martedì 14 febbraio 2012

ET TERRA MOTA EST : 1703 IL GOVERNO DELLA CITTA’ FU DECIMATO E CI FU IL RISCHIO CHE L’AQUILA FOSSE ABBANDONATA IN MANIERA DEFINITIVA…( PARTE PRIMA )

ET TERRA MOTA  EST  : 1703  IL GOVERNO DELLA CITTA’ FU DECIMATO E CI FU IL RISCHIO CHE L’AQUILA FOSSE ABBANDONATA IN MANIERA DEFINITIVA…( PARTE PRIMA )

 

Scrive lo storico Orlando Antonini   “ Del sisma del 2 febbraio 1703, il quarto di carattere distruttore nella storia dell’Aquila, sappiamo molto più rispetto agli analoghi precedenti del 1461, del 1349 e del 1315. Di esso si hanno varie relazioni, ad esempio il Raguaglio sottoposto all’autorità regnicola dai maggiorenti cittadini a tre mesi dal terremoto, i cui testi riferiscono anche di impressionanti fenomeni naturali concomitanti.

Il Raguaglio riferisce anzitutto che prima del big one del 2 febbraio vi furono due scosse già distruttive: una il 14 gennaio (“Mà essendo piaciuto à Nostro Signore per suoi impenetrabili giuditij per fatale preludio della sua imminente rouina verso le due hore della notte far seguire vn Tremuoto così violente, che fè precipitare nella Città vn Campanile, con parte della facciata della Chiesa di San Pietro di Sassa, e parte della facciata di San Quintiano, senz’altro daño, fe non che del timore de’ Cittadini, che con voci di contritione implorarono il Diuino aiuto, e l’intercessione de’ Santi.

La nobiltà ridotta à quell’ora nel Publico Palazzo al diuertimento del giuoco smarrì ad vn tale accidente, e tutta la Città rimase spauentata”), e un’altra il 16 seguente (“replicò à 16 detto; giorno di martedi il tremuoto più gagliardo del primo, lesionando molte Case, Chiese, e Palazzi; distrusse la Chiesa di San Pietro di Coppito, e quella di Sãta Maria di Roio, & atterriti gli abitanti, e Cittadini si ridussero alle campagne sotto le baracche, con patimenti, freddi, & incomodi insoffribili; ricorsero all’antidoto della penitêza per placare l’ira Diuina, con digiuni, Confessioni generali, orationi, & esercitij spirituali promossi dalla carità e zelo, delli molto Reuerendi Padri della Compagnia di Giesù, ed altri Religiosi “).


Il 2 febbraio, infine, “replicò il terremoto, e fu così orribile, che con vn breue miserere rouinò la Città, sucesse questo, alle ore 18 de’ due Febraro 1703 giorno dedicato alla Purificatione di Maria sempre Vergine, scoppiando, e scuotendo con tanta Vehemêza, che fù creduto volersi aprire la terra; il tremore della medema, li precipitij degl’Edificij, le grida, i lamenti de’ semi viui, i pianti delli feriti, il timore della morte, e la perdita della luce offuscata per più di due ore, composero in quel momento vn tuono d’abisso, & vno spauento infernale; impallidirono i più forti, e rimasero insensati i meno, e tutto spirò orrore, morte, e confusione; cadde la Città, caddero le Chiese, & ogni opra fù coperta dalla desolatione, e miseria, sepellendo sotto monti di pietre tre mila Cittadini d’ogni conditione, e trà essi il Vicario Capitolare, il Camerlengo, Grassiero della Città, molti Canonici, e capi di Chiese due Reggij Giudici, molti Cavalieri d’abito, Baroni, Religiosi, Monache, Preti, leggisti, & il celebre auuocato de’ Poueri Gio:Matteo Brãcadoro, & altri subalterni del Reggio Tribunale, Donne nobili, ciuili, Mercanti, & ogni genere di persone, e l’auanzo miserabile de’ Cittadini nel pianto de’ loro cari congiunti, nello spauento della morte, nella perdita degli aueri, e nell’oridezza della campagna prouarono anco li disaggi della fame colla priuatione de’ viueri rimasti nelle rouine della loro Patria…

Esalò la terra vapori puzzolenti, crescendo l’acqua de’ pozzi, e restarono infranti in pezzi gli aquedotti sotterranei della Città, e per 22 hore continue stiede la terra in moto, e gli animi di Cittadini confusi, e sconsolati, implorando cõ publiche penitenze la misericordia di quel Dio, che ciascuno haueua irritato con le sue colpe. Li fanciulli, li feriti piangenti, le donne sconsolate, gli huomini istoliditi, e le sacre vergini sbigottite, e raminghe haverebbero tratta la compassione dalle selci; Et in vna traggedia, così deplorabile, non vi mancarono accidenti compassioneuoli, per renderla memorabile più d’ogn’altro disastro”.

E come adesso nel 2009, nel 1703 la terra tremò per vari mesi: “Mà iñumerabili ne sono successi nello spatio di quattro mesi, che si contano fin d’ora ( e siamo à Maggio ) dal primo dì che principiarono; essendosi intesi notte, e giorno, Molti scoppiauano, e scuoteuano; altri rimbombauano, e scuoteuano, & altri faceuano tremare la terra, con rimbombi sotterranei caminanti, tenendo in continue agitationi l’vmana miseria, che oppressa dalle proprie colpe, aspettava, ne’ vani pronostici d’vna aggravata Coscienza l’vltimo dì, e l’estrema desolatione..”.

Quindi passa a descrivere la situazione nel Contado, da cui si evince che mentre nel 2009 è stato il Forconese ad essere devastato, segnatamente i centri di pianura lungo il fiume (Onna, S.Gregorio, Villa S.Angelo…), nel 1703 la zona extra moenia più colpita fu l’Amiternino, il Monterealese in particolare.
Dai soli dati storici, bibliografici ed archivistici editi – essenzialmente quelli registrati dal Colapietra in Antinoriana III – si può seguire abbastanza, ad utile istruzione per l’oggi nelle sue differenze ma anche in non poche curiose assonanze ambientali, il lungo processo di ricostruzione settecentesca della città, con i caratteri, qui appresso riassunti, che se ne evidenziano.

Dapprincipio, allora come oggi il governo centrale si attivò per organizzare l’emergenza. Assieme all’ordine dato al vicario generale della Provincia duca d’Atri, nonché al preside aquilano, di “dar tutti li agiuti e ripari che convengano, avvalendosi del denaro della cassa del percettore ed altro”, disponeva il trasloco dell’udienza, ponendosi quindi in un primo tempo nella prospettiva dell’abbandono della città – poi, di fronte alla caparbia resistenza degli Aquilani, si abbandonava l’idea.

Sei giorni dopo il cataclisma, 8 febbraio, il Collaterale nominava ed inviava all’Aquila, non senza aver dovuto superare obiezioni sulla persona e problemi di rapporto con le summenzionate autorità provinciali e locali, il marchese della Rocca Marco Garofalo quale commissario straordinario, con un piano d’intervento basato, oltre che sui soccorsi economici per la prima emergenza – e mentre la terra, come detto, come ora continuava a tremare – sullo scavo delle macerie, la ricostruzione delle case e gli sgravi fiscali.

Il Garofalo emanava il primo bando il 12 febbraio: coprifoco a due ore di notte, obbligo del lume già da un’ora prima, dieci giorni di galera ai ladri, necessità di un’apposita licenza tanto per l’estrazione dei cadaveri quanto per scavar mobili anche nella propria casa. E il 18 un secondo, per la sistemazione di una grande baracca per i feriti nella piazza di S.Bernardino. Di fatto poi l’organizzazione dello scavo delle macerie passò, ognuno per la propria competenza, all’autorità civica per gli edifici, le strutture e gli spazi pubblici, a quella ecclesiastica per le chiese e i conventi, ed ai singoli proprietari per le residenze private – il reggente Biscardi aveva del resto osservato, in consiglio del Collaterale, che non ci si doveva “tanto spaventare di quelle voci che sempre poi si ritrova molto inferiore il danno, né sarà difficile il darli soccorso perché in questi casi le genti operano da sé sole…”.

Per la ricostruzione delle case, si noti, e la stessa riattivazione economica e generale ripresa sia della città sia dell’intero comprensorio, furono di fondamentale incentivo gli ampi sgravi fiscali deliberati, a 8 mesi dal terremoto, in forma differenziata, a seconda cioè dell’entità dei danni nei vari borghi del ‘cratere’. Ossia: 10 anni per l’Aquila, 8 anni per Civitareale e Pizzoli, 7 per Castelnuovo, Leonessa e Posta, 6 per Arischia, Borbona e Montereale, 5 per Cagnano e Civitatomassa, 4 per Poggio Picenze, 3 per Accumoli, Amatrice, Assergi, Barete e Scoppito, 2 per Antrodoco, Borghetto, Campli, Cittaducale, Lugnano, Picenze, Preturo, Rocca S.Stefano, Sassa, Tornimparte e Villa S.Angelo, ed 1 per Aragno, Bagno, Camarda, Filetto, Forcella, Fagnano, Tempera, Leporanica, Onna, Pescomaggiore, Roio, S.Eusanio, Collepietro, Tussillo, Paterno, Castiglione della Valle, S.Rufina e Rocca di Fondi.

Questo la dice lunga sulla ragionevolezza ed elasticità con le quali nel ‘700 ci si mosse, a fronte delle lentezze e la poca duttilità del pur ‘progredito’ secolo XXI, paralizzati come si è da normative sia nazionali sia europee rigide, tanto per quanto riguarda la cosiddetta ‘zona franca’, quanto per ciò che concerne il tema della rimozione delle macerie; sicché a ben 8 mesi dal sisma queste ultime sono tuttora in situ, paralizzando il puntellamento degli edifici necessariamente previo allo stesso avvio della fase ricostruttiva, e l’ottenimento della ‘zona franca’ e sospensione temporanea delle tasse costituisce motivo di frizione tra autorità nazionali e autorità locali.

Quanto al governo civico aquilano del ‘700, come si è visto esso nel sisma era stato decimato, avendo avuto sepolti sotto le macerie i due principali magistrati elettivi: il camerlengo Alessandro Cresi e il grassiere Nicola Romanelli. Il 19 febbraio su ordine del Garofalo si radunò il primo consiglio generale, riunendo appena 43 cittadini, per sostituire le autorità venute a mancare: un consiglio generale, che dinanzi all’urgenza ed immanità dei problemi che assillavano la città, confessò implicitamente la propria impotenza rinunziando a riconvocarsi per oltre tre mesi, succube anche dell’autoritarismo sbrigativo del ‘commissario straordinario’ marchese della Rocca, il Garofalo cioè, i cui rapporti con la classe dirigente cittadina non furono precisamente esemplari.

Poi lentamente, nei mesi successivi, superato lo stordimento iniziale, il governo municipale riacquistava forza ed autonomia, tale che dal giugno 1703 riassumeva il proprio ruolo amministrativo, indebolendo di conseguenza il potere del commissario straordinario. Fino a che “la città andò avanti per proprio conto” e, “con o senza la partecipazione governativa, i lavori all’Aquila, illustratici dai rogiti, procederono speditamente”, fatto che contribuì a maggiormente “logorare la posizione del Garofalo, formalmente investito di potestà larghissima di vicario generale e commissario di campagna, ma in realtà non più in grado di sostanziare con provvedimenti adeguati e concreti il suo ufficio straordinario”. Sicché nel “gioco libero delle contrastanti forze economiche apparve completamente emarginata la presenza dello Stato, e per essa la missione eccezionale del Garofalo, nei suoi presupposti e nel suo significato”, dandosi, dal 23 giugno in poi, “il colpo di grazia alla sua posizione ormai ingiustificabile”; così il 17 luglio 1703 egli si dimise.

Come si accenna appresso, nel ‘700 il finanziamento della ricostruzione delle case e delle chiese fu a carico degli interessati. Il governo centrale e quello civico si occuparono del rifacimento e restauro delle strutture pubbliche. La ricostruzione della cattedrale e delle chiese parrocchiali intra moenia fu auto-finanziata vendendo censi, ipotecando beni immobili, vendendo beni mobili come pietre concie, campane, arredi e suppellettili, e facendole in gran parte ristrutturare, completare ed abbellire dalle famiglie patrizie, che vi avevano il patronato delle cappelle private e delle sepolture. La ricostruzione delle chiese dei religiosi in genere fu presa a carico dagli ordini e congregazioni rispettive, anche a raggio europeo come fecero i celestini di Collemaggio, e quella delle chiese congregazionali dalle rispettive confraternite. Quanto alle parrocchiali o chiese devozionali dei centri della vallata, la ricostruzione fu assicurata in gran parte dalle casate nobili possidenti i rispettivi feudi, dalle famiglie facoltose che avevano il patronato di cappelle e altari, oppure utilizzando le eventuali ricche rendite delle parrocchie, ed a volte beneficiando dell’iniziativa di benemeriti titolari ecclesiastici, arcipreti e prevosti, che attinsero generosamente anche dalle proprie sostanze familiari.

FONTE :   .laquilanuova.org/gli-effetti-post-sisma/terremoto-1703-per-la-ricostruzionelavori-scaglionati-in-50-anni-e-sgravi-fiscali
Le foto sono di Sara Hay, Daniele Balducci  Claudio Cerasoli

Eremo Via vado di sole, L’Aquila, martedì 14 febbraio 2012

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