BIBLIOFOLLIA : L’unico scrittore buono è quello morto,


Ma se Tolstoj passa una brutta giornata, pure Shakespeare deve vedersela con un mediocre tutore dell’idiozia, un giudice, che ha deciso di condannarlo per plagio e diffamazione, avendo il grandissimo inglese rubato le sue storie a destra e a manca, con l’aggravante, da lui ingenuamente pensata come sola, onorevole discolpa, di “averci messo la poesia”…

Rossari racconta storie così. Brevissime, a volte ridotte a fulminanti battute, a scambi o pensieri non solo di scrittori giganteschi ma di poveri, comici, disgraziati scriventi… Se ai grandi risparmia le reazioni estreme vagheggiate dal comune lettore, dei restanti colleziona immagini definitive. “C’era uno scrittore che aveva letto un solo libro, il suo. E gli era bastato”. E ce n’era un altro “che considerava la letteratura finita, anche perché non leggeva mai un libro.”
Le vicende umane e professionali degli scrittori – di quelli veri e di quelli farlocchi - possono essere tragicomiche, come quelle di chiunque altro, ma godono, si fa per dire, di una peculiare caratteristica: sembrano poggiare sul nulla, non hanno appoggi sicuri, il mestiere in sé può non sembrare un mestiere, non v’è certezza, come dire, statutaria, figuriamoci ontologica; è un’avventura destinata per lo più alla sconfitta, e in nessun altro caso la disfatta è spietata quanto in questo eterno Purgatorio sospeso fra la gloria e l’abisso. Nessuno - è noto - perdona a uno scrittore di non esserlo compiutamente… Epperò, cos’è quella mancanza? che vuol dire? non finire un romanzo, non pubblicarlo, non venderlo? o semplicemente non essere cacato da nessuno - nemmeno dai propri amici? Rossari sa che parlare di scrittori non è come parlare di ingegneri. O, ancor meno, di farmacisti. Ché poi la natura precaria degli scrittori dipende anche dai lettori (e mica sempre con la testa a posto pure loro, a cominciare dalle lettrici che si aspettano di essere scopate a sangue da un ficaccio col proprio nome stampato da qualche parte), dagli editori e via dicendo. Tutto questo complica la faccenda, già poco limpida di suo… Metti a scuola, che ci hanno raccontato di una certa tradizione romantica, che ci sarebbe come “un sentire” dello scrittore… Il narratore di Rossari sa per esempio di uno scrittore isolato in uno sperduto villaggio del cosiddetto Terzo mondo: be’, costui non aveva una penna né un foglio, forse nemmeno una lingua. Così, “se ne stava lì, seduto su una roccia, a contemplare il creato. Eppure era uno scrittore”. Umanità dalle strane caratteristiche, non c’è che dire. E c’era quell’altro – ancora - che “stroncava montagne e partoriva topolini”.

di Michele Lupo Il paradiso degli orchi 26 gennaio 2012

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