BIBLIOFOLLIA : Tre volte all’alba
Quando Alessandro Baricco ha scritto la riga conclusiva di Mr Gwyn, il suo libro uscito qualche mese fa, probabilmente sapeva che la faccenda non sarebbe finita lì. La prova è Tre volte all’alba,
opera appena pubblicata che si porta dietro una piccola rivoluzione:
ritornare sui propri passi da narratore concedendosi la scommessa
dell’intimità.
«Stranamente per una volta mi sono venute le cose
magicamente insieme. Avevo in mente da tempo una raccolta di tre
racconti brevi legati da un meccanismo specifico: due persone che si
incontrano a età diverse scambiandosi una diversità. In quegli stessi
giorni stavo scrivendo la parte di Mr Gwyn in cui veniva citato un libro
intitolato Tre volte all’alba. Così ho messo insieme le cose
scoprendo che i tre racconti si sarebbero potuti legare alla forma del
romanzo. È stato uno dei casi in cui le circostanze si girano in maniera
fortunata.Mi ricordo, era mattina, e ho pensato: sì lo voglio fare,
voglio provarci». Così, in ordine, Baricco finisce il suo romanzo. E lo
pubblica. Subito dopo comincia a scrivere tre situazioni che sono solo
in parte una costola di Gwyn, grande scrittore che decide di ritirarsi
dal mondo della letteratura per ritrovarsi, facendo ritratti artistici
(ma con le parole) di intimità altrui. Ma queste intimità sfuggivano, o
meglio rimanevano sospese: erano bagliori, tratteggi, penombre. Erano
anime alla ricerca, perché uno degli scopi di Baricco era la fuga.
L’inafferrabilità.
Tre volte all’alba
riconcepisce queste identità, narrando un primo racconto che conserva
tutti gli elementi di Mr Gwyn e che rappresenta il suo autoritratto
letterario: ci sono un uomo e una donna, si incontrano in un albergo, è
fine notte. Sono lì per un motivo preciso, il meccanismo narrativo è
artigianato sottile e condurrà il lettore ad affrontare l’interrogativo
della casualità: le persone che incrociamo custodiscono qualcosa per
noi? La sorte è davvero sorte? È uno dei temi di questo trittico che
svela molto di più del Baricco scrittore: è come se il narratore
torinese si fosse creato un movente, quello della costruzione di un
marchingegno perfetto, per raccontare l’umanità di tutti i suoi
personaggi presenti e passati.
«Inizialmente ero molto preso dal
meccanismo del libro, due personaggi che si rincorrono in tre racconti
diversi. Poi, come succede, ho riempito questa struttura con storie che
mi sono venute soprattutto dall’istinto, e se vogliamo, da una
leggerezza. In questa fase l’inconscio lavora molto, togliendo controllo
amolte cose. È durante la stesura che mi sono accorto che i personaggi
erano profondamente umani». Qui sta il punto, fidarsi di una scrittura
che rivela qualcosa di nuovo. Per te scrittore, per te lettore. Se il
primo racconto svelava una disillusione, incontrarsi per poi perdersi,
il secondo ci porta a un passo dalla salvezza: due ragazzi arrivano
nello stesso albergo, sono agitati, il portiere consegna le chiavi della
stanza ma nota che c’è qualcosa di strano, soprattutto nel ragazzo.
Poco dopo conoscerà il motivo del suo sentore, e dovrà fare una scelta:
proteggere o non proteggere? Questo custode di alberghi può avverare un
istinto sopito da tempo, prendersi cura veramente di qualcuno. Anche in
questo caso l’ordinario diventa straordinario, sempre a fine notte. La
trasformazione definitiva è all’alba, nella luce di mezzo che rimette al
mondo.
«Ogni
libro lascia dietro di sé, in chi lo scrive, una specie di strascico
che ci mette un bel po’ ad andare via. Si continua a vedere il riverbero
di questa storia appena scritta e anche se non si vorrebbe saperne più
niente, la luce resiste. Tre volte all’alba nasce dal bagliore partorito da Mr Gwyn».
È questo chiaro di fine notte, o di inizio giorno, che domina le tre
situazioni dei racconti e sconta l’eredità di Gwyn: il tentativo di un
orfano di riportare a casa le persone. La terza storia è tutto questo,
un bambino in una camera d’albergo e una donna poliziotto che sta per
andare in pensione. Il bimbo è sul letto e non capisce bene cosa sta
succedendo, è guardato a vista dalla donna che non ha pace per le
condizioni dell’albergo e per la sofferenza sorda di questo ragazzino.
Dovrebbe vegliarlo in attesa di una nuova famiglia affidataria. Ma gli
spettri del passato non stanno fermi, il bivio compare anche qui: l’uomo
ordinario si fa piccolo eroe, proprio mentre il buio si consuma.
Riscattare l’esistenza di un bambino in una notte qualunque? «E in
effetti dall’orizzonte si era alzata una luce cristallina a riaccendere
le cose e a rimettere in movimento il tempo. Forse era il riflesso sul
mare, lontano, ma c’era qualcosa di metallico nell’aria che non tutte le
albe hanno, e la donna pensò che questo l’avrebbe aiutata a rimanere
lucida, e calma. E per un attimo le tornò su quell’argentea sfrontatezza
che aveva da giovane, quando sapeva di non essere né peggio némeglio di
tanti altri,ma solamente diversa, in un modo prezioso e inevitabile.
Era quando tutto le faceva paura, ma non aveva paura di niente».
In
questa paura dissacrata c’è il nucleo dei racconti. Avere il coraggio
di saltare la barricata per ritrovarsi del tutto. Gwyn ce l’aveva fatta
in parte, i tre personaggi di questi racconti ce la fanno. Finiscono il
lavoro. E ci riescono a loro modo, mettendo in gioco le proprie umanità.
«Bisogna stare attenti quando si è giovani perché la luce in cui si
abita da giovani sarà la luce in cui si vivrà per sempre». Lo pensa il
portiere della seconda storia, guardando la ragazza da salvare. È per
andare contro a questo incantesimo che ognuno di loro sfrutta quel tempo
liminare, l’aurora, per giocarsi l’esistenza.
Baricco è uno
scrittore che tiene molto alla lingua di un libro, e all’artigianato
delle sue storie. Dà l’impressione che voglia sacrificare un sentimento,
o un gesto, per una parola lavorata come si deve. E spesso lo fa. Il
lettore può obbedire al suo patto di forma, oppure rifiutarlo. C’è
un’altra strada, soprattutto in questo caso: ribellarsi, rovistando tra
le righe e smantellando il meccanismo. In Tre volte all’alba il
congegno narrativo fila e si vuole arrivare alla fine, certe volte
invece capita di soffermarsi. È lì che si nasconde l’umanità sottile di
queste storie. Nel primo racconto, la donna è entrata nella camera
dell’uomo e si sta spogliando. È sul letto, armeggia con il reggiseno,
si blocca un attimo per pensare a quando si è trovata a ricominciare dal
niente, dopo aver perso il lavoro. «Si ricomincia da capo per cambiare
tavolo, disse. Si ha sempre questa idea di essere capitati nella partita
sbagliata, e che con le nostre carte chissà cosa saremmo riusciti a
fare se solo ci sedevamo a un altro tavolo da gioco. Cambiare le carte è
impossibile, non resta che cambiare il tavolo da gioco». Si sta
smentendo, in verità. Ha tentennato da una vita, è passata da un tavolo
all’altro sperando in una nuova fortuna. Ma non cambiava niente. Di
colpo si decide, rimane ferma. Continua a giocare con le stesse carte
baciate della malasorte. Finché capita l’occasione, in un’alba
qualsiasi. Se la gioca, e con lei, tutti noi.
Marco Missiroli
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 3 maggio 2012
giovedì 3 maggio 2012
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