
«Stranamente per una volta mi sono venute le cose magicamente insieme. Avevo in mente da tempo una raccolta di tre racconti brevi legati da un meccanismo specifico: due persone che si incontrano a età diverse scambiandosi una diversità. In quegli stessi giorni stavo scrivendo la parte di Mr Gwyn in cui veniva citato un libro intitolato Tre volte all’alba. Così ho messo insieme le cose scoprendo che i tre racconti si sarebbero potuti legare alla forma del romanzo. È stato uno dei casi in cui le circostanze si girano in maniera fortunata.Mi ricordo, era mattina, e ho pensato: sì lo voglio fare, voglio provarci». Così, in ordine, Baricco finisce il suo romanzo. E lo pubblica. Subito dopo comincia a scrivere tre situazioni che sono solo in parte una costola di Gwyn, grande scrittore che decide di ritirarsi dal mondo della letteratura per ritrovarsi, facendo ritratti artistici (ma con le parole) di intimità altrui. Ma queste intimità sfuggivano, o meglio rimanevano sospese: erano bagliori, tratteggi, penombre. Erano anime alla ricerca, perché uno degli scopi di Baricco era la fuga. L’inafferrabilità.

«Inizialmente ero molto preso dal meccanismo del libro, due personaggi che si rincorrono in tre racconti diversi. Poi, come succede, ho riempito questa struttura con storie che mi sono venute soprattutto dall’istinto, e se vogliamo, da una leggerezza. In questa fase l’inconscio lavora molto, togliendo controllo amolte cose. È durante la stesura che mi sono accorto che i personaggi erano profondamente umani». Qui sta il punto, fidarsi di una scrittura che rivela qualcosa di nuovo. Per te scrittore, per te lettore. Se il primo racconto svelava una disillusione, incontrarsi per poi perdersi, il secondo ci porta a un passo dalla salvezza: due ragazzi arrivano nello stesso albergo, sono agitati, il portiere consegna le chiavi della stanza ma nota che c’è qualcosa di strano, soprattutto nel ragazzo. Poco dopo conoscerà il motivo del suo sentore, e dovrà fare una scelta: proteggere o non proteggere? Questo custode di alberghi può avverare un istinto sopito da tempo, prendersi cura veramente di qualcuno. Anche in questo caso l’ordinario diventa straordinario, sempre a fine notte. La trasformazione definitiva è all’alba, nella luce di mezzo che rimette al mondo.


Baricco è uno scrittore che tiene molto alla lingua di un libro, e all’artigianato delle sue storie. Dà l’impressione che voglia sacrificare un sentimento, o un gesto, per una parola lavorata come si deve. E spesso lo fa. Il lettore può obbedire al suo patto di forma, oppure rifiutarlo. C’è un’altra strada, soprattutto in questo caso: ribellarsi, rovistando tra le righe e smantellando il meccanismo. In Tre volte all’alba il congegno narrativo fila e si vuole arrivare alla fine, certe volte invece capita di soffermarsi. È lì che si nasconde l’umanità sottile di queste storie. Nel primo racconto, la donna è entrata nella camera dell’uomo e si sta spogliando. È sul letto, armeggia con il reggiseno, si blocca un attimo per pensare a quando si è trovata a ricominciare dal niente, dopo aver perso il lavoro. «Si ricomincia da capo per cambiare tavolo, disse. Si ha sempre questa idea di essere capitati nella partita sbagliata, e che con le nostre carte chissà cosa saremmo riusciti a fare se solo ci sedevamo a un altro tavolo da gioco. Cambiare le carte è impossibile, non resta che cambiare il tavolo da gioco». Si sta smentendo, in verità. Ha tentennato da una vita, è passata da un tavolo all’altro sperando in una nuova fortuna. Ma non cambiava niente. Di colpo si decide, rimane ferma. Continua a giocare con le stesse carte baciate della malasorte. Finché capita l’occasione, in un’alba qualsiasi. Se la gioca, e con lei, tutti noi.
Marco Missiroli

Nessun commento:
Posta un commento