine dovrebbe far riflettere sulla banalità delle tesi che vedono nel consumismo solo l’imitazione di una folla succube alla pubblicità. Nel rapporto con le cose, con gli oggetti, con le merci c’è per le società una relazione simbolica fondamentale. È vero che siamo feticisti nei confronti delle merci, ma proprio perché gli oggetti non sono mai solo funzionali, come non è una statuetta vudù o un rosario di preghiera.
Le cose sono vive come noi.
Franco La Cecla 16.11.2011

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