BURAN : Terremoto e neve
Ed è come dopo il terremoto la notte si sentono solo i cani latrare nel centro storico, o nelle immediate vicinanze. Di giorno si sente il raschiare delle pale sul selciato perché purtroppo occorre fare molte cose da sé in quanto la mano pubblica arriva ,ma con lentezza e non dappertutto. Strade e corti private, che sono frequenti e rappresentano spazi piuttosto ampi all’interno della rete urbana non hanno diritto alla pulitura da parte del Comune. Occorre fare da sé, arrangiarsi o pagare lo sgombero della neve.
Ma non è questo il tema del post che prende lo spunto dall’eccezionale ondata di maltempo. Il tema è appunto quello della sussistenza e del cambiamento ,seppure progressivo di un modo di vivere . Titoli cubitali sui giornali di stamani annunciano un week end da paura , da incubo, per la ulteriore precipitazione nevosa attesa per il fine settimana. In una regione e in una città in cui lo sport invernale più diffuso è lo sci la neve è diventata un incubo. Ma la neve è stata ed è , dal punto di vista turistico e non solo, una risorsa e una ricchezza. E allora ?Ce ne vuole a trasformarla in un incubo. Eppure è questa l’idea che sta passando. Perché? Perché probabilmente un paese che fino agli anni cinquanta dello scorso secolo poteva definirsi agricolo ha perso di vista quella cultura. Una cultura materiale la cui tradizione orale racconta le modalità di sussistenza in un ambiente ostile dal punto di vista del territorio e climatico che sono state messe nel dimenticatoio. Occorre tornare a fare cose che abbiamo dimenticate o che oggi rifiutiamo Come camminare per esempio, fare provviste alimentare durante la buona stagione , conservando quello che l’orto e il campo ci dà in più rispetto al consumo normale stagionale. Bisogna diversificare le fonti di energia e quindi le modalità di riscaldare le case e i luoghi di lavoro usando per esempio gas metano, legna, pellet, fotovoltaico . Bisogna modificare le abitazioni in modo da evitare la dispersione di calore. Bisogna dedicarsi di più alla manualità usando per esempio il tempo di inattività dal lavoro nei pomeriggi e nelle serate di freddo e gelo .
Se si va a curiosare su You Tube o su Google nei siti e nei video che danno informazioni sui kit di sopravvivenza si trovano Kit di sopravvivenza che possono essere di diverse tipologie, ognuno adatto ad una situazione particolare, con kit alimentari, di sicurezza, per la sopravvivenza, militari, medici, e molti altri ancora. Sono Kit usati non soltanto da privati ma anche gli enti militari sono equipaggiati con ogni tipologia di Kit.
Ma il problema non è quello di sopravvivere in situazioni limite, e quindi di garantire alcuni standard minimi vitali. La questione è aprire una riflessione sul nostro attuale fragile modo di vivere che non riesce a far fronte ad alcune semplici calamità naturali che nei decenni passati si sono ugualmente verificate e alle quali si è reagito nei modi opportuni. Io non credo che ci stiamo avviando , a leggere l’ingegner Vacca verso un medioevo prossimo venturo anche se poi. A sentire Umberto Eco il medioevo non è stato quel secolo buio che siamo abituati a ritenere ma secoli fecondi sia dal punto di vista culturale che politico che tecnico e scientifico in quanto seme di molte delle cose che noi usiamo e che organizzano la nostra attuale società. Dunque non una sopravvivenza al limite ma un nuovo modo di vivere.
Non un ritorno ad un mondo in cui al sorgere del sole, uomini e donne si recavano a far legna nel bosco o a lavorare nei campi; i ragazzi (niente scuola ovviamente!) andavano a pascolare le pecore. L'unico cibo per la colazione era un po' di torta di granturco avanzata la sera prima. Oppure quando c’era pane mettevano, gli uomini in tasca e le donne nel grembiule, da mangiare strada facendo. Fino a quando a metà giornata parenti o il padrone della terra non portava altro cibo.
Ma il recupero di quella cultura contadina che evitava gli sprechi, incanalava gli sforzi, massizzava le risorse .
In altre parole riscoprire la continuità nel tempo della cultura contadina, ancora presente nell'inconscio personale e collettivo contro l'ineluttabilità del cambiamento storico,arrivato con la modernità che, come una valanga inarrestabile, travolge e inghiotte tutto ciò che incontra sulla sua strada..
D’altra parte è ciò che fanno molte masserie biologiche e fattorie didattiche , bed and breakfast del territorio aquilano fino ad arrivare al recupero dei semi antichi, tra cui il farro, il grano tenero “solina”, la “patata turchesa”, il mais “quarantino”, i legumi autocotoni, coltivati in modo naturale.
Dunque un “ vecchio proverbio dice “chi va piano va sano e va lontano”. Credo che sia nato in un mondo antico e agricolo, dove il tempo era dettato dal ciclo delle stagioni. Per i contadini l’unico mezzo di trasporto era andare a piedi; e anche chi poteva disporre di un cavallo o di una carrozza andava poco lontano, rispetto a ciò che possiamo fare oggi, e ci metteva un’infinità di tempo. Il lavoro nei campi era pesante. L’orario era “dall’alba al tramonto”; sei giorni alla settimana (se davvero riposavano la domenica). Un po’ meno pesante nel freddo dell’inverno, quando anche le piante riposano; sfiancante d’estate. Possiamo o vogliamo tornare a quell’era bucolica? Credo di no. Ma non è un buon motivo per vivere ossessionati dalla fretta.”
Un inverno pieno di neve ci richiama dunque alla lentezza perché non è vero che il mondo debba muoversi sempre più in fretta. “In realtà un po’ di accelerazione servirebbe là dove servizi mal strutturati fanno perdere un’infinità di tempo. Sono il primo a trovare insopportabile che per un’ora di volo se ne debbano perdere tre in trasporti urbani e attese negli aeroporti. Per non parlare delle sciagurate tecnologie che ci fanno perdere tempo con sistemi telefonici malfunzionanti, code inutili, infinite scomodità che potrebbero essere eliminate usando le risorse tecniche (e umane) con un po’ di raziocinio. Ma di questo quasi nessuno si occupa seriamente. E intanto tutti vanno di corsa, senza sapere dove o perché.”
Essere fermati dalla neve dunque permette di riflettere e di rallentare nella vita quotidiana quello che chiamo “la velocità di internet”. Una velocità travolgente che ci sta disabituando alla vita comune . Perchè nella cultura e nella società della rete ci sono valori antichi. Non si tratta di un ritorno al passato, né di un “ricorso storico”. I nuovi sistemi di comunicazione non hanno precedenti nella storia dell’umanità. Ma molti dei comportamenti e delle relazioni sono più comprensibili se li osserviamo dal punto di vista della natura umana, come la conosciamo fin dalle origini. Ecco la neve ci permette di osservare internet dal punto di vista umano.
I moderni mezzi di trasporto ci danno una mobilità senza precedenti; la rete ci permette di continuare il lavoro e le relazioni dovunque siamo. Possiamo liberarci non solo dai vincoli di concentrazione dell’economia industriale, ma anche dal condizionamento territoriale dell’economia agricola o mineraria.
Anche nella scrittura qualcosa è cambiato. Scrivere a macchina voleva dire usare un unico carattere, sempre della stessa grandezza.
Non c’era più calligrafia, né la possibilità di scrivere più grande o più piccolo, più chiaro o più scuro, collocare le parole diversamente sulla pagina, inserire qua e là una freccia o un disegno. Con un computer, tutto questo è di nuovo possibile; possiamo scegliere i caratteri, cambiarne la dimensione, impaginare come vogliamo, usare neretti e corsivi, inserire simboli e disegni. Insomma esprimerci in modo molto più personale.
Perfino l’arte della stampa non è più a senso unico. Possiamo tutti diventare tipografi, impaginatori, redattori, editori. Fare dieci, cento, mille copie di ciò che ci interessa. O, senza neppure usare una stampante, metterlo online.
E allora con la nostra neve possiamo godere del senso di queste cose come cose che ormai ci appartengono e che stanno al nostro servizio. Non siamo noi che siamo al loro servizio .
Ma siamo andati un po’ lontani e la riflessione può arenarsi qui . Con l’impegno di tornare a riflettere su questi argomenti.
Eremo Via vado di sole, L’Aquila, mercoledì 8 febbraio 2012
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